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Una nuova Bretton Woods, ma solo se…

di Simone Vannuccini - 13/11/2008

Fonte: taurillon

Quando, nel 1944, si confrontarono a *Bretton Woods* (nel New Hampshire) le
proposte di Keynes e di White per la creazione di un nuovo ordine economico
internazionale, la vera sfida non era quella tra la raffinatezza delle idee
britanniche ed il pragmatismo americano: i protagonisti dello scontro erano
due configurazioni del potere e due visioni del mondo, diverse per
esperienza storica e per stato di salute. Come Keynes, l'Inghilterra era
malata e alla fine della propria esistenza da potenza egemone mentre gli
Stati Uniti, proprio come White (tra l'altro economista di matrice
Keynesiana), erano forti, dinamici e pieni di volontà di affermazione.

 

Da un punto di vista realista, il diverso stato di salute delle due potenze
a *Bretton Woods* spiega bene il contrasto fra le loro proposte: quella
inglese, necessariamente pluralistica e cosmopolita, fondata su una moneta
condivisibile da tutta l'umanità, il *bancor*, nascondeva la volontà di
impedire che un nuovo *competitor* si sostituisse al governo di sua maestà
nel ruolo di gendarme del mondo; quella statunitense, basata sull'idea di un
*gold exchange standard* basato sul dollaro, rifiutava la condivisione delle
responsabilità a livello mondiale e apriva la strada al "secolo breve"
americano.

 

Alle fine della storia ha prevalso il "nuovo" sul "vecchio", l'egemonia
emergente su quella in declino. Il "peso" degli USA ha distorto a proprio
favore i lavori delle commissioni e della conferenza finale, proprio come
una grande massa ha il "potere" gravitazionale di distorcere il flusso del
tempo. La morale generale della storia, utile a riflettere sul senso del "ma
solo se…" che ho aggiunto nel titolo dell'articolo, è che ogni istituzione
incorpora la configurazione del potere prevalente in un dato momento,
riducendo la portata "universale" di ogni riforma dell'ordine
internazionale. Ovviamente questa configurazione del potere è mutevole, e
può presentarsi come più o meno equa: nel nostro caso è stata, ed è
tutt'ora, totalmente sbilanciata a favore degli Stati Uniti i quali, in
assenza di interlocutori di pari livello (ovviamente non possiamo
considerare l'URSS pre-1989, da sempre fuori dai giochi per quanto riguarda
l'influenza sulle istituzioni del capitalismo globale), hanno avuto mano
libera per plasmare a proprio piacimento i risultati di *Bretton Woods*, e
non solo.

 

In effetti, dal diritto di veto nel consiglio di sicurezza ONU, che produce
nel 2008 un fermo immagine delle politica mondiale all'anno 1945, fino al
voto a maggioranza qualificata (85% delle quote di partecipazione dei paesi
aderenti) nel Fondo Monetario Internazionale (FMI) e nel gruppo della Banca
Mondiale (BM), vanificato dalla quota USA del 17%, che garantisce un
sostanziale potere di veto, le istituzioni internazionali sono poco più che
strumenti per amplificare ad ampio raggio un messaggio di potenza e una
precisa ideologia.

 

Un inciso, per spezzare una lancia a favore delle organizzazioni
internazionali: quanto detto finora non significa assolutamente che non
esiste alcuno spazio per il cambiamento o per l'introduzione di politiche
anti-egemoniche dentro alle stesse istituzioni internazionali; il potere si
incarna anche nei concetti, nelle parole chiave e nelle informazioni, così
che anche i *think thank*, i centri studi ONU e le organizzazioni di
informazione globale come l'OCSE possono trasformare delle idee in paradigmi
dai quali è impossibile prescindere (un caso emblematico è il concetto di
sviluppo sostenibile, ormai entrato a far parte del linguaggio condiviso a
tutti i livelli di *polity*). Potremmo inoltre aggiungere che la capacità di
scrivere la regole del gioco da parte di chi detiene il potere politico è
limitata anche da motivi reputazionali e identitari (ovvero da quei casi
che, nella teoria dei giochi, vanno sotto il nome di "contrattazioni
ripetute") ma, al di là di questo, resta comunque evidente il fatto che,
almeno nel breve-medio termine, sono la ragion di stato, la forza economica
ed il peso politico gli strumenti per determinare le finalità e le scelte,
oltre che la struttura organizzativa delle istituzioni internazionali.

 

Oggi ci troviamo nella stessa situazione del '44: la crisi finanziaria ha
palesato la necessità di un cambiamento profondo nelle regole della comunità
economica internazionale. Da più parti provengono richieste di una
"nuova *Bretton
Woods*" o di una "*Bretton Woods* II", soprattutto da quando i leader del
G20 hanno deciso di riunirsi a New York, il prossimo 15 novembre, per
iniziare a discutere sulle possibili proposte di riforma. Ancora una volta
sarà il potere prevalente e le forze "reazionarie" ad incarnarsi nelle nuove
istituzioni, vanificando i tentativi strutturali di riforma e gettando
ancora di più il pianeta fra le braccia di una "grandissima depressione"?
Prima di andare avanti, è necessario guardare alle idee già in campo, dove
la confusione ed i buoni e generici propositi regnano sovrani: a sentire ciò
che affermano i capi di stato e di governo dei più importanti paesi del
mondo una sintesi al rialzo delle varie posizioni non sarà affatto facile.
Secondo l'amministrazione americana "*this meeting is not about discarding
market principles or about moving to a single global market regulator, there
is very little support for that*" (fonte *New York Times*), anche se è
doveroso sottolineare che l'elezione di Obama potrebbe sconvolgere un po' le
carte in tavola, rendendo imprevedibile il comportamento dei
*neocon*durante gli ultimi giorni di governo; Sarkozy, in veste di
novello De Gaulle
e di presidente di turno dell'Unione Europea, prima chiede un Governo
europeo dell'economia tramite un direttorio dell'eurogruppo, per poi
ritirare le proposte più forti affermando che "*se Governo economico
significa Europa federale e politica economica uguale per tutti non è certo
quello che io intendo"* (fonte il Sole 24Ore). Anche la Germania porta
avanti una posizione ambigua fatta di chiusura nazionalista, sfiducia nel
poco tecnicismo dei colleghi europei e mancanza di coraggio politico da
parte della Merkel, molto meno lungimirante del suo "padre politico" Helmut
Kohl. I tentennamenti europei e americani si sommano poi alla complessità
dell'odierno scenario globale, composto dai nuovi e vecchi Paesi in Via di
Sviluppo (PVS), dagli spazi d'azione che restano per le istituzioni oggi già
esistenti, dalla crescente interdipendenza tecnologica; con le parole del
premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz:

 

Ci sono voluti 15 anni e una guerra mondiale perché il mondo si unisse per
prendere di petto i punti deboli del sistema finanziario globale che aveva
contribuito a provocare la Grande Depressione. Non resta che auspicare che
non debba occorrere altrettanto adesso: considerato l'attuale livello di
interdipendenza globale, i costi sarebbero semplicemente esorbitanti e
insostenibili. Tuttavia, se Stati Uniti e Gran Bretagna dominarono la scorsa
conferenza di *Bretton Woods*, c'è da tener conto che l'odierno panorama
globale è completamente diverso. Parimenti, le vecchie organizzazioni create
a *Bretton Woods* furono caratterizzate da una sfilza di dottrine economiche
che si sono rivelate fallimentari non soltanto nei Paesi in via di sviluppo,
ma finanche nella terra d'origine del capitalismo. L'imminente summit
globale dovrà assolutamente affrontare queste nuove realtà se come è
doveroso - dovrà impegnarsi per creare un sistema finanziario globale più
stabile e più equo. (fonte La Repubblica)

Alla confusione delle idee provenienti dal mondo della politica e dei
governi si aggiungono altre piccole e grandi proposte, tutte quante
utilissime ma spesso limitate o contraddittorie, ognuna delle qual
i fallisce
nell'andare al nodo del problema: dal rilancio della *Tobin Tax* ai codici
etici per le banche e le imprese, dall'eliminazione dei paradisi fiscali
alle campagne di trasparenza nei bilanci e nelle operazioni più rischiose,
dall'introduzione di metodi partecipativi e più democratici alla messa a
disposizione da parte di FMI e BM di *facility* a brevissimo termine per
sanare gli shock che affliggono e affliggeranno soprattutto i PVS.

Una nuova *Bretton Woods* è certamente necessaria, ma solo se riuscirà a
scardinare il gioco di potere che mira a fare delle future istituzioni
riformate l'ennesimo strumento di giustificazione di un mondo dove i pochi
impongono ancora una volta le regole ai tanti; una nuova *Bretton Woods* è
indispensabile, ma solo se rappresenterà la prima componente di una nuova
architettura istituzionale globale, e non un *maquillage* delle logiche
esistenti, ree di aver già dimostrato di non reggere le sfide imposte dalla
globalizzazione. Una nuova *Bretton Woods *sarà possibile, ma solo se
l'Europa inizierà ad agire come un soggetto politico unico, rilanciando quel
progetto incompiuto di integrazione ed unità che porta avanti da più di 50
anni.

Il crollo economico e finanziario ha aperto una grande frattura nelle maglie
del potere mondiale, accelerando la crisi egemonica degli Stati Uniti e
creando le condizioni affinché un nuovo equilibrio possa realmente crearsi.
L'Europa può sfruttare questo momento irripetibile, oppure aspettare che il
vuoto di legittimità venga definitivamente riempito dai nuovi paesi
emergenti. Quegli stessi paesi sistematicamente estromessi dal direttorio
dei potenti ma che oggi sono finalmente capaci, attraverso le loro risorse
economiche, produttive e demografiche, di appropriarsi del potere
d'influenza e di decisione che gli europei continuano colpevolmente a non
volere.