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Informazione e crisi: relazione pericolosa

di Marco Niro - 08/12/2008





borsa

Proviamo a mettere in relazione la crisi economico-finanziaria di questi mesi con l’informazione economica che leggiamo sui quotidiani e vediamo nei telegiornali. La relazione c’è ed è molto stretta, addirittura pericolosa.






Guardiamo all’informazione sulla crisi. Quotidiani e telegiornali hanno fatto in modo che l’attenzione si concentrasse solo sulla necessità di salvare le banche. Prime pagine e titoli di testa passavano dalla soddisfazione mostrata in occasione degli interventi di salvataggio dei governi allo sconforto di fronte alle negative risposte che arrivavano dalle Borse. L’informazione ha trasformato la crisi in una grande partita di calcio: da una parte la paura, dall’altra la squadra di governanti chiamata ad esorcizzarla.

La spettacolarizzazione dell’evento ha distolto fatalmente il pubblico dal cuore del problema, ovvero da ciò che ne sta alla radice e che ha portato al crollo dei vari colossi bancari. Alla radice del problema c’è precisamente la deregolamentazione del sistema finanziario introdotta dagli stessi governi liberisti che sono stati presentati come i salvatori della patria, e utilizzata a piene mani dall’avidità dei banchieri per preparare le trappole finanziarie che hanno mandato in tilt il sistema stesso.

Nessuna testata che abbia messo in evidenza la contraddizione tra l’uso del denaro pubblico per salvare le banche da parte di chi fino a ieri lanciava fulmini e saette contro l’intervento dello Stato nell’economia. Nessuna testata che in Italia si sia chiesta da dove uscivano i soldi per salvare le banche, visto che fino al giorno prima i tagli alle spese sociali venivano giustificati proprio dall’assenza di risorse finanziarie.

Alla fine, il pubblico non ci ha capito niente: diventato tifoso della squadra di esorcisti, ha tirato un bel sospiro di sollievo quando il crac è stato scongiurato.

Quello della crisi di questi mesi è stato un tipico esempio di ciò che diventa l’informazione economica quando accade qualcosa di straordinario: una sorta di grande spettacolo. Il precedente maggior esempio s’era avuto col crac Parmalat. I crac vengono trasformati in veri e propri show, annegati in un mare di inchiostro e di immagini, senza che alla fine il pubblico riesca mai a capire che essi non arrivano per caso e improvvisamente, ma per l’irrazionalità e l’assurdità di fondo di un sistema votato alla crescita infinita.

Nei periodi ordinari, invece, l’informazione economica cambia totalmente aspetto, diventa quasi dimessa, torna in letargo, rinchiusa dentro recinti pieni di tecnicismi che la gente non capisce. Guardate le pagine economiche dei quotidiani: non sono altro che un susseguirsi di cronache di operazioni di fusione, scissione, investimenti, scalate, consigli di amministrazione, dati di bilancio, indici di Borsa. Tutto sembra fatto apposta per rendere il funzionamento dell’economia incomprensibile alla maggior parte del pubblico, a tutti coloro che non siano addetti ai lavori. E questo è gravissimo se si pensa che la nostra società si caratterizza proprio per il fatto che l’economia è la categoria centrale cui tutto ruota attorno.

Per corollario, accade che tutte le voci dissonanti, che criticano alla base il sistema economicista attuale, votato alla crescita infinita, chiedendo il passaggio ad un’economia sostenibile, ad un’economia che torni a servire la società e non viceversa, ad un’economia della decrescita, accade che tutte queste voci finiscano fuori dai circuiti informativi dominanti, e che, se per caso vi entrino, si perdano poi nel mare di fatti rilevanti e inezie che è diventata l’informazione di quotidiani e telegiornali.

Per avere un’informazione economica diversa, serve un giornalismo diverso. L’informazione economica appena descritta è tale in quanto sono le stesse redazioni di quotidiani e telegiornali ad abbracciare i dogmi dell’economicismo, della crescita infinita. Imprese che perseguono esse stesse la corsa verso il sempre di più, in cui l’imperativo commerciale finisce col sopraffare l’imperativo del buon giornalismo.

Servono invece redazioni in cui l’imperativo del buon giornalismo resti prevalente su qualsiasi imperativo commerciale. Redazioni i cui giornalisti condividano valori diversi da quelli dominanti, siano consapevoli dell’irrazionalità e dell’assurdità di un’economia votata alla crescita infinita in un mondo finito.

Concludo osservando che la qualità dell’informazione economica dipende anche dalla qualità del suo pubblico. Il pubblico di oggi per lo più è abituato a un’informazione che non lo costringa a ragionare troppo, che abbia una certa dose di superficialità e di spettacolarità. Le testate che vogliano fare buona informazione sull’economia e sul resto hanno bisogno invece di un pubblico differente, che voglia vedere l’economia, e più in generale la realtà, da un punto di vista diverso.