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Il miracolo dei pomodori viola

di Stefano Montanari - 30/10/2008

    
   
 

Il mondo è davvero strano e, magari, in un certo senso, è pure divertente se lo si sa leggere nella maniera giusta.

Quando, nel lontano 1997, la dottoressa Gatti (mia moglie) scoprì che le nanoparticelle sono capaci di essere sequestrate un po’ dovunque nell’organismo provocando là dentro un po’ di sconquasso non proprio trascurabile e, grazie a quella scoperta, diede le dritte per guarire un paziente, lo fece sotto gli occhi del locale ateneo e fuori di ogni altra pubblicità.

Quando osò chiedere all’università un contributo di venti milioni di Lire (!) per finanziare lo studio di quel tipo di malattie (le nanopatologie), si sentì rispondere che tutto quello che lei aveva visto era frutto di allucinazione: non era scritto nei libri, ergo, non era vero. C’era un bel da protestare che le scoperte non stanno scritte sui libri sennò non sarebbero scoperte: l’università aveva sentenziato. C’erano i figli (pezzi di cuore) da mettere a posto, i concorsi da sistemare… Chi ha tempo per sciocchezze come la ricerca? La scoperta, poi! Ma mi faccia il piacere! Di questo, nessun mezzo di comunicazione diede notizia.

Ancora oggi, a distanza di undici anni dalla scoperta, con un curriculum internazionale ormai polposissimo, con due progetti europei di cui la dottoressa Gatti è stata a capo (ed è ancora del secondo, essendo il primo concluso con successo), politici, accademia nostrana e media s’interrogano: ma davvero faranno male queste polveri? Io, che alle ricerche ho sempre partecipato e che certi effetti li ho sotto gli occhi ogni giorno, mi affanno a spiegare in termini semplici qualcosa di assolutamente ovvio e dimostrato al di là di ogni possibile dubbio. Niente da fare: i fratelli d’Italia sono impenetrabili.

Ancora oggi escono articoli sui nostri giornali, ahimé spesso adatti quasi solo a fare da incarto ad un mazzo di sedani, in cui qualche giornalista vagamente distratto racconta un po’ sgangheratamente di studi preliminari effettuati in America, la TV di stato intervista al proposito uno studioso giapponese, il tribunale archivia, nell’indifferenza dei media, un procedimento pesantissimo a causa dell’impreparazione del consulente cui il pubblico ministero si è misteriosamente affidato… A proposito delle scoperte, un vecchio fisico diceva: “Prima negheranno che sia vero, poi diranno che non è importante, poi attribuiranno la scoperta a qualcun altro.” Ora siamo a metà tra le prime due puntate e qualcuno più avanti della media comincia ad avvicinarsi a fase tre.

Pazienza. A noi non interessa un fico secco che si riconosca l’evidenza storica: che la bandiera l’abbiamo piantata noi diversi anni prima di tutti e che il nostro vantaggio resti invariato se non, addirittura, aumentato. A noi interessa che si faccia qualcosa di serio per sventare l’olocausto che è già iniziato e non si continui a praticare l’anestesia al cervello della gente.

Dall’altra parte della trincea ci sta la scienza “applicata”, quella che serve all’unico scopo per cui questa società si dia il diritto di esistere: far quattrini.

L’ultima notizia, diligentemente strombazzata dai pazzarielli dei media, è la storia dei pomodori viola.

A quanto è dato sapere, una ditta inglese a

partecipazione pubblica ha fatto sbocciare un po’ di pomodori geneticamente modificati in cui ha ficcato due geni che inducono la formazione di antocianine, i pigmenti flavonoidi che colorano tanti tipi di bacche e che hanno un’ottima attività antiossidante.

Nulla che non si conoscesse da tempo immemorabile per quanto riguarda i pigmenti. Per il resto, si tratta della solita, certo non rara operazione per fare un po’ di quattrini proponendo queste piccole bizzarrie come un prodigioso anticancro. Perfettamente corretto dal punto di vista del business. Nulla di strano, in una società che compra la pioggia imbottigliata nella plastica perché, mingendo in tanti plin plin benedetti da una religiosa, ha la certezza di acquisire l’aspetto leggiadro di una ex miss Italia, o si precipita ad acquistare, pagandole prezzi d’affezione, minuscole bottigliette dell’immancabile plastica riempite di derivati industriali del latte che “aumentano le difese naturali” o altri latticini che assicurano un alvo regolare (spiego: fate una bella cacca e la fate tutti i giorni): soddisfatti o rimborsati, dice la pubblicità. A margine, mi chiedo che prova ci sarà mai da produrre in caso d’insoddisfazione, ma resto volentieri con la mia curiosità. Insomma, l’industria fa i suoi affari e, se paga le tasse e resta entro un raggio a distanza passabile dalla legge, diventa complicato eccepire. E io non eccepisco.

Tornando a noi, nell’operazione “Purple Tomato” (pomodoro viola, ché di quel colore sortisce la bacca del Solanum lycopersicum all’uopo manipolata) entra una ditta del nostro

oncologo di corte e fa un esperimento servendo ogni giorno quel vegetale obiettivamente un po’ sinistro sulla tavola di una squadretta di topini che vengono poi fatti ammalare di linfoma. E, allora - udite, udite! – si assiste al miracolo: invece di schiattare nei 140 giorni canonici i fortunati roditori lo hanno fatto felicemente in 180 per il giubilo dei ricercatori e la commossa gratitudine dei topini stessi. Vabbè, il risultato sarà stato un’agonia un po’ più lunga, i topi non saranno proprio confrontabili così automaticamente con l’uomo, ma business is business: bisogna subito sguinzagliare i pazzarielli mediatici. Attenziò, battagliò: abbiamo fatto un bel passo avanti nella lotta al cancro! Tutti a caccia dei pomodori viola!

Personalmente non conosco la professoressa Cathie Martin autrice dalla manipolazione genetica, ma temo che non sia stata informata dell’uso che si sta facendo in Italia del suo lavoro che è, comunque, tecnicamente rispettabile. Chissà, forse le hanno pure delicatamente nascosto che i suoi pomodori viola finiranno culturalmente affiancati al basilico e alla polenta cancerogeni (quest’ultima solo se non è OGM) contro cui ci ha messo in guardia il professor Veronesi. Qualcuno ha esagerato e non sono convinto che quel qualcuno stia in Inghilterra.

Naturalmente non si può avere idea se l’avventura naufragherà scientificamente come la quasi totalità d’imprese del genere finendo, magari, con un prodotto distribuito nei supermercati intorno cui s’intrecciano leggende metropolitane. In fondo, è difficile immaginare che quella ricerca avesse fini diversi. Sul che non c’è nulla di male: l’industria ha sempre vissuto di periodiche novità.

Certo, sorge spontanea qualche domanda: le antocianine stanno già, tra l’altro, nei cavoli rossi, nelle more e nei mirtilli. I pomodori contengono già un ottimo antiossidante (il licopene). Perché, se siamo a caccia di antocianine, non proporre un’insalata di pomodori naturali, una zuppa di cavoli rossi e una tazza di frutti di bosco senza vestirsi da apprendisti stregoni pelando, per giunta, il consumatore disposto ad una certa credulità? Perché ostinarsi a negare l’evidenza lampante, come è nell’antico copione del nostro professor Veronesi? Tantissimi cancri vengono dall’inquinamento, non certo escluso quello degli alimenti, ed è sulle cause importanti che bisogna agire. Perché ricorrere a soluzioni efficaci solo per far quattrini? Non è ora che si abbia un po’ di rispetto per il prossimo? Non è ora che noi quel rispetto lo pretendiamo?