Già da un mese ci stiamo sorbendo le pubblicità delle promozioni natalizie, le quali, se ci avete fatto caso, vengono anticipate di anno in anno. Di questo passo, in futuro inizieremo a vedere lucine e babbi natale subito dopo Ferragosto (ovviamente lasciando il dovuto spazio ad un’importante festa d’importazione ed ai suoi gadget: Halloween). Inoltre, con la famigerata crisi economica mondiale, i tentativi di farci comprare qualcosa arriveranno a sfiorare il ridicolo, anche se non sarebbe la prima volta. Infatti, oltre alle ridicole e fastidiose uscite del nostro premier, che ritiene che la colpa della recessione ricada su chi non consuma (e non su chi ha speculato per anni sulle spalle altrui), ed ai patetici “aiuti” pubblici per rivitalizzare i consumi a cui stiamo assistendo in questi giorni in Gran Bretagna e Stati Uniti, come ci ricorda Maurizio Pallante ne “La decrescita felice” - Nel mese di dicembre del 1993 i giovani imprenditori dell’Unione industriale di Torino rivolgevano questo appello natalizio ai consumatori: “Per Natale un gesto di solidarietà. Regalatevi qualcosa. Magari italiano. Può sembrare strano” - premettevano - “abbinare la solidarietà all’invito di ricominciare a consumare in occasione degli acquisti per i regali di Natale. Eppure… - aggiungevano - chiediamo di farsi, o di fare un regalo in più, meglio se Made in Italy; di compiere un investimento nei consumi a favore di se stessi o dei propri cari, con la consapevolezza di contribuire così anche agli altri. Gli altri che non conosciamo, ma che lavorano per produrre e per vendere ciò che abbiamo deciso di acquistare”-. Questa trovata non era farina del sacco dei giovani imprenditori torinesi, ma come al solito un tentativo di scimmiottare un’iniziativa pubblicitaria della casa automobilistica Range Rover che, già due anni prima, chiedeva ai “consumatori” americani di comprare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di scongiurare il rischio di entrare in una fase di recessione. Insomma, non era necessario comprare un fuoristrada (anche perché non tutti possono permetterselo), bastava comprare qualcosa: buy something! Questa geniale iniziativa non solo non ha “salvato” nessuno dal rischio di entrare in recessione, né quindici anni fa né tanto meno oggi, ma ha spinto ad esempio il movimento Adbusters ad organizzare il “Buy Nothing Day” (http://www.adbusters.org/campaigns/bnd), che già da alcuni anni si propone di bloccare i consumi per un giorno, anzi due. Quest’anno infatti saranno il 28 novembre in nord America ed il 29 nel resto del mondo. Oltre a questa ormai popolare iniziativa anti-consumistica, gli Adbusters si spingono oltre, andando a toccare, ovviamente, quella che definiscono “il festival annuale dell’avarizia”, il Natale, con lo scopo di riportarci (anche in maniera piuttosto divertente, http://www.adbusters.org/campaigns/bnd#buy_nothing_christmas) un po’ di autenticità.
Il Natale, che dovrebbe essere un importante momento di raccoglimento, è diventato da tempo la più grande di tutte le farse: è la festa dello spreco, del superfluo, dell’ipocrisia. Il Natale come messa in scena del capitalismo terminale mette ansia a molta gente, ormai, ma in pochi riescono a sfuggire a queste convenzioni sociali letteralmente preconfezionate. Non mi si fraintenda. Il problema non è il dono in sé (che anzi la Decrescita si propone di promuovere), ma tutti problemi che questa mentalità dello sperpero ci ha imposto. Che regalo fare, dove andare a prenderlo, quanti soldi spendere, quante ore di coda fare. Senza considerare l’imbarazzo che si crea quando se ne riceve uno di cui non si ha assolutamente bisogno, o che semplicemente non ci piace. O vogliamo parlare di quei bambini che, dopo aver ricevuto in un quarto d’ora i regali che si dovrebbero ricevere nell’arco dei primi diciott’anni di vita (non sono quindi loro quelli da biasimare), riempiono di allegria natalizia la casa con dei laceranti pianti isterici?
Nessuno sta dicendo di non scambiarsi regali il giorno di Natale, o di non addobbare porte e finestre delle proprie case. Fa parte dei nostri usi, delle nostre tradizioni. Lo si è sempre fatto, bene o male. Ciò di cui ci si dovrebbe rendere conto, però, è che ancora una volta abbiamo passato il limite. Chi ha stabilito questo limite? I nostri stati d’animo quando pensiamo ai regali di Natale da fare; l’ambiente, che di consumismo non ne vuole più sapere; e soprattutto questa ormai arci-nota recessione, che imporrà un limite nel consumare anche a molti fra coloro che non si sono ancora accorti di averlo passato. Il “Buy Nothing Day” (vi ricordo, 29 novembre, per passare almeno un sabato fuori dai centri commerciali) o il “Buy Nothing Christmas”, con una miriade di altre iniziative più o meno interessanti, sono provocazioni, forse addirittura avvertimenti. Sperando, come sempre, che possano giungere alle orecchie non tanto delle classi dirigenti (che le tengono chiuse di proposito), ma delle voraci masse di “consumatori globali”.
Nonostante gli sforzi di pubblicitari ed esperti di marketing, quest’anno le vendite non saranno ai livelli degli anni precedenti. Ma va bene così. In questo modo riusciremo forse a ridare il giusto valore non solo ai beni materiali, ma al Natale stesso e a tutto ciò che rappresenta, sia a livello religioso che non. Ci aiuterà a capire che lo scambio del dono dovrebbe essere un piacere, un gesto spontaneo, che possibilmente non provochi ansie. E ci ricorderà, forse, ciò che diceva il filosofo greco Aristippo già quattro secoli prima di Cristo: “La cosa migliore non è privarsi dei piaceri, ma possederli senza esserne schiavi”. Una massima che va ben oltre il Natale, perché può racchiudere ogni aspetto della nostra vita.