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Gesù è stato in India e nel Tibet? Il manoscritto trovato da Nicolas Notovich nel 1887

di Francesco Lamendola - 16/11/2008

Nel 1887, nel corso di un lungo viaggio attraverso i Balcani, il Medio Oriente, la Persia, l'Afghanistan e l'India, il dottore e giornalista russo Nicolas Notovich giunse nel Ladakh, il cosiddetto "Piccolo Tibet". Da lì, egli intendeva fare poi ritorno in Russia passando per le gole del Karakorum e i vasti spazi semidesertici del Turkestan Orientale, allora - come oggi - parte del dominio cinese. Il suo passaggio è comprovato dai registri della Missione dei Fratelli Moravi di Leh, presso la quale fu ospite; pertanto quella parte del suo viaggio si deve ritenere storicamente accertata al di là di ogni dubbio.
Durante la visita a un monastero buddhista, Notovich venne a sapere che, negli archivi di Lhasa, sarebbero esistiti documenti relativi alla vita di Gesù Cristo e che ne esistevano copie e traduzioni presso diversi altri monasteri.
Poi, durante una visita al monastero di Hemis, nei pressi della capitale del Ladakh, Leh, l'abate gli rivelò che in esso si trovava appunto una copia dei documenti in questione. Qualche tempo dopo, trattenuto colà per le conseguenze di una caduta da cavallo, il russo si fece leggere dall'abate, e tradurre da un interprete, quell'antico manoscritto tibetano, trascrivendolo mano a mano che gli veniva letto il suo contenuto.
Tornato in Europa, per alcuni anni Notovich cercò il modo di pubblicarlo, ma ne venne sconsigliato - a suo dire - da eminenti personaggi sia del clero ortodosso, sia di quello cattolico, con i quali aveva preso contatti fra Kiev, Roma e Parigi.
Anche Ernest Renan, autore della celebre «Vita di Gesù», fu da lui interpellato e mostrò un vivo  interesse per la cosa, tanto da offrirsi di prendere su di sé il lavoro della revisione e della pubblicazione; ma il russo declinò l'offerta, non volendo lasciarsi sfuggire una così ghiotta occasione di rendere celebre il proprio nome.
Così, nel 1894, egli si decise a dare alle stampe il testo del manoscritto buddhista concernente la vita di Issa, nome con cui era designato Gesù Cristo. Tuttavia, in parte per l'imperizia filologica di Notovich e in parte perché l'ipotesi di un soggiorno di Cristo in quelle remote contrade dell'Asia sembrò inverosimile a tutti gli studiosi di scienze bibliche, sia di formazione cattolica e protestante, sia di formazione laica, il libro passò relativamente inosservato e, poco a poco, finì per venire pressoché dimenticato.
Nel manoscritto pubblicato da Notovich, e intitolato «La vita di San Issa, il migliore dei figli degli uomini», si afferma non che Cristo sfuggì alla morte di croce e si rifugiò ai piedi dell'Himalaia,  come vorrebbe la tradizionale orale di cui dopo parleremo; bensì che egli lasciò la Palestina, all'età di tredici anni, e si unì a una carovana di mercanti che, attraverso la Mesopotamia e la Persia, lo condusse fino al Sindh, ove ebbe modo di studiare la dottrina buddhista.
Un anno dopo, declinando l'invito dei giainisiti a fermarsi presso di loro, passò in un'altra regione dell'India e si dedicò allo studio dei «Veda», sotto la guida di sacerdoti brahmini. Ma, dopo sei anni passati fra Benares, Jagarnath e Rajagriha, entrò in conflitto con i brahmini, perché, avendo iniziato a predicare,  si rivolgeva anche ai fuori casta, suscitando le ire di quelli. Insegnava ad aiutare i poveri, a sostenere di deboli, a non fare nulla di male e a non desiderare le cose altrui; e, soprattutto, a non adorare una quantità di idoli, ma a rivolgere ogni preghiera al Dio unico ed eterno.
Con parole esplicite, egli accusava i sacerdoti di essersi allontanati dalla vera divinità e di insegnare false dottrine ai fedeli; invitava tutti ad astenersi dai sacrifici di esseri viventi, a non rubare e a non mentire.
Poi, forse per  i contrasti coi sacerdoti, Issa lasciò l'India e passò in Persia, ove predicò con veemenza il monoteismo e rimproverò ai seguaci di Zoroastro ad adorare il Sole, che è soltanto una delle opere del Creatore. Anche qui andò incontro all'ira dei magi, che cercarono - ma senza riuscirvi - di farlo morire.
Così, all'età di ventinove anni, Issa rientrò nella sua terra d'origine, la Palestina, ove riprese la sua predicazione, incontrando il favore sia del popolo, che dei sacerdoti.

Il manoscritto tibetano pubblicato da Notovich si compone di quattordici capitoli.
Ne riproduciamo gli ultimi due, tratti da: N. Notovich, «La vita sconosciuta di Gesù» (titolo originale: «La Vie inconnue de Jésus Christ», Paul Ollendorff Editeurs, Paris, 1894; traduzione italiana di Daniela Muggia, Torino, Edizioni Amrita, 2000, pp. 80-83):

«XIII.
1.   Il santo Issa insegnò così al popolo d'Israele per tre anni, in ogni città, in ogni villaggio,  sulle strade e le pianure, e tutto ciò che aveva annunciato si realizzava.
2.   In quel tempo, i servitori travestiti del governatore Pilato lo tenevano sotto stretta osservazione, ma non lo udirono mai dire qualcosa di somigliante ai rapporti presentati dai capi delle città su Issa.
3.   Ma il governatore Pilato, spaventato dall'eccessiva popolarità del santo Issa che, a dar credito ai suoi avversari, voleva sollevare il popolo per farsi nominare re, ordinò a una delle sue spie di accusarlo.
4.   Allora si incaricarono i soldati di procedere al suo arresto, ed egli venne chiuso in una cella sotterranea in cui vari supplizi gli furono inflitti con l'intento di obbligarlo ad autoaccusarsi, il che avrebbe consentito di metterlo a morte.
5. Il santo, non pensando ad altro che alla beatitudine perfetta dei suoi fratelli, sopportò le sofferenze in nome del suo Creatore.
6. I servitori di Pilato continuarono a torturarlo e lo indussero in uno stato di estrema debolezza; ma Dio era con lui, e non permise che morisse.
7. Venendo a sapere quali sofferenze e torture subiva il loro santo, i principali sacerdoti e i saggi anziani andarono a pregare il governatore di mettere Issa in libertà in occasione di una grande festa che si avvicinava.
8. Ma il governatore rifiutò seccamente la loro richiesta. Essi lo pregarono allora di far comparire Issa davanti al tribunale degli anziani, affinché venisse condannato o assolto prima della festa; a questo Pilato diede il suo consenso.
9. Il giorno dopo il governatore fece riunire i principali capitani, sacerdoti, saggi anziani ed esperti della legge allo scopo di far loro giudicare Issa.
10. Il santo venne tirato fuori dalla prigione e fatto sedere davanti al governatore  in mezzo a due briganti che andavano giudicati contemporaneamente a lui, per mostrare alla folla che non sarebbe stato l'unico condannato.
11. E Pilato, rivolgendosi a Issa, disse: - O uomo! è vero che sollevi gli abitanti contro le autorità con l'intenzione di diventare tu stesso re d'Israele? -.
12. - Non si diventa re per propria volontà - rispose Issa - e ti hanno mentito dicendoti che io sollevo il popolo. Ho sempre parlato soltanto al del Re dei Cieli, e insegnavo al popolo ad adorare lui.
13. Perché i figli d'Israele hanno perso la loro purezza originaria e se non si rivolgono al vero Dio, saranno sacrificati e il loro tempio cadrà in rovina.
14. Il potere temporale mantiene l'ordine in un paese; io insegnavo loro dunque a non dimenticare questo, e dicevo loro: "Vivete conformemente alla vostra situazione e alla vostra fortuna, per non turbare l'ordine pubblico", e a ricordarsi anche che il disordine regnava nel loro cuore e nella loro mente.
15. E infatti il Re dei Cieli li ha puniti e ha eliminato i re delle loro nazioni; e tuttavia, diceva loro, se vi rassegnate alla vostra sorte, in ricompensa vi sarà riservato il Regno dei Cieli."
16. In quel momento vennero introdotti i testimoni; uno di essi depose così: "Tu hai detto al popolo che il potere temporale non era nulla in confronto a quello del Re che ben presto avrebbe affrancato gli israeliti dal giogo pagano."
17. "Tu sia benedetto - disse Issa - per aver detto la verità; il Re dei Cieli è più grande e più potente della legge terrena, e il suo Regno sorpassa tutti i regni di quaggiù.
18. E non è lontano il tempo in cui, conformemente alla volontà divina, il popolo di Israele si purificherà dei suoi peccati, perché è detto che un precursore verrà ad annunciare la liberazione del popolo e lo riunirà in un'unica famiglia."
19. E il governatore, rivolgendosi ai giudici: - Sentite? L'israelita Issa confessa il crimine di cui è accusato.  Giudicatelo dunque secondo le vostre leggi e pronunciate contro di lui la pena capitale. -
20. - Noi non possiamo condannarlo, risposero i sacerdoti e gli anziani. - hai appena udito tu stesso che egli alludeva al Re dei Cieli, e che non ha predicato ai figli nulla che  costituisse insubordinazione contro la legge.-
21. Il governatore mandò allora a chiamare  il testimone che, su istigazione del suo padrone Pilato, aveva tradito issa; quest'uomo venne e rivolgendosi a Issa: - Non ti facevi forse passare per il re d'Israele quando dicevi che colui che colui che regna nei Cieli ti aveva inviato per preparare il suo popolo?-
22. E Issa, dopo averlo benedetto, gli disse: - Tu sarai perdonato, , perché ciò che dici non viene da te! -. Poi, rivolgendosi al governatore: - Perché umiliare la tua dignità, e perché insegnare ai tuoi sottoposti a vivere nella menzogna, quando, anche senza questo, tu hai il potere di condannare un innocente? -.
23. A queste parole il governatore entrò violentemente in collera, e ordinò la condanna a morte di Issa e, invece, la liberazione dei due briganti.
24. Dopo essersi consultati fra loro, i giudici dissero a Pilato:  - Noi non assumeremo sul nostro capo il grande peccato di condannare un innocente e di liberare dei banditi, cosa contraria alle nostre leggi.
25. Fai dunque come credi. - Avendo detto questo, i sacerdoti e i saggi anziani uscirono e si lavarono le mani in un vaso sacri dicendo: - Noi siamo innocenti della morte del giusto. -
XIV.
1. Su ordine del governatore, i soldati afferrarono Issa e i due briganti, che condussero al luogo del supplizio in cui vennero inchiodati  su croci che erano state piantate per terra.
2. Per tutto il giorno i corpi di issa e dei due banditi rimasero sospesi, sgocciolando sangue, mentre i soldati montavano la guardia, il popolo se ne stava in piedi, tutto intorno; i parenti dei due suppliziati pregavano e piangevano.
3. Al tramonto, le sofferenze di Issa finirono. Egli perse conoscenza e l'anima di questo giusto si staccò dal corpo per andare ad annullarsi nella Divinità.
4. Così finisce l'esistenza terrena  del riflesso dello Spirito eterno, sotto la forma di un uomo che aveva salvato i peccatori incalliti  e sopportato tante sofferenze.
5. Tuttavia Pilato si spaventò della propria azione e fece in modo che il corpo del santo fosse reso ai suoi parenti  che lo seppellirono vicino al luogo del supplizio; la folla venne a pregare sulla sua tomba e riempì l'aria di singhiozzi e di gemiti.
6. Tre giorni dopo, il governatore mandò i soldati a prendere il corpo di Issa per inumarlo in un altro posto, per paura di un sollevamento popolare.
7. Il giorno dopo la folla trovò la tomba aperta e vuota; subito si sparse voce che il Giudice Supremo aveva inviato i suoi angelo a prelevare la spoglia mortale  del santo, in cui una parte dello spirito Divino aveva dimorato sulla terra.
8. Quando questa voce giunse a Pilato, egli si incollerì e proibì, sotto pena di schiavitù e morte, che fosse mai pronunciato il nome di Issa, e pregato il Signore per lui.
9. Ma il popolo continuò a piangere e a glorificare a gran voce il suo maestro, così molti furono portati via prigionieri, torturati e messi a morte.
10. E i discepoli del santo Issa abbandonarono il paese di Israele e se ne andarono in ogni parte presso i pagani, predicando loro che dovevano abbandonare i loro errori grossolani, pensare alla salute della loro anima e alla perfetta felicità  che attende gli umani nel mondo immateriale e pieno di luminosità  in cui, nel riposo e in tutta purezza, dimora, in una perfetta maestà, il Grande Creatore.
11. I pagani, i loro re e i loro guerrieri ascoltarono i predicatori , abbandonarono le loro assurde credenze, lasciarono i loro sacerdoti e i loro idoli per celebrare le lodi  del saggissimo Creatore dell'universo, del Re dei Re il cui cuore è colmo di immensa misericordia.»

Come si vede, si tratta di una versione del processo e della passione di Cristo che scagiona completamente gli Ebrei da ogni responsabilità, per farla ricadere solo ed esclusivamente sul governatore Ponzio Pilato.
Non solo: i sacerdoti e gli anziani del popolo avrebbero tentato, secondo questo racconto, di intercedere per la salvezza di Cristo, ma non sarebbero stati ascoltati; allora essi, e non Pilato, avrebbero compiuto il gesto altamente simbolico di lavarsi le mani e di proclamarsi innocenti del sangue di un giusto.
Notovich, prima di convertirsi al cristianesimo greco-ortodosso, di cui divenne un fervente seguace, aveva professato il giudaismo: ciò può essere considerato un elemento casuale, ma potrebbe anche alimentare qualche sospetto circa un così completo ribaltamento del racconto evangelico, secondo il quale furono i capi del Sinedrio a perseguire ostinatamente la condanna a morte di Cristo, mentre Pilato, al contrario, avrebbe cercato in ogni modo di difenderlo e di salvargli la vita.
Però si tratterebbe di sospetti infondati, perché Notovich, nei suoi scritti successivi , si fece notare per uno spiccato antisemitismo, tanto da ottenere una citazione alquanto imbarazzante in un testo  che non ha nulla a che fare con la storia delle religioni, ma che è divenuto fra i più celebri (in senso negativo) della letteratura mondiale: il «Mein Kampf» di Adolf Hitler.

Ad ogni modo, il libro di Notovich non era passato completamente inosservato.
Se vi furono alcuni critici i quali misero in dubbio che il manoscritto in questione  esistesse e, addirittura, che Notovich fosse mai stato nel Ladakh, vi fu anche una figura eminente di studioso e di maestro spirituale che volle sincerarsi di persona di quanto vi fosse di vero nel racconto del viaggiatore russo,.
Parliamo dello swami Abedhananda (1866-1939), che fu discepolo diretto di sri Ramakrishna (1836-1886), uno dei maggiori santi indiani dei tempi moderni.
Abedhananda si recò nel Ladakh nel 1922, proprio dopo aver letto il libro di Notovich; e si presentò anch'egli al monastero di Hemis per verificare se il manoscritto tradotto dal russo esistesse realmente.
Le conclusioni della sua ricerca vennero pubblicate nel 1929, in un volume intitolato «Kashmir O Tibbate», e in esso veniva sostanzialmente confermata l'attendibilità del lavoro svolto da Notovich. Anche allo swami Abedhananda era stato mostrato il manoscritto in lingua tibetana che parlava del santo Issa, cioè di Gesù Cristo; e gli venne spiegato che si trattava di una tradizione dalla lingua pali, in cui era redatto il testo originale, conservato nel monastero di Marbour, nei pressi di Lhasa. Sul libro di Adehananda è stato pubblicato anche un libro di Ansupati Dasgupta e Kunja Bihari Kundu, «Il viaggio di swami Abhedananda in Kashmir e in Tibet», pubblicato a Calcutta dal Ramakrishna Vedanta Publication Department.
Oltre a ciò, esiste una tradizione orale, fra gli indiani di religione musulmana del Kashmir, secondo la quale Gesù Cristo, localmente chiamato Yuz Asaf, avrebbe soggiornato fra quelle montagne e vi sarebbe morto. A Rozabal, presso Srinagar, esiste ancora la tomba attribuita ad Issa o Yuz Asaf, che è stata recentemente oggetto di restauro.
Un autore indiano contemporaneo, esperto in lingua e letteratura urdu, Aziz Kashmiri, ha scritto un libro, intitolato «Cristo in Kashmir», che recentemente è stato tradotto anche in italiano (Edizioni Atlantide, Pogliano Milanese). E un regista, Richard Bock, ha realizzato nel 1975 un documentario in cui, sulla base del libro di Notovich, sostiene la tesi del soggiorno di Cristo durante i suoi «anni nascosti».
Oltre a Notovich e a swami Abhedananda, un terzo personaggio - gran conoscitore dell'Asia centrale, della sua spiritualità e dei suoi misteri - avrebbe visto e confermato la genuinità del prezioso documento del monastero di Hemis: quel Nicholas Roerich, del quale ci siano occupati in un precedente lavoro (cfr. F. Lamendola, «Sulle orme di Nicholas Roerich, alla ricerca di Shambala», consultabile sul sito di Arianna Editrice).

Pur con tutto ciò, non ci sembra che esistano, allo stato attuale delle cose, elementi sufficienti per considerare come certa e storicamente dimostrata la presenza di Gesù Cristo fra le montagne del Kashmir e del Tibet; né il manoscritto di Notovich, né le tradizioni orali sono, di per sé, elementi assolutamente probanti.
Il punto veramente decisivo dell'intera questione è quello relativo alla collocazione cronologica del supposto viaggio di Cristo in Oriente.
Se esso si deve collocare dopo la crocifissione, allora tutta la storia del cristianesimo andrebbe radicalmente rivista. Il racconto dei Vangeli e degli altri testi del Nuovo testamento non sarebbe che un travisamento, più o meno consapevole, della realtà, perché Cristo, il Messia, non sarebbe morto sulla croce.
Le conseguenze teologiche sarebbero immense: niente resurrezione, niente divinità di Gesù, almeno nel senso in cui la intendono i cristiani (per i buddhisti, la cosa è diversa: si sarebbe trattato di una manifestazione dell'essenza divina, come si evince dal capitolo XIV del manoscritto).
La tesi della sopravvivenza di Cristo al supplizio della croce non è nuova: se ne era molto parlato, in particolare, nel 1965, allorché apparve il libro «The Passover Plot» (traduzione italiana: «Cristo non voleva morire», 1968) dello scrittore ebreo-americano Hugh J. Schonfield, che venne preso sul serio, e sia pure come ipotesi di lavoro, da storici di un certo prestigio, come Bontempelli-Bruno (nella loro opera in due volumi «Il senso della storia antica»).
Invece Marcello Craveri, nel suo fortunato (e pur contestato) «La vita di Gesù», irride all'ipotesi che Cristo abbia viaggiato fino all'Himalaia, venendo a contatto con le religioni di Buddha e Zoroastro. Quanto alla morte sulla croce, non ne dubita affatto, anche se - da un punto di vista razionalista, qual è quello che egli adotta - esclude la risurrezione e la considera un racconto leggendario basato sulle forti aspettative messianiche dei suoi discepoli.
Da parte nostra, ci sembra che un soggiorno di Cristo nel Ladakh dopo la sua crocifissione sia da ritenersi inverosimile, non per un preconcetto religioso, ma perché non possiamo accettare l'idea che i racconti neotestamentari sulla passione di Cristo (e lasciamo impregiudicato, da un punto di vista storico, l'evento della resurrezione) siano il frutto di una sapiente trama di invenzioni o di un incredibile e colossale abbaglio collettivo.
Senza pretendere di sbrigare qui, in poche righe, una questione di così grande portata, riteniamo inammissibile che una cosa del genere sia potuta verificarsi, quando centinaia e centinaia di testimoni oculari erano ancora viventi e avrebbero potuto così facilmente smentire il fatto della morte sulla croce, se esso non fosse realmente avvenuto.
Né la scomparsa del cadavere, così come è narrata dagli stessi evangelisti, ci sembra possa interpretarsi nel senso che Cristo venne portato nel sepolcro ancora vivo e, poi, accompagnato lontano, per mettersi in viaggio verso la Persia e l'India: ciò sa più di un cattivo copione per un film alla «Indiana Jones», che di una seria ipotesi storica.
Vi erano troppi testimoni oculari dei fatti, ripetiamo, perché una eventuale sopravvivenza di Cristo alla crocifissione (nonostante il colpo di lancia!) e, addirittura, una sua fuga in paesi remoti dell'interno dell'Asia potessero passare inosservate, in un ambiente ristretto e curioso come lo era la Palestina dell'epoca.
Se, viceversa, si immagina di collocare il supposto viaggio di Cristo in Oriente prima dell'inizio della sua vita pubblica, e cioè durante i cosiddetti «anni nascosti» - circa i quali quasi nulla sappiamo - la cosa, per quanto estremamente improbabile, può acquistare una certa plausibilità o, almeno, essere presa in considerazione.
La tradizione orale esistente in Kashmir e relativa al soggiorno di Cristo, corredata dalla tomba del santo Issa, e lo stesso manoscritto di Notovich (il cui originale, come abbiamo visto, si trovava in un monastero presso Lhasa ed era redatto in pali) potrebbero - e sottolineiamo il condizionale - essere una eco tarda e deformata di un viaggio di Cristo in Oriente avvenuto, appunto, prima dell'inizio della sua missione pubblica.
Dal punto di vista teologico, il minimo che si possa dire è che fra l'etica della compassione insegnata da Buddha e quella predicata da Cristo non vi sono differenze sostanziali; questo, però,  non basta, ovviamente per ipotizzare che il buddhismo sia entrato a far parte del bagaglio culturale di Cristo prima dell'inizio della sua vita pubblica, né - tanto meno - che egli abbia attinto la conoscenza di esso mediante un viaggio da lui personalmente compiuto fino in India, nel  Kashmir ed in Tibet.
Non è sufficiente, infatti, una somiglianza puramente esteriore per dedurre la derivazione di una religione da un'altra e neppure un contatto diretto fra esse; non più di quanto - se ci è permesso il paragone - la presenza di due strutture linguistiche simili in due regioni lontane del globo, non autorizzi a pensare che esse abbiano avuto una radice comune - almeno, si intende, in mancanza di altri e più precisi elementi di riscontro.
La possibilità di un soggiorno di Cristo in Kashmir e in Tibet nella prima parte della sua vita rimane, dunque, una questione aperta.
Né ci sembra che, su di essa, abbia gettato sufficiente luce il libro di Fida M. Hassnain «Sulle tracce di Gesù l'Esseno», che pure tanto rumore ha prodotto al suo apparire, ma quasi soltanto negli ambienti degli esoteristi e presso certi cultori New Age di novità sensazionali ad ogni costo. Ci ripromettiamo, peraltro, di tornare sull'argomento con uno studio specifico.
Per intanto, quello che obiettivamente si può dire è che una ipotesi assai suggestiva, ma assolutamente non dimostrata, è quella che vorrebbe Gesù Cristo studiare e predicare il suo messaggio nella regione ai piedi del Karakorum, assorbendo elementi dello zoroastrismo, del buddhismo e del brahmanesimo, e rifondendoli in un originale sincretismo rigorosamente monoteista e con forti connotazioni sociali, particolarmente diretto alle classi più umili e marginali o, addirittura, ai fuori casta dell'India.
Ulteriori studi sono necessari, e non è detto che la questione potrà mai essere definitivamente chiarita, in un senso o nell'altro.