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Dignità e giustizia per la Palestina. Uniti contro apharteid, colonialismo e occupazione

di Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions National Committee (BDN) - 08/12/2008


Per la pubblica circolazione e sottoscrizione

Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions National Committee (BDN)

 

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December 6, 2008

Questo è un documento del comitato nazionale palestinese per il boicottaggio, disinvestimento ed il sanzionamento -Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions National Committee- (BDN):
Council of National and Islamic Forces in Palestine; General Union of Palestinian Workers; Palestinian General Federation of Trade Unions; Palestinian NGO Network (PNGO); Federation of Independent TradeUnions; Union of Arab Community Based Associations (ITTIJAH); Union of Palestinian Charitable Organizations; Palestine Right of Return Coalition; Occupied Palestine and Golan Heights Advocacy Initiative; General Union of Palestinian Women; Union of Palestinian Farmers; Grassroots Palestinian Anti- Apartheid Wall Campaign (STW); Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI); National Committee to Commemorate the Nakba; Civic Coalition for the Defense of Palestinian Rights in Jerusalem (CCDPRJ), and the Coalition for Jerusalem.

Per la sottoscrizione via e-mail scrivere a: www.bdsmovement.net

RIASSUNTO INTRODUTTIVO

Questo documento è stilato per iniziativa della comunità civile ed è un’ iniziativa del comitato nazionale palestinese della campagna BDS ed ha il fine di condividere la nostra analisi strategica apportando allo stesso tempo una serie raccomandazioni preliminari rivolte alle società civili nel mondo che le potranno dibattere e sottoscrivere. Speriamo dunque di ottenere un risultato effettivo durante la conferenza di Durban costruendo in questo modo nuove e più forti alleanze per la lotta all’interno e oltre questo forum delle Nazioni Unite. La parte I di questo documento passa in rassegna la 'questione palestinese’ così come è stata presentata nella dichiarazione di Durban e nel Programma d’azione adottato dalle Nazioni Unite in occasione della Conferenza Mondiale contro il Razzismo (WCAR) che si svolse a Durban, in Sud Africa. Concludiamo che la WCAR ha riconosciuto che il popolo palestinese è vittima di razzismo e discriminazione razziale rimanendo invece silente rispetto al modo in cui esso è stato oppresso dallo stato d’Israele. Non si è parlato nemmeno del modo in cui il razzismo e la discriminazione israeliani dovrebbero essere affrontati, né è stato previsto un seguito alla conferenza di Durban in quel proposito. Alcune delle conseguenze di tale omissione nel 2001 sono presentate in questa prima sezione.

La parte II del documento tratta invece i motivi per cui proporre un nuovo programma d’azione a Durban sarebbe rilevante per il popolo palestinese. La prima sezione riassume le importanti scoperte di organizzazioni per i diritti umani e di esperti indipendenti, i quali si sono detti preoccupati per il modo in cui il regime israeliano [1] sembra poter diventare un caso di discriminazione razziale istituzionalizzata e/o apartheid, integrando allo stesso modo le loro raccomandazioni al riguardo.

Nella seconda sezione si analizzerà invece la società palestinese negli sviluppi che l’hanno riguardata dal 2001 fino ad oggi. Si sostiene che a 60 dalla nakba del 1948 e dopo 41 anni di occupazione israeliana della West Bank, includendo Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza (OPT), esiste l’urgente necessità di riesaminare la natura particolare del regime Israeliano in relazione al popolo palestinese. Un esame attento mostrerà che si tratta di un regime d’apartheid, colonizzazione ed occupazione. Procederemo poi con il mostrare in che modo l’apartheid può essere applicata al particolare contesto del regime israeliano. L’analisi del regime criminale israeliano è seguita da una breve analisi delle misure concrete intraprese dalla società civile e dalle NGO fin dal 2001 con lo scopo di mostrare e contrastare la natura oppressiva di tale regime. Il documento termina con un riassunto delle conclusioni più rilevanti.

Nell’allegato si presenterà una lista di raccomandazioni specifiche volte a tutte le parti in causa più rilevanti con lo scopo di avviare la formulazione di un programma d’azione effettivo che ponga fine all’ apartheid israeliana, alla colonizzazione e all’occupazione attraverso gli sforzi collettivi, raccolti in tutto il mondo, per il conseguimento della giustizia e della dignità umana di tutti, quindi anche del popolo palestinese. Queste raccomandazioni sono proposte soggette ad ulteriori revisioni e discussioni.

Preambolo

La società civile composta da movimenti ed organizzazioni che condividono un uguale impegno nel perseguimento di libertà, giustizia ed uguaglianza; nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenophobia e tutte le intolleranze ad essi connesse in tutto il mondo sono firmatari di questo documento che raccoglie un programma d’azione per la nuova edizione della Conferenza di Durban. Condividiamo inoltre una concreta esperienza derivata dalla nostra lotta contro dominazione straniera, colonialismo, apartheid, schiavismo e i loro legami sono oggi manifesti in numerose regioni del mondo, insieme e di fianco agli Stati Uniti.

Per questo, la società civile, le organizzazioni e i movimenti sociali:

si dicono profondamente preoccupati rispetto al fatto che a partire dalla conferenza di Durban del 2001 la comunità internazionale includendo le Nazioni Unite ed i suoi organismi decisionali hanno fallito nella prevenzione di nuove guerre e nell’arrestare la proliferazione della dominazione straniera e dello sfruttamento di molte parti del mondo, mentre molte vittime di discriminazione razziale, genocidio e schiavismo, ancora non hanno accesso a giusti ed effettivi rimedi.

consideriamo che l’impunità di Stati Uniti, Israele e dei loro alleati per gli atti di massiccia, sistematica e persistente infrazione dei diritti umani fondamentali e per la violazione della dignità di milioni di persone costituisce una grave minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo;

riaffermiamo che il razzismo e la dominazione persistente ad opera di paesi stranieri stanno alla base delle sciagure che il popolo palestinese ha sofferto in decadi di colonialismo-insediamenti, occupazione e istituzionalizzazione della discriminazione razziale;

ripetiamo che i diritti inalienabili del popolo palestinese all’ autodeterminazione, sovranità e al ritorno dei rifugiati costituiscono parte della ricompensa a cui essi hanno diritto e devono essere protetti e promossi in modo da restaurare la giustizia e la dignità della persona e il rispetto statale del diritto internazionale;

ripetiamo che il razzismo in quanto causa radicale va affrontato e sradicato e che i diritti del popolo palestinese vanno protetti , in modo da assicurare che l’obbiettivo della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione, quindi di 'una pace giusta, comprensiva e durevole nella regione dove le persone possano convivere in sicurezza e godere dell’uguaglianza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’, possano essere raggiunti in Medio Oriente;

benvenuti all’invito delle Nazioni Unite per una revisione della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione con lo scopo di organizzarli e migliorarli.

PARTE I
Revisione e Valutazione
La questione palestinese nella Dichiarazione di Durban e nel Programma d’Azione.

1. Durban e contesto

1. La dichiarazione di Durban e il programma d’azione adottato alla conferenza mondiale contro il razzismo del 2001 vogliono individuare il contesto teorico per la lotta al razzismo e riconoscono il razzismo e la discriminazione razziale in quanto cause principali nel protrarsi delle sofferenze sofferte dal popolo palestinese e hanno lo scopo di eliminare e rovesciare le loro conseguenze ottenendo una giusta completa e durevole soluzione al lungo conflitto coloniale che si svolge in Palestina.

2. La Dichiarazione di Durban si compone di un preambolo di 122 paragrafi nei quali gli stati e le Nazioni Unite concordano i principi guida nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata e lo fanno alla luce del diritto internazionale, includendo i trattati sui diritti umani, in particolare la convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (ICERD). Molti di questi principi riguardano direttamente lo stato d’Israele e il popolo Palestinese.

3. Questi principi generali si applicano in sottosezioni relative alle: risorse, cause, forme e manifestazioni di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e tutte le forme di discriminazione ad essi legate; vittime e misure di prevenzione, educazione e protezione volte alla loro eliminazione, rimedi effettivi e strategie per raggiungere l’uguaglianza più completa ed effettiva. Nella sottosezione riguardante le vittime, la dichiarazione di Durban identifica un numero di vittime esplicitamente vulnerabili includendo tra l’altro persone di origine africana ed asiatica, indigeni, immigranti, rifugiati, comunità religiose, donne, bambini e il popolo palestinese.



La Dichiarazione di Durban: Principi fondamentali

I membri delle Nazioni Unite riaffermano i principi di uguaglianza nei diritti e di autodeterminazione dei popoli e sottolineano che gli stati hanno l’obbligo di proteggere tale uguaglianza in quanto riveste primaria importanza (preambolo);

Affermano che il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza ad essi legata costituisce una negazione del fine e dei principi della carta delle Nazioni Unite e sono di conseguenza allo stesso tempo ostacolo e gravissima violazione del pieno godimento di tutti i diritti umani; riconoscono che essi sono tra le cause primarie di molti conflitti interni ed internazionali, incluso di conflitti armati (preambolo, para 20);

Riconoscono che il colonialismo ha condotto al razzismo, alla discriminazione razziale, alla xenofobia e all’intolleranza ad essi legata, sottolineano la sofferenza causata dal colonialismo e affermano che, qualunque e dovunque essa occorra, debba essere condannata ed impedito che si ripeta (para 14, 99)

Riconoscono che non è permessa alcuna deroga al divieto di discriminazione razziale, genocidio, crimine di apartheid e schiavitù (preambolo); riconoscono che l’apartheid e il genocidio costituiscono crimini contro l’umanità e sono sorgenti primarie di sofferenza causata da queste azioni e affermano che in qualsiasi posto o momento essi accadono, debbano essere condannati e impedito che si ripetano (para 15);

Si dicono preoccupati per il fatto che in alcuni stati strutture legali e politiche o istituzioni -alcune delle quali persistono ancora oggi- alimentano la discriminazione e l’esclusione del popolo indigeno (para22);

Condannano le piattaforme polche, le organizzazioni, le legislazioni e le pratiche basate sul razzismo, la xenofobia e le dottrine che predicano la superiorità razziale e le discriminazioni ad essa legate; ricorda che la diffusione di tutte le idee basate sulla superiorità razziale e sull’ odio devono essere punite per legge in accordo con i principi sottolineati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e dall’ ICERD (para 85, 87);

Afferma con forza che le vittime di violazioni dei diritti umani derivanti da forme di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia così come da tutte le intolleranze ad essi legate devono poter essere protetti e all’occorrenza fare ricorso contro l’ ingiustizia. Ugualmente dovranno essere previsti possibili rimedi, includendo un giusto ed adeguato risarcimento per ogni danno subito conseguentemente a tale discriminazione (para 104);

Affermano di essere consapevoli degli obblighi morali che alcuni stati hanno nei confronti delle vittime di schiavismo, apartheid, colonialismo e genocidio e richiamano questi stati a prendere appropriate ed effettive misure per fermare ed eliminare le rimanenti conseguenze di queste pratiche (para 102); richiamano tutti gli stati coinvolti e invitano la comunità internazionale ad onorare la memoria di queste vittime (para 99, 106); sottolineano il fatto che ricordare ed insegnare la verità dei fatti e della storia, le cause, la natura e le conseguenze dei crimini passati e delle ingiustizie sono elementi essenziali alla riconciliazione internazionale e alla creazione di società basate su giustizia, uguaglianza e solidarietà (para 98, 106).

Sulle vittime:

Popoli indigeni: I membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati vittime di discriminazione nei secoli, in particolare in relazione alla loro terra; accoglie gli sforzi per una Dichiarazione dei Diritti dei popoli Indigeni e per la creazione di un Forum permanente sulle questioni relative ai popoli indigeni. Incoraggia gli stati, quando sia possibile, ad assicurare che i popoli indigeni siano capaci di salvaguardare la loro proprietà sulle terre e sulle risorse naturali (para 39, 42, 43, 44);

Popoli di origine africana: i membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati per secoli vittime di razzismo, discriminazione razziale e schiavismo e storicamente sono stati privati dei loro diritti, e affermano che devono essere trattati giustamente e nel rispetto della loro dignità, impedendo che soffrano discriminazioni di qualsiasi tipo [...] (para. 34);

Rifugiati: I membri delle Nazioni Unite si dicono preoccupati per il fatto che, insieme ad altri fattori, razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranze ad essi legate contribuiscono alla dislocazione forzata e alla rimozione delle persone dal loro paese d’origine. Nella fattispecie si tratta dei rifugiati e delle persone che fanno domanda d’asilo politico’ (para 25); e 'sottolineano l’urgenza di indirizzare le cause principali di tale dislocazione così come la necessità di individuare soluzioni durevoli per i rifugiati e le persone dislocate: in particolare l’esecuzione del loro volontario ritorno in patria in sicurezza e in dignità, il rinsediamento in paesi terzi e l’integrazione locale, qualora essi appaiano possibili ed appropriati’ (para 54).



4. Sebbene il popolo palestinese sia esplicitamente identificato come vittima di razzismo e discriminazione razziale nella Dichiarazione di Durban, [2] questo schema teorico ed i suoi principi non vennero applicati a questo gruppo di vittime: razzismo e discriminazione razziale non sono esplicitamente riconosciuti come sorgente o causa delle sofferenze del popolo palestinese, e non è stata fatta nessuna raccomandazione rispetto al modo in cui rispondere ad esse. La dichiarazione di Durban ripropone invece nel linguaggio da sempre utilizzato nelle risoluzioni delle Nazioni Unite quelli che sono i diritti dei palestinesi ed il processo di pace.

5. Il programma d’azione di Durban (219 paragrafi) indirizza le radici del razzismo, della discriminazione razziale e della xenofobia e delle relative intolleranze che ad essi sono legate dichiarando ciò che i governi e le Nazioni Unite sono dovuti a fare o quel che essa si aspetta essi facciano al fine di combattere questi fenomeni basandosi sui principi descritti nella dichiarazione. Le raccomandazioni operative sono fornite rispetto a questioni di ordine generale, meccanismi di prevenzione, effettivi rimedi e strategie volti ad ottenere l’uguaglianza piena ed effettiva, includendo, per esempio: raccomandazioni per esaminare e riformare il sistema educativo e la sanità pubblici; la riforma delle costituzioni, le leggi e sistema giudiziario; l’ alleviamento della povertà; buon governo, ed altri. Vengono poi specificati i ruoli di svariati autori, includendo governi, parlamenti, partiti politici e il settore del business privato, dei media e della società civile.

6. Le raccomandazioni operative incluse nel Programma d’azione di Durban sono state considerate largamente inefficaci dalla maggioranza delle vittime di importanti violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Queste raccomandazioni sono infatti generalmente vaghe ed evitano di nominare gli Stati e le cause coinvolti.

7. Per quanto riguarda il popolo palestinese in quanto vittima, il programma d’azione di Durban risulta particolarmente non significativo poiché non viene fatto nessun riferimento alle sorgenti del razzismo e della discriminazione razziale contro di esso, non viene inoltre individuata nessuna misura concreta volta a fermare ed eliminare le loro conseguenze.

Lo schema di Durban nella sua applicazione al popolo palestinese

Nella Dichiarazione (sottosezione sulle vittime):

Gli stati coinvolti esprimono la propria preoccupazione riguardo alle sofferenze del popolo palestinese che si trova sotto occupazione straniera; riconoscono il suo inalienabile diritto all’ autodeterminazione e a stabilire uno stato indipendente, così come 'il diritto alla sicurezza di tutti gli stati nella regione, incluso Israele, e richiamano tutti gli stati a sostenere il processo di pace conducendolo verso una veloce conclusione’ (para 63);

Fanno appello per una 'giusta, esauriente e durevole pace nella regione grazie alla quale tutte le persone potranno convivere nella condivisione dell’uguaglianza, della sicurezza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’ (para 64);

Riconoscono il diritto dei rifugiati a ritornare volontariamente alle loro case e proprietà in dignità e sicurezza, e richiamano tutti gli stati a facilitarli nell’adempimento di tale ritorno (para 65);

Nel programma d’azione, l’unica raccomandazione operativa è inclusa nella sezione III (misure per la prevenzione, l’educazione e la protezione volte all’ eliminazione di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata a livello nazionale, regionale ed internazionale):

Il programma chiede che 'si ponga fine alla violenza e rapidamente si ridia inizio alle negoziazioni, nel rispetto dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, così come del principio di autodeterminazione dei popoli nella volontà di porre termine a tutte le sofferenze, quindi permettendo ad Israele e ai palestinesi di concordare un processo di pace e prosperare nella crescita reciproca in sicurezza e in libertà’ (para 151).

2. Organismi di monitoraggio conseguenti a Durban

8. Il programma d’azione di Durban è sostanzialmente sprovvisto di sostanziali raccomandazioni operative e non prevede organismi di monitoraggio volti a fermare e a eliminare il razzismo e la discriminazione razziale contro il popolo palestinese. Le iniziative diplomatiche di pace degli stati e delle Nazioni Unite hanno ignorato o rimosso il ruolo che hanno razzismo e discriminazione razziale operati dallo stato d’Israele come causa e sorgente del lungo conflitto.

3. Conseguenze del mancato riconoscimento di razzismo e discriminazione razziale nell’odierna diplomazia in Medio Oriente.

Lo stato D’Israele


9. A partire dall’adozione della Dichiarazione di Durban e dal programma d’azione 2001, lo stato d’Israele ha aggredito militarmente diversi stati nella regione (Iraq, Siria, Iran) e si è adoperato in un’ ulteriore guerra d’aggressione (Libano 2006).Nei Territori Palestinesi occupati nel 1967 (OPT) Israele ha unilateralmente cancellato la maggior parte delle disposizioni stabilite durante gli Accordi di Oslo che consentivano un limitato auto-governo palestinese e lo ha fatto sostenendo un’ aggressiva campagna militare. Fin dal 2007 l’intera striscia di Gaza è sotto occupazione: quest’ultima è stata universalmente riconosciuta come una forma di punizione estrema e collettiva della popolazione civile venendo definita 'preludio al genocidio’ da un esperto indipendente. [3]

10. A sessant’anni dalla Nakba palestinese del 1948, il primo trasferimento massiccio che distrusse la storica nazione della Palestina, lo stato d’Israele ha continuato a impedire il ritorno dei rifugiati palestinesi con l’uso della forza, del diritto e delle delibere della corte. E’ in questo contesto per esempio che venne approvata la legge per l’Assicurazione della prevenzione della legge sul diritto al ritorno, passata nel 2001 e nel 2003, la suprema corte ha capovolto le sue precedenti decisioni che permettevano il ritorno dei palestinesi originari del villaggio di Iqrit, internamente dislocati e cittadini di Israele, partendo dal presupposto che questo avrebbe potuto costituire un precedente legale per milioni di rifugiati palestinesi le cui rivendicazioni dovranno essere affrontate e risolte durante i futuri negoziati politici.[4]

11. Fino al 2008 lo stato d’Israele ha confiscato o annesso di fatto più di 3,350 km2 (di un totale di 5,860 km2) di terra palestinese nella West Bank al fine di portare a termine la colonizzazione ebraica [5] e quindi il controllo di tutta la Palestina storica (Israele e oPT). Israele continua a cambiare la composizione demografica di tutto il territorio al beneficio esclusivo della popolazione ebraica. Lo fa attraverso politiche e pratiche che sono in flagrante violazione del diritto internazionale e delle norme del diritto pubblico:

12. All’interno di Israele, i cittadini palestinesi rimangono discriminati in tutti gli aspetti della loro vita. [6] L’espropriazione della terra di proprietà palestinese continua attraverso politiche di 'sviluppo’ che sono discriminatorie nei confronti del popolo palestinese nell’assegnazione delle risorse, incluso nei piani per aumentare la popolazione ebraica nella Naqb (Negev) e in Galilea. In particolare le popolazioni nomadi palestinesi (I beduini) e gli abitanti delle cosiddette 'città miste’: quelle città abitate da ebrei ed un consistente numero di palestinesi autoctoni.

13. L’esecuzione e lo sviluppo di piani ad hoc è accompagnata dalla segregazione e demolizione di case. All’incirca 3.000 palestinesi cittadini della cittadina storica di Jaffa, per esempio, hanno recentemente ricevuto ordine di demolizione, perchè considerati occupanti abusivi nelle loro proprie abitazioni.[7] Più di 100.000 beduini, cittadini palestinesi dello stato d’Israele, abitano in quelli che vengono denominati 'villaggi non riconosciuti’, sprovvisti di accesso ai servizi più elementari come acqua, elettricità, cliniche per la salute e l’educazione pubblica e non possono normalmente ottenere permessi di edificazione. Recenti piani dello stato d’Israele mirano a raccogliere i beduini residenti nella Naqab in sette 'aree di concentrazione (rikuzim in ebraico) confiscando quel che rimane della loro terra; decine di migliaia di case e proprietà dei beduini hanno ricevuto l’ordine di demolizione. [8]

14. Nei Territori Palestinesi Occupati: l’attività coloniale israeliana continua implacabile nella West Bank. Le aree occupate particolarmente colpite sono: Gerusalemme Est, la valle di Giordania e le aree rurali, in particolare quelle vicine al muro.[9] Più di 600 chek-points israeliani impediscono la libertà di movimento dei palestinesi e migliaia di piani per la costruzione di unità abitative esclusive per ebrei sono stati annunciati a partire dal summit di Annapolis. [10] Nel marzo 2008 era già partita la costruzione in oltre 100 colonie (insediamenti abitativi dove vivono ebrei esclusivamente) e in 58 'avamposti’. Nella sola area di Gerusalemme Est occupata la colonizzazione procede sotto la forma di piani di sviluppo discriminatori,[11] nuovi piani sono stati annunciati per la costruzione di 13.000 unità abitative all’incirca a partire dal dicembre 2007.

15. Nei territori Palestinesi Occupati, la demolizione di case palestinesi e la segregazione delle comunità palestinesi sono servite alla colonizzazione ebraica come misure punitive contro la popolazione civile occupata: Israele ha demolito all’incirca 19.000 case nei Territori Palestinesi Occupati tra il 1967 e il 2006. [12] Tra il gennaio 2000 e il settembre 2007 più di 1.600 edifici palestinesi sono stati demoliti nell’area C/West Bank, dove oltre 3.000 case sono a rischio di demolizione. [13] Nella Striscia di Gaza più di 4000 case sono state demolite durante operazioni militari tra il 2000 e il 2004. [14] A partire dalla metà del 2007 approssimatamente 1.5 milioni di cittadini palestinesi della Striscia Occupata di Gaza sono stati fisicamente, economicamente, socialmente e politicamente segregati a seguito dell’assedio perpetrato da Israele.

16. Nuova ondata di trasferimento forzato di palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. Si stima che più di 115.000 palestinesi siano stati internamente dislocati durante queste ultime quattro decadi di occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati, [15] mentre 266,442 persone appartenenti a 78 comunità oggi corrono il rischio di essere trasferite. [16] Nella Striscia di Gaza le operazioni militari israeliane hanno causato il temporaneo dislocamento forzato di oltre 50.000 persone solamente tra il 2000 e il 2004. [17]

17. Le corti israeliane privano le vittime palestinesi dei dovuti processi e dei rimedi effettivi. Omicidi extra giudiziari (omicidi premeditati) di palestinesi ricercati dall’intelligence israeliana e di testimoni civili sono stati sanzionati dalla Corte Suprema. [18] Il tasso di incarcerazioni tra i cittadini palestinesi che vivono nei Territori Palestinesi Occupati è tra i più alti nel mondo: si stima che più del 40 per cento degli uomini palestinesi nei oPT siano stati incarcerati. [19] 8,403 palestinesi, tra loro donne e 293 bambini e 649 cosiddetti 'detenuti amministrativi’ sono correntemente detenuti senza regolare processo ed esposti a tortura e ad altre forme di maltrattamento in centri di detenzione e in prigioni palestinesi. [20] Numerosi casi in cui soldati israeliani o coloni hanno ucciso o ferito civili palestinesi nei Territori Occupati nell’impunità sono stati documentati da organizzazioni [21] che trattano di diritti umani. La commissione ufficiale d’inchiesta sull’uccisione di 13 cittadini palestinesi ad opera delle forze di polizia israeliane durante una manifestazione nel 2000 (orr commission) ha mancato nel punire i responsabili dell’accaduto.

18. A partire dal 2001 il parlamento palestinese ha approvato nuove leggi discriminatorie e ammendato leggi esistenti con il fine di limitare l’accesso palestinese ai diritti fondamentali e a possibili rimedi. Esempi di tali leggi sono la legge per l’ingresso e la cittadinanza in Israele (Citizenship and Entry into Israel Act) del 2003 che è una legge temporanea, la quale nega alla maggior parte dei palestinesi residenti nei Territori Occupati il diritto di vivere in Israele con le loro spose che sono cittadine dello stato d’Israele; e gli ammendamenti risalenti al 2005 e al 2006 della legge sulle ingiustizie civili (Civil wrongs) e le responsabilità dello stato. Attraverso questi ammendamenti si è limitata la possibilità dei palestinesi residenti nei Territori Occupati di ricorrere per vie legali alle ingiustizie subite dai soldati israeliani.

19. Lo stato d’Israele non ha riconosciuto né messo in pratica le opinioni ed i consigli forniti nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia rispetto al muro e alle condizioni ad esso associate nei Territori Occupati e continua a sfidare la competenza della corte internazionale di giustizia (ICJ) in questo campo. Israele dichiara che nel contesto specifico di un’occupazione che si protrae ormai da 41 anni non esistono obblighi rispetto ad essa che derivino dalla Quarta Convenzione di Ginevra e dal diritto internazionale umanitario. Queste posizioni, per quanto inconsistenti con gli standard internazionali, sono state largamente sostenute dalla Corte Suprema Israeliana.

20. Lo stato d’Israele afferma che la situazione d’illegalità presente nei Territori Occupati risulta innanzitutto da necessarie misure militari che lo stato intraprende per difendere la propria sicurezza, non trattandosi di aggressione militare nei confronti dei palestinesi e di altri individui di origine araba. Dichiara inoltre che ciò è giustificato dalla necessità di combattere 'il terrorismo islamico’. Lo stato d’Israele e le agenzie ad esso affiliate (per esempio L’organizzazione Mondiale Sionista, l’Agenzia Ebraica ed il Fondo Nazionale ebraico -World Zionist Organization, Jewish Agency, Jewish National Fund-) negano che razzismo e discriminazione razziale siano la causa e la conseguenza di questo lungo conflitto con il popolo palestinese minando alla base il dibattito che da ciò scaturirebbe e rivendicando che tale dibattito costituirebbe una forma di antisemitismo (vedi sezione III/B, parte sull’ antisemitismo).

La comunità internazionale

21. Condividendo il piano razzista basato sulla giustificazione della dominazione straniera attraverso la propagazione di sentimenti islamofobici gli Stati Uniti con i loro alleati hanno sostenuto la politica d’aggressione israeliana. Gli stati occidentali e la comunità diplomatica internazionale hanno negato la legittimità degli argomenti della comunità palestinese a proposito del suo diritto di resistere al colonialismo e all’occupazione straniera, diritto basato su tutta una serie di risoluzioni dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La comunità internazionale rappresentata dal 'quartetto’ (Stati Uniti, Comunità Europea, Federazione Russa e Segreteria Generale delle Nazioni Unite) hanno fallito nell’obbligo di intraprendere misure che avrebbero assicurato il rispetto e l’osservanza da parte di Israele del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’opinione della Corte Internazionale di Giustizia. Nessuna alta parte sottoscrivente alla Quarta Convenzione di Ginevra ha intrapreso misure, incluse quelle previste dalla convenzione, volte a porre rimedio alle continue e gravi violazioni di Israele (art. 147).

22. La comunità internazionale, innanzitutto i funzionari pubblici occidentali e i mezzi di comunicazione di massa, hanno piuttosto largamente adottato il cosiddetto approccio 'equilibrato’ laddove sistematiche e massicce violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario (IHL) commesse da Israele sono attentamente bilanciate con dichiarazioni diplomatiche riguardanti le violazioni palestinesi del IHL commesse nel contesto della resistenza, come se singoli attori che non rappresentano lo stato potessero essere le giuste controparti in un conflitto armato tra stati, e razzismo, colonialismo, dominazione straniera non lo fossero. La comunità diplomatica ha dunque protetto Israele dalla condanna del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovuta alle sue pratiche illegali: essa ha dunque una parte di responsabilità nelle conseguenze che ne derivano.

23. Gli stati occidentali, in particolare il Nord America e l’Europa, hanno premiato la disobbedienza israeliana dei suoi obblighi legali aumentando la cooperazione diplomatica, economica e militare con lo stato d’Israele. Allo stesso tempo nel 2006 la comunità internazionale imponeva sanzioni diplomatiche ed economiche durissime contro il popolo palestinese al fine di minare il risultato delle elezioni democratiche palestinesi nei Territori Occupati. Questi stati, così come il loro settore privato, sono complici nel mantenimento dell’ attuale situazione illegale e colonialista così come del razzismo che essi comportano e dell’impunità dello stato d’Israele e dei suoi agenti.

24. La comunità internazionale non ha dunque protetto la popolazione palestinese ed ha invece minato i suoi inalienabili diritti, inclusi l’autodeterminazione ed il ritorno dei rifugiati. Ha pertanto contribuito ad una crisi umanitaria senza precenti nei Territori Occupati e ha minato la prospettiva della diplomazia in Medio Oriente di individuare un chiaro e dichiarato obbiettivo: ad esempio risolvere il conflitto con la creazione di due stati indipendenti in accordo con il diritto internazionale. La comunità internazionale ha poi ulteriormente mancato di combattere razzismo e discriminazione razziale così come era previsto nella dichiarazione di Durban e nel suo programma d’azione.

1. Il ruolo delle Nazioni Unite, degli Organismi di tutela dei Diritti Umani e degli Esperti Indipendenti.

25. Nonostante il fatto che nessun meccanismo di tutela ed azione della conferenza di Durban è stato reso disponibile, l’ assemblea generale delle Nazioni Unite, Organismi di tutela dei diritti Umani ed esperti indipendenti hanno fornito importanti contributi all’esecuzione in Israele dei principi stabiliti nella Dichiarazione di Durban e nel suo relativo programma d’azione nella tutela del popolo palestinese. Lo hanno fatto in diverse maniere: (i) richiamando l’attenzione sulla sistematica discriminazione razziale perseguita da Israele nei confronti del popolo palestinese, includendo segregazione ed apartheid; (ii) individuando risorse, cause, forme e manifestazioni contemporanee di questo regime; e, (iii) raccomandando e prendendo misure pratiche al fine di fermare e capovolgere le sue manifestazioni. [22]

Discriminazione Razziale istituzionalizzata:

La Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) definisce esaurientemente la discriminazione razziale come 'ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza che si basi su razza, colore, discendenza origine nazionale ed etnica che ha lo scopo o l’effetto di annullare o danneggiare il riconoscimento o godimento di un paritario esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel campo politico, economico, sociale culturale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica.’ Si parla di discriminazione razziale istituzionalizzata nei casi in cui si possa dimostrare che esiste un modello ricorrente e massiccio in particolare nella segregazione secondo appartenenza razziale, come risulta dalle leggi, politiche o pratiche attuate nel tempo. La discriminazione razziale istituzionalizzata è proibita e può diventare apartheid. L’articolo 3 della convenzione richiede agli stati membri di condannare la segregazione razziale e l’apartheid intraprendendo misure atte a prevenirle, proibirle, ed eliminarle dal territorio.


26. La natura del regime Israeliano: discriminazione razziale istituzionalizzata e apartheid
- Tutti i trattati di comitati sui diritti umani e gli inviati speciali delle Nazioni Unite si sono detti preoccupati perché Israele sistematicamente evita di mettere in pratica i trattati sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati che sono sotto il suo controllo effettivo. [23]
- Alcuni, tra cui il comitato sui diritti del bambino (CRC) e il comitato contro la tortura (CAT) si sono detti preoccupati per la diffusione della tortura e per la differenza con cui si definisce il/la bambino/a in Israele (persone al di sotto dei 18 anni) e nei Territori Occupati (persone al di sotto dei 16 anni) nella legislazione israeliana. [24]
- Molti di loro, incluso il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR), il CERD , l’inviato speciale delle Nazioni Unite al diritto per alloggi adeguati e l’inviato speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo si sono detti preoccupati per il fatto che leggi, politiche e pratiche israeliane in Israele e nei Territori Occupati influenzano l’accesso palestinese ai diritti fondamentali: all’abitazione, alla terra e all’acqua. Questo sembra potersi ascrivere ad una pratica sistematica di discriminazione razziale. [25]
- Il comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) nel suo esame del 2007 riguardo allo stato d’Israele ripete per cinque volte la propria preoccupazione rispetto alla violazione dell’ Articolo 3 della convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale nella quale si condanna la segregazione razziale e l’apartheid e si raccomanda di intraprendere misure atte alla prevenzione, proibizione ed eliminazione di tali pratiche. [26]
-A partire dal 2005 i reportages dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati hanno allertato le Nazioni Unite per il fatto che il protrarsi dell’occupazione militare di Israele non è una forma di occupazione 'normale’ (legale), ad esempio: una misura ad interim volta a mantenere l’ordine di un territorio in seguito ad un conflitto armato, ma piuttosto un regime di una potenza colonizzatrice sotto le spoglie d’occupazione che include le peggiori caratteristiche di un regime d’apartheid: frammentazione del territorio, politica di detenzione massiccia, sistema di strade separate e permessi che restringe la libertà di movimento sulla base dell’ appartenenza nazionale, religiosa ed etnica. [27]

27. Radici, cause e manifestazioni odierne del regime di discriminazione razziale israeliano:
- Il CESCR (1998) [28] ha notato con grave preoccupazione il fatto che 'la Legge sullo Status di cittadinanza del 1952 autorizza l’Organizzazione mondiale Sionista e l’Agenzia Ebraica ed i loro assistenti, incluso il Fondo Nazionale Ebraico, a controllare la maggior parte della terra in Israele, in quanto queste tre organizzazioni hanno lo scopo di beneficiare esclusivamente la popolazione ebraica’. Il comitato ha espresso l’opinione secondo cui la sistematica e diffusa confisca della terra e delle proprietà palestinesi da parte dello stato e il loro trasferimento alle già menzionate agenzie costituisce una forma di discriminazione istituzionalizzata in quanto tali agenzie negano per definizione l’uso di queste proprietà ai non ebrei. Queste pratiche risultano dunque essere una violazione degli obblighi che vincolano Israele alla Convenzione’ (para 11). Il CESR ha inoltre notato con preoccupazione 'che la legge sul ritorno, che permette ad ogni persona ebrea di emigrare in Israele da qualsiasi parte del mondo potendo automaticamente godere del diritto di residenza ottenendo la cittadinanza israeliana, è discriminatoria nei confronti dei palestinesi della diaspora ai quali il governo di Israele ha imposto condizioni restrittive che rendono pressoché impossibile il ritorno alla loro patria d’origine’ (para 13). Nel rapporto periodico che il CESR fa a proposito di Israele nel 2003 si nota con rammarico che le precedenti osservazioni non hanno avuto riscontro e le questioni coinvolte rimangono irrisolte. [29] Il CESR aggiunge inoltre che 'era particolarmente preoccupato per la questione della 'nazionalità ebraica’ che è oggetto di trattamento preferenziale nella legge israeliana sul ritorno. Essa garantisce infatti la cittadinanza automatica e benefici finanziari da parte del governo, in pratica trattando in maniera discriminatoria le persone che non sono ebree, in particolare i rifugiati palestinesi’ (para. 18).
- Nel 2007, il CERD [ 30] ha definito segregazione la pratica israeliana di mantenere 'settori arabi ed ebraici’ nell’ educazione, nella sanità e nelle strutture abitative insieme alla mancanza di accesso paritario allo stato e ai servizi pubblici dei cittadini palestinesi di Israele (all’interno delle linee di demarcazione decise in seguito all’armistizio del 1949; para 22). Nei confronti dei Territori Palestinesi occupati il CERD nota con preoccupazione l’applicazione di leggi e pratiche differenziate per israeliani e palestinesi (para 35). In particolare si è detto preoccupato per le pratiche israeliane: includendo la segregazione che in tutte le sue forme è conseguente al muro ed al regime ad esso associato, l’espansione degli insediamenti ebraici e la severa restrizione della libertà di movimento dei palestinesi, così come la distribuzione disuguale delle risorse e dei servizi, e infine, la demolizione di case, ascrivibile alla discriminazione razziale, che altera la composizione demografica del paese. (para 14, 32-35).

28. Raccomandazioni e misure pratiche intraprese al fine di fermare ed eliminare le manifestazioni del regime israeliano negli aspetti di apartheid/discriminazione istituzionalizzata, colonizzazione ed occupazione armata includono immancabilmente allo stesso tempo raccomandazioni ad Israele di rispettare i suoi doveri di fronte al diritto internazionale e raccomandazioni agli stati delle Nazioni Unite di astenersi dall’approvare misure che sostengano la corrente situazione di illegalità agendo piuttosto perché Israele osservi il diritto internazionale:
- Su iniziativa dell’ Assemblea Generale la Corte Internazionale di Giustizia ha redatto nel 2004 le Note di raccomandazione sulle conseguenze legali della costruzione del muro israeliano e della situazione che ne è derivata nei Territori Occupati. La CIJ ha riconosciuto l’applicabilità dei diritti umani e di tutte le norme del diritto umanitario internazionale nei Territori Occupati, chiedendo ad Israele di smantellare il muro illegale e le sue conseguenti infrastrutture, assicurando il completo risarcimento per i danni subiti alle vittime e si è raccomandato che gli stati si astengano da misure che aiutino a mantenere la corrente situazione di illegalità. Successive risoluzioni dell’Assemblea Generale hanno poi dato vita ad un registro dei danni compilato dalle Nazioni Unite (UNRoD) il quale non è ancora stato reso operativo in questa seconda metà del 2008.
- Nel 2007, il CERD ha richiamato Israele perché facilitasse il ritorno dei rifugiati palestinesi alla loro terra e alle loro proprietà e mettesse in pratica il diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini come norma generale fondamentale del diritto civile (tale diritto all’uguaglianza infatti non è oggi riconosciuto in Israele). Il CERD si è poi detto preoccupato per il fatto che istituzioni para statali israeliane quali il Fondo Nazionale Ebraico, l’Organizzazione Mondiale Sionista e l’Amministrazione per la Terra Israeliana stanno gestendo terra, abitazioni e servizi in maniera discriminatoria a vantaggio della popolazione ebraica e hanno richiamato Israele perché si assicuri che tali organismi rispettino il principio di non discriminazione (para 16-21). Il CERD si è inoltre raccomandato affinché la definizione di Israele come stato ebraico non diventi in nessun modo motivo di discriminazione sistematica basata su criteri legati a razza, colore, discendenza, origine etnica o nazionale (para 17). Raccomandazioni simili sono state pubblicate dal CESCR a partire dal 1998.
- Fin dal 2006 l’inviato speciale per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati ha ricordato alla comunità internazionale 'l’inutilità delle raccomandazioni al governo di Israele perché adempia al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani’ e che ' i membri delle Nazioni Unite hanno l’obbligo legale di proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e prendere misure allo scopo di assicurarsi che Israele rispetti il diritto internazionale’. Si è poi fatto appello agli stati occidentali in particolare, alleati d’Israele, perché prendessero misure 'volte alla salvaguardia della credibilità degli organismi di tutela dei diritti umani internazionali’. L’inviato speciale ha deplorato il fatto che l’impegno internazionale di porre fine ad occupazione, colonizzazione ed apartheid israeliane sembrasse dimenticato e che la comunità internazionale fosse divisa tra Occidente e resto del mondo. Ha richiesto alla Segreteria Generale delle Nazioni Unite di indietreggiare dal quartetto che ha di fatto imposto sanzioni economiche al popolo palestinese per avere, con mezzi democratici, eletto un governo che l’Occidente ed Israele ritenevano inaccettabile. Ha inoltre richiesto una seconda opinione della Corte Internazionale di Giustizia a proposito: 'delle conseguenze legali del lungo regime Israeliano e dell’occupazione che include elementi di apartheid e colonialismo’. [31]
-Nel 2007 il comitato speciale delle Nazioni Unite che investigava sulle pratiche israeliane a danno dei diritti umani del popolo palestinese e di altre persone di origine araba nei Territori Occupati ha raccomandato all’ Assemblea Generale di 'spingere il Consiglio di Sicurezza verso la considerazione di sanzioni contro Israele qualora quest’ultimo continuasse a non rispettare i suoi obblighi rispetto al diritto internazionale assicurandosi che 'altri stati non supportino in nessun modo, direttamente o indirettamente, la costruzione del muro di separazione che attraversa i Territori Palestinesi occupati, e che accordi bilaterali tra Israele ed altri stati non violino i loro rispettivi obblighi rispetto al diritto internazionale’ [32]

29. Ulteriori misure pratiche intraprese includono nuovi sforzi volti al miglioramento della protezione internazionale delle vittime palestinesi e limitati sforzi per ottenere che gravi violazioni del diritto internazionale siano sottoposte a regolare processo:
-Sforzi per proteggere in maniera più effettiva la popolazione palestinese occupata attraverso il monitoraggio, la documentazione, l’assistenza e la difesa sono stati intrapresi dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle NGO dei Territori occupati sotto il controllo di OCHA e OCHR. Un’iniziativa che riveste particolare importanza nell’ eliminazione delle cause del conflitto è il Gruppo di Lavoro permanente sul Dislocamento Forzato, che si è formato nel 2008 mettendo in pratica la Risposta di collaborazione al Dislocamento forzato nei Territori Occupati basata sui Principi Guida sul Dislocamento Interno del 1998.
- La commissione generale di UNRWA , l’Alta Commissione dei diritti Umani e l’Arcivescovo Desmond Tutu sono stati tra i pochi coraggiosi che hanno pubblicamente richiesto la fine dell’ impunità per le massicce violazioni dei diritti umani e per i crimini di guerra i cui responsabili devono essere puniti, in particolare lo stato di Israele , insieme ai suoi organismi ed agenti.

30. Fino ad oggi nessuna di queste iniziative gestite dall’Assemblea Generale, da organizzazioni per la tutela dei diritti umani, agenzie ed esperti indipendenti ha condotto a tangibili risultati per le vittime palestinesi.

2. Il ruolo della Società civile e delle ONG

Come la società civile analizza il regime israeliano sul popolo palestinese: Apartheid, Colonialismo ed Occupazione


31. A partire dal Forum di ONG creatosi a Durban nel 2001, le organizzazioni della società civile e le ONG si sono sistematicamente impegnate ad analizzare la natura coloniale e d’apartheid del regime Israeliano sul popolo palestinese. Tali analisi riflettono l’esperienza di palestinesi, altre persone di origine araba e di ebrei non sionisti: è sostenuta da ricerche storiche in archivi israeliani e dai risultati di ricerche di esperti indipendenti e di organizzazioni per la tutela dei diritti umani.

Il crimine d’apartheid

L’apartheid è una delle più gravi forme di razzismo, e si tratta di 'un sistema politico in cui il razzismo è regolamentato dal diritto attraverso atti del parlamento.’ [33] L’articolo 3 della Convenzione sull’Eliminazione della Discriminazione razziale -CERD- definisce l’apartheid come una forma di discriminazione razziale. La convenzione sull’ abolizione e la punizione del crimine di apartheid (1967) definisce apartheid come 'politiche e pratiche di segregazione razziale e discriminazione quali quelle che vennero praticate in sud Africa e che hanno lo scopo di stabilire e mantenere il dominio delle persone appartenenti ad un gruppo razziale su un altro gruppo razziale opprimendolo sistematicamente, in particolare attraverso mezzi quali segregazione, espropriazione della terra o negazione del diritto di tornare al proprio paese, il diritto alla nazionalità e il diritto alla libertà di movimento e di residenza (Art II). Lo statuto di Roma definisce Apartheid come quegli atti inumani 'commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominio di un gruppo razziale su uno o più di un altro e commessi con l’intenzione di mantenere tale regime.’

Apartheid costituisce un crimine contro l’umanità. Membri di organizzazioni ed agenti di uno stato d’apartheid sono soggetti alla persecuzione penale, qualunque sia il motivo scatenante e in qualsiasi momento essi lo commettano, che vi prendano parte direttamente o meno, incitando o ispirando, spalleggiando direttamente, incoraggiando o cooperando all’esecuzione del crimine d’apartheid (art. III, 1976 Apartheid Convention). Tutti gli stati sono obbligati a condannare, sopprimere e punire coloro che sono coinvolti nel crimine d’apartheid. [34]


32. Le radici del regime israeliano affondano nel terreno dell’ideologia razzista del colonialismo europeo del 19 secolo il quale venne adottato dalla corrente maggioritaria all’interno del movimento sionista (World Zionist Organization, Jewish Agency, Jewish National Fund) in modo da giustificare e reclutare il sostegno politico al suo progetto coloniale di un esclusivo stato ebraico in Palestina (nell’ area che comprende oggi Israele e i Territori Occupati). Il movimento secolare sionista tradusse dunque antiche nozioni religiose/spirituali ebraiche che definiscono gli ebrei 'un popolo eletto’ o ' Eretz Israel’ in un programma politico colonialista aggressivo e razzista basato sulla dottrina secondo la quale gli ebrei erano una nazione in termini politici e possedevano superiori diritti sulla Palestina –chiamati a 'riscattare’ la Palestina, definita una 'terra senza popolo’. [35]

33. La realizzazione di questo progetto razzista venne perseguita con il supporto dei poteri imperialisti occidentali (specialmente la Gran Bretagna e gli Stati Uniti) e più tardi delle Nazioni Unite, attraverso pratiche e politiche coloniali di trasferimento della popolazione ('ethnic cleansing’) basate sull’insediamento massiccio di immigrati ebrei in Palestina e sul trasferimento della maggioranza delle popolazioni indigene arabe. [36] Il progetto sionista di pulizia etnica iniziò molto prima del conflitto del 1948 [37] ma si compì prevalentemente durante e sotto le spoglie di quel conflitto: da 750.000 a 900.000 indigeni palestinesi vennero dislocati con la forza e quasi 500 comunità palestinesi spopolate dalle milizie sioniste e –dopo il 15 maggio 1948- dall’armata dello stato d’Israele, in modo da far spazio al nuovo stato nel 78 % della totalità del territorio che occupava la Palestina prima della guerra.

34. Lo stato d’Israele ha ereditato ed istituzionalizzato l’ideologia razzista e la pratica del primo movimento sionista. A partire dal 1948, legislatori e governi israeliani insieme alle organizzazioni sioniste e ai loro collaboratori, hanno stabilito e sviluppato un regime di discriminazione razziale istituzionalizzata che provvede agli interessi e alla superiorità del gruppo dominante (vedi sotto) e mantiene lo status d’inferiorità del popolo palestinese opprimendolo sistematicamente. Attraverso tale regime, lo stato d’Israele continua ad affermare il proprio controllo sulla massima parte di terra palestinese possibile riducendo la popolazione palestinese al minimo possibile: colonizzazione, divieto di ritorno ai rifugiati, colonizzazione e trasferimento forzato della popolazione hanno questo scopo.

35. Il regime Israeliano sul popolo palestinese è diventato un regime d’apartheid; e mostra infatti molti degli aspetti descritti a proposito del crimine come descritto dal diritto internazionale (ICERD, Apartheid convention, Rome Statute):
-La discriminazione razziale contro il popolo palestinese è stata formalizzata ed istituzionalizzata attraverso la creazione della legge per 'la nazionalità ebraica’ il che non vale a dire nazionalità israeliana; non esiste infatti nazionalità israeliana. La legge sul ritorno del 1950 è di fatto una legge che regola la nazionalità perché dà a tutti gli ebrei, ed ebrei solamente, il diritto di cittadinanza, vale a dire il diritto di entrare 'Eretz Israel’ (Israele e i Territori Occupati) e godere immediatamente e completamente di pieni diritti legali e politici. 'La nazionalità ebraica’ secondo la legge sul ritorno è extraterritoriale, in contravvenzione alle norme del diritto pubblico riguardanti la nazionalità. [38] Ciò include cittadini ebraici di altre nazioni, abbiano essi o meno la voglia di essere parte del cosiddetto collettivo dei 'cittadini ebraici’, ed esclude 'non ebrei’ (ad esempio palestinesi) dal diritto di cittadinanza in Israele. [39]
- La legge sulla cittadinanza del 1952 [40] venne approvata con il fine di regolamentare l’acquisizione della cittadinanza israeliana di ebrei e non ebrei. Tale cornice legale ha di fatto creato un sistema legislativo discriminatorio e duale in cui gli ebrei hanno nazionalità e cittadinanza e i palestinesi indigeni la sola cittadinanza. [41] Secondo quanto previsto dalla legge israeliana lo status di nazionalità ebraica è accompagnato da diritti e da benefici che non sono invece accordati ai cittadini palestinesi.
-Il ritorno dei rifugiati palestinesi e delle persone internamente dislocate è stato impedito con la forza e con legislazioni fondate su principi razzisti: i rifugiati palestinesi, poiché non ebrei, furono per esempio esclusi dalla cittadinanza dello stato d’Israele attraverso la legge di cittadinanza del 1952. Essi vennero 'snazionalizzati’ e tutto d’un tratto si trovarono ad essere rifugiati senza uno stato d’appartenenza in violazione della legge sulla successione degli stati. Terra ed altre proprietà di questi rifugiati e delle persone internamente dislocate sono state confiscate dallo stato d’Israele e approssimatamente 500 villaggi vennero prima spopolati e poi distrutti nell’ operazione chiamata 'pulizia del paesaggio’ che durò fino al 1960. [42] Approssimatamente 150.000 palestinesi che rimasero in Israele dopo la nakba del 1948 vennero sottoposti ad un regime militare (1948-1966) simile a quello che è oggi nei Territori Palestinesi occupati.

36. A partire dal 1967 lo stato d’Israele ha portato avanti un regime d’apartheid nei Territori Occupati camuffandolo da occupazione militare:
-Parte della West Bank occupata, includendo Gerusalemme est, venne annessa immediatamente dopo la guerra del 1967 in violazione al diritto internazionale e la revoca dello status di residenti permanenti dei cittadini palestinesi della città sta procedendo in conformità con il diritto civile israeliano.
-In particolare a partire dagli accordi di Oslo del 1993 il diritto domestico (civile e penale) israeliano è stato applicato ai cittadini israeliani ('normali cittadini’) e coloni [43] nei rimanenti Territori Occupati mentre un regime militare repressivo [44] governa la popolazione palestinese sotto occupazione protetta dal diritto umanitario internazionale. Questo sistema legale a due teste ha istituzionalizzato la discriminazione razziale dei palestinesi nei Territori Occupati ed è servito da motore centrale per la colonizzazione ebraica del territorio della Palestina storica rimanente (22%). Tale sistema legale è inoltre responsabile di negare il diritto al ritorno dei rifugiati del 1967 e di promuovere il trasferimento delle popolazioni palestinesi indigene, camuffandoli come necessità di una protratta occupazione militare. [45] Esperti indipendenti delle Nazioni Unite ed organismi per la tutela dei diritti umani hanno osservato che il regime d’occupazione israeliano mostra molte forme estreme di oppressione che coincidono con i caratteri fondamentali dell’apartheid, includendo, tra gli altri, segregazioni, omicidi (extra giudiziari, anche detti 'uccisioni mirate’) tortura, trattamento crudele ed inumano ( la demolizione delle abitazioni rientra in questa categoria), arresto arbitrario e detenzione illegale, ed imposizione arbitraria di condizioni vitali mirate a causare danno fisico più o meno parziale (vedi anche sez. II).

37. Gli esperti delle Nazioni Unite, al fine d’individuare e prevenire conflitti o genocidi, hanno identificato tutta una serie di fattori che indicano la discriminazione razziale sistematica e su larga scala. [46]

Il regime ad esempio:
(a) Importante storia di genocidi o violenza contro un gruppo razziale; flussi significativi di rifugiati o di persone internamente dislocate, specialmente quando coloro che ne sono influenzati appartengono ad un gruppo etnico o religioso nello specifico:
Lo stato d’Israele registra un numero record di trasferimenti forzati e di massa della popolazione indigena palestinese camuffati sotto le vesti di normali conseguenze di un conflitto armato, e il conseguente diniego del diritto al ritorno. Tra i 750.000 e i 900.000 palestinesi vennero dislocati prima o durante la guerra del 1948, seguiti da altri 400.000 nel 1967. Le loro proprietà, incluse una larga area di terra di possesso pubblico o privato vennero espropriate attraverso pratiche riconosciute come crimini di guerra e come gravi violazioni del diritto umano internazionale. Oggi il 70 % della popolazione palestinese si compone di rifugiati (7 milioni) all’interno o all’esterno del territorio storico della Palestina e/o di persone internamente dislocate (450.000) in Israele i nei oPT. Le vittime palestinesi non hanno accesso ai rimedi né ai risarcimenti conseguenti al dislocamento forzato che invece continua senza sosta. [47] Quello dei rifugiati palestinesi è il caso che riguarda il maggior numero di persone e che dura dal maggior numero di anni di tutti i casi di rifugiati della storia mondiale.

(b) L’esclusione sistematica –legalmente o di fatto- da posizioni di potere e dall’accesso alle risorse; politiche di segregazione: A partire dal 1948 lo stato d’Israele ha sostenuto e portato avanti 'la nazionalità ebraica’ che si basa sulla discriminazione di fatto del popolo palestinese attraverso una legislazione discriminatoria sul possesso e sull’ amministrazione della terra e sulla partecipazione politica. [48] Lo stato d’Israele possiede ed amministra il 93 % della terra in Israele (cosiddetta 'terra di stato’) la maggior parte della quale proviene dalla confisca delle terre ai rifugiati palestinesi e a palestinesi internamente dislocati. Le organizzazioni sioniste che ottennero il mandato fin dal periodo precedente all’istituzione dello stato di provvedere esclusivamente agli interessi ebraici ottennero lo status di istituzioni pubbliche dalla legge di Israele [49] e portarono avanti diverse funzioni pubbliche per conto statale, inclusa l’amministrazione del 13% della 'terra statale’ israeliana, risorse acquifere ed altre proprietà confiscate ai palestinesi dislocati, così come la pianificazione, fondazione e sviluppo degli insediamenti ebraici in Israele e nei Territori Occupati. In una legislazione più recente pratiche politiche pubbliche hanno adottato lo stesso criterio di segregazione, oppressione ed esclusione di cittadini israeliani dall’ottenimento di uguale accesso alla formulazione delle leggi, ai servizi e ad altri aspetti della vita attiva. [50]
(c) La mancanza del contesto legislativo e di istituzioni che prevengano la discriminazione razziale e prevedano il ricorso delle vittime contro la discriminazione subita; una politica o una pratica d’impunità:
Il principio di uguaglianza non viene menzionato in quanto diritto costituzionale nelle Fondamenta del diritto: Dignità umana e libertà; (Basic Law: Human Dignity and Liberty) che costituisce la carta dei diritti israeliana. Il diritto all’uguaglianza viene dunque relegato ad un livello secondario e può solamente essere derivato da altri diritti garantiti dalle Fondamenta del diritto. L’uguaglianza dei cittadini palestinesi è ugualmente impedita dalla definizione stessa che si dà Israele: 'stato ebraico democratico’. [51] La legge vieta ai rifugiati e agli individui palestinesi internamente dislocati di tornare alle loro case e di rientrare in possesso delle loro proprietà. Le corti israeliane, in particolare quella suprema, sono complici nelle politiche militari e di governo che impediscono alle vittime palestinesi di fare denuncia ed incoraggiano l’impunità della polizia israeliana, dei soldati e dei coloni ebrei per le offese ed i crimini contro i palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. 'Hafrada’ (in ebraico: separazione, segregazione) è la politica ufficiale del governo israeliano riguardo alla popolazione palestinese in Israele e nei Territori Occupati ed ha lo scopo di cambiare la composizione d