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Talebani, tibetani e l'arrogante Occidente

di Giuliano Corà - 16/11/2008

    

Obama è un nemico e se manderà altri soldati, noi combatteremo con ancora più forza. Siamo disposti a dialogare con il governo afghano solo quando le truppe straniere se ne andranno dalla nostra terra. Gli stranieri sono venuti con la forza e ci hanno occupato. Prima del loro arrivo c’era un governo islamico, le strade erano sicure, non c’erano crisi o problemi. Ora siamo costretti a lottare. A difenderci, a resistere per poter vivere le nostre vite in pace.
Zabiullah Mujahiddin, portavoce dei Talebani
da L’Espresso 14 novembre 2008


Nato nel 1912 e morto nel 2004, Fosco Maraini fu uno dei più grandi etnologi italiani. Amico e collaboratore del famoso orientalista Giuseppe Tucci, compì con lui due viaggi in Tibet, nel 1937 e nel 1949, dai quali trasse i materiali per uno dei suoi libri più celebri ed affascinanti, Segreto Tibet.
Da alcune sue pagine ho voluto riportare il breve passo che segue, cui vorrei premettere solo alcune considerazioni schematiche, anche in seguito alle recenti e davvero sciocche polemiche sull’articolo di Massimo Fini “Io, talebano”, pubblicato sul primo numero della Voce del Ribelle.
Queste righe, scritte circa settant’anni fa sono una conferma che l’antimodernismo non esprime assolutamente una nostalgia irreale ed acritica di un passato che, in quanto tale, non può più essere riproposto. Quanto puramente e semplicemente il rispetto delle tradizioni, della libertà culturale e dell'autodeterminazione di ogni popolo, cui nessun altro ha il diritto di imporre una supposta quanto inesistente superiorità.
E’ questo un concetto tanto elementare ed evidente quanto, purtroppo, decisamente estraneo all’Occidente, di qualsiasi parte politica si parli. L’America – "la più grande democrazia del mondo" – costruì le sue fondamenta nel sangue di decine di milioni di Amerindi; Stalin combatté ferocemente etnie e culture non omologantesi col socialismo realizzato; Mao Tse Tung diede il via al genocidio ed etnocidio del popolo tibetano di nuovo in nome dei principi socialisti; Iraq ed Afghanistan sono stati ridotti in macerie dall’Occidente per portarvi la "democrazia"; ed oggi una Cina sedicente comunista, in realtà grottesco contraltare orientale del più ottuso Occidente, sta compiendo l’opera.
Ogni commento, appunto, è superfluo. Rimangono solo da leggere queste poche righe di Maraini, per rendersi conto di quanto fosse "barbarico" il "Medioevo" che è stato cancellato: "I Tibetani, rispetto agli Europei delle classi meno fortunate delle grandi città, hanno mille ragioni di considerarsi più fortunati e più felici. Non sono forse ricchi, ma non sono neanche poveri; non hanno giornali, radio e cinema, ma hanno i cantastorie, i menestrelli girovaghi, il teatro popolare, e nella stagione buona possono andare in scampagnate lungo i fiumi a bere chang e a cantare fino a tardi nella notte; infine, vivono in una società profondamente stabile, dove le relazioni tra gli individui, fra gli individui e la comunità, tra l'uomo e l'universo sono saldissimi fatti, realtà su cui non si dubita in alcun modo. (...) Devo dire che i Tibetani mi sono parsi un popolo - per quanto si possa esserlo su questa misera terra - veramente felice. La felicità non dipende così necessariamente dalla struttura sociale o dal sistema di governo, come sembrano pensare i nostri contemporanei: è soprattutto una questione di equilibrio fra il mondo che circonda l'uomo e il mondo che egli porta nel cuore. Noi viviamo in un'epoca di squilibri terrificanti e saremmo infelici e miserabili sotto re, presidenti, papi o tribuni; aggregati in repubbliche o imperi, in soviet o in teocrazie. La nostra scienza ci propone un universo, la religione tradizionale ne propone un altro; i progressi della fisica e della chimica sono andati mille anni avanti a quelli delle scienze sociali e all'educazione del volere; l'Europa caput mundi sta vivendo le miserie del nobile decaduto; i canoni del vivere sono in uno statodi continua fluidità; gli ideali delle varie professioni, dei sessi, delle classi, delle età umane (elementi così importanti nelle società in equilibrio) subiscono una continua revisione: tutto muta, diviene, scorre. Nuovi equilibri a noi ignoti stanno forse preparandosi, ma vi troveranno qualche maggior pace generazioni di pronipoti. Siamo fra gli ingranaggi che girano. Qualcuno si salva: i più ne restano schiacciati".