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Obama. I palpiti del cuore, il sonno della ragione

di Giovanni Petrosillo - 06/11/2008

 

Non avevamo dubbio alcuno su chi fosse realmente Barak Obama, e non aspettavamo certo di vedere la lista dei suoi finanziatori per capire sotto quali ricatti si troverà ad esercitare la sua azione presidenziale, l’uomo che è stato già ribattezzato, con i soliti improbabili paragoni storici, il nuovo Kennedy.

Ai sinistri, invece, sempre più rammolliti dalla cura buonista veltroniana, somministrata a dosi da cavallo ad un’orda isterica di militonti senza spina dorsale, il fatto che la campagna elettorale del primo Presidente nero della storia degli USA, sia costata più del doppio di quella del suo avversario repubblicano non dice proprio nulla. E neanche conta troppo che tra i suoi sponsor ci siano le solite grandi banche e società per azioni (o anche le cosche universitarie e massoniche), rappresentati il potere economico americano nel mondo. Faccio presente che la Goldman Sachs, merchant bank tentacolare con sedi distaccate nelle principali capitali del pianeta ed affari in tutti i settori più redditizi (delle cui scorribande siamo stati testimoni anche in Italia, grazie all’autoctona quinta colonna prodiana che ha tra le sue fila uomini addestrati a Washington), è il secondo sponsor di Obama con una somma da capogiro, pari a $874.207.000 Rammentate che da nessuna parte si è mai vista una banca concedere un prestito senza lucrare sopra un “interesse” (nel senso più lato del termine), il quale, a seconda delle congiunture, può essere più o meno elevato. Ma non solo di questo si tratta. Il sistema americano è una macchina quasi perfetta che struttura la sua ragion di stato sopra qualsiasi altro valore e secondo una strategia conflittuale, all’interno e all’esterno, che prescinde dalle sfumature politiche dei partiti e dei personaggi dai quali si fa momentaneamente rappresentare. Sono sempre gli uomini che servono il sistema e non viceversa, pur essendo questo costituito da tante maschere individuali che si incardinano in altrettanti ruoli e funzioni. Oggi vince Obama perché è la stessa strategia americana che ha bisogno di un nuovo vestito e di creare un senso di appartenenza più vasto, richiamandosi ad altri ideali con i quali stringersi a difesa delle proprie prerogative planetarie. Quest’ultime non si incastonano più nelle tradizionali corde dei repubblicani e saranno meglio adempiute dagli asinelli democratici. Un’unica ideologia di conquista e di egemonia che scorre nel corpo sociale statunitense attivando, di volta in volta, muscoli diversi e meglio rispondenti alle istanze in ballo.

 

Questo aumenta il ridicolume di cui si coprono certi personaggi di sinistra che si fanno prendere dai palpiti del cuore quando negli Usa si suona la sveglia di qualche finto cambiamento. E che dire dei comunisti che di questa sbornia obamiana sono stati allegri sostenitori (e Dio ci scampi dai loro organi d’informazione e dal nugolo di giornalisti asserviti che lì vi lavorano, utilizzando la falce per rifarsi le unghie e il martello per percuoterci i coglioni con passeggere infatuazioni su improvvisati eroi “deghettizzati”), corroborati dalla convinzione di poter rattoppare la loro identità consunta con qualche pezza “a colore” made in United States? L’unico ad aver resistito all’unguento democratico, con il quale invece l’atroce sinistra si è immediatamente cosparsa il capo in segno di reverenza, è stato quell’indomabile residuo di un’altra epoca storica che di nome fa Marco Ferrando (al quale diamo comunque il merito di una indefettibile, quanto tragica, coerenza), ultimo “conservatore” e custode del cimitero degli elefanti storici trotkysti. Stiamo messi davvero male e con le pezze sul sedere.

 

Obama o non Obama gli americani continueranno a farsi “strane idee” sul mondo che sembra, almeno in questa fase, sfuggire loro di mano. E lo faranno attraverso nuove prove di forza che alterneranno, come sempre, un po’ di bastone e un po’ di carota. Per farsi una ragione di quello che sto dicendo basterà leggersi il documento che pubblico qui sotto. La strategia Usa sta già cambiando, a partire dai loro insediamenti militari nelle zone più calde del globo. Secondo voi, Obama potrà porre un freno a questo? Siamo seri, l'America è un grande paese pragmatico che non concede nulla ai buoni sentimenti, a meno che quest'ultimi non servano meglio la sua causa.

 

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Ps. Ringrazio i redattori del blog byebyeunclesam che ci hanno segnalato con un e-mail detto documento.