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Pakistan: le solite pessime idee americane

di mazzetta - 10/12/2008

 

Se qualcuno pensava che il fallimento epocale di Bush nella War on Terror e l'avvento di Obama avrebbero finalmente zittito quegli eroi di carta che da anni ci spingono a far la guerra a questo o a quello, farà bene a ricredersi. L'attacco a Mumbai ha scatenato le stesse opinioni degli stessi opinionisti che vendettero la guerra all'Iraq alle opinioni pubbliche Occidentali. C'è ancora gente che suggerisce di attaccare un paese piuttosto che di bombardarne un altro, cercando di convincerci che sia la cosa giusta da fare, nonostante le robuste dimostrazioni pratiche degli ultimi anni suggeriscano che si tratti invece di un approccio fallimentare e inutile. Sparita come per incanto la minaccia all'Iran, i “media warrior” si sono schierati sul fronte pachistano, scoprendo all'improvviso che il Pakistan ha avuto un ruolo negli attacchi del 9/11, che ha nutrito la proliferazione nucleare e che – orrore - il suo governo non è in grado di combattere i terroristi da solo.

Sembra sfuggire a molti che la presenza attuale di Alì Zardari al governo sia un parto dell'amministrazione Bush, che ha fatto fare carte false per eleggere l'ineleggibile Benhazir Bhutto e che poi si è ritrovata con lei morta e l'inadatto suo marito al potere. Relativamente al potere, vista la mancanza di capacità, autorevolezza e visione politica. L'unico suo discutibile successo sembra la rimozione di Pervez Musharraf dalla carica presidenziale, che aveva concordato con la moglie e gli americani come ricompensa al suo farsi da parte. Con il governo Zardari impegnato fin da subito in una chiara spirale autodistruttiva, i geniali pianificatori di Washington hanno varato un Piano B altrettanto discutibile.

Visto che Zardari ha demandato completamente all'esercito la gestione della lotta al terrorismo e visto che parte dello stesso esercito pachistano e dell'ISI (i servizi pachistani) mantiene relazioni più che pericolose con i cattivi, il Dipartimento di Stato ha pensato bene affidare la gestione delle relazioni con l'esercito pachistano ai sauditi. La scelta sarebbe motivata dai “successi” ottenuti dalla monarchia saudita nello schiantare la ribellione qaedista interna, che poi l'Arabia Saudita sia ancora uno spicchio di medioevo civile non disturba nessuno. I sauditi, che sono partner e finanziatori del progetto atomico pachistano, hanno profondi legami ed interessi comuni con il complesso militare pachistano. Un’oligarchia medioevale che fonda il suo potere sulla religione, dovrebbe quindi emendare e rimettere in piedi il Pakistan dirigendo i militari pachistani. O no?

Così il capo dell'esercito pachistano, generale Pervez Ashfaq Kiani, già nominato prima a capo dell'ISI e poi alla carica attuale da Musharraf, del quale era il delfino, dovrà concordare la lotta al terrorismo con i sauditi, che di conseguenza decideranno se, quando e come, erogare gli aiuti militari americani. Un discutibile outsourcing, considerando che il successo dei reali sauditi contro pochi sudditi non può essere un viatico sufficiente alla pacificazione di un paese con oltre centoventi milioni di abitanti, nel quale il governo ha perso il controllo di gran parte del paese. Infatti in Pakistan gli attentati sono quasi quotidiani e molto sanguinosi e il paese è letteralmente allo sbando. I capitali fuggono all'estero, vanificando così l'iniezione del Fondo Monetario per aiutare il paese a rischio di default e l'unica alternativa praticabile e praticata nella realtà sarà il ritorno dei militari al potere nel giro di qualche mese.

Sul fronte afgano le cose vanno peggio, se possibile. Il territorio controllato dalle forze multinazionali si riduce sempre più e gli attacchi della resistenza talebana si fanno sempre più audaci. I militari americani stanno pensando di fortificare Kabul, unico lembo di terra afgana dove l'amministrazione di Karzai riesce a far giungere la sua autorità: un'opzione tra le meno costose, ma anche una strategia dichiaratamente difensiva. Anche qui, dove le truppe occidentali erano state effettivamente accolte come liberatrici, l'incapacità politica e l'ottusa avidità hanno ormai sancito il fallimento dell'avventura.

Il “media warrior” non si scoraggia certo per queste piccolezze e riparte di slancio, così oggi possiamo vedere di nuovo all'opera le stesse firme che riscrivono le stesse bestialità, per trascinare l'Occidente in identiche e fallimentari avventure militari. Un tipico esempio è un articolo di Robert Kagan pubblicato sul New York Times il 2 dicembre e poi tradotto e offerto ai lettori dell'edizione domenicale del Corriere della Sera del 5 dicembre. L'articolo, dal titolo originale “The Sovereignty Dodge. What Pakistan Won't Do, the World Should” (refuso compreso) è stato tradotto con “La sovranità nazionale? Il Pakistan deve meritarsela” e presentato nella pagina di Opinioni & Commenti, là dove apparivano gli inviti alla guerra santa di Magdi Allam, ora sostituiti da un selezione dei più noti succedanei stranieri.

Memorabili poi i recenti appelli al soccorso militare alla Georgia aggredita di Bernard Henry-Levy, poi schiantati dall'ammissione del leader georgiano che ha ammesso di aver attaccato per primo, cannoneggiando una città inerme e le truppe russe sotto insegne ONU. Il titolo in italiano se non altro ha il pregio di andare al cuore della tesi di Kagan, che come tanti sembra un bambino che gioca con i soldatini mentre spiega il suo piano e i suoi poveri presupposti ai lettori.

Secondo la particolare premessa giuridica di Kagan, la sovranità nazionale e il conseguente diritto a non essere invasi e devastati a piacimento, non sono diritti universali riconosciuti a tutti i paesi, ma un privilegio che occorre meritare. Kagan, come qualunque essere dotato di media intelligenza, è perfettamente in grado di capire che un'interpretazione del genere del diritto internazionale è insussistente, ma l'illusionismo verbale è l'unico mezzo a disposizione in questi casi; così Kagan finge di non sapere che quello che lui chiama “buon senso” è in realtà la stessa mostruosa sovversione della legalità internazionale che ha portato alla devastazione dell'Iraq, della Somalia e prima ancora di molti altri paesi. Il “buon senso” di Kagan suggerisce di occupare militarmente con una forza internazionale gran parte del Pakistan per prendere i cattivi.

Come sempre quelli come Kagan si sentono nel diritto-dovere di giudicare e di proporre soluzioni sbagliate ed illegali ai problemi figli delle stesse decisioni sbagliate ed illegali supportate in passato. Per Kagan e per chi pubblica e diffonde queste tesi pericolose, non c'è nemmeno il bisogno di curare la plausibilità delle proposte, basta richiamarsi al buon senso che suggerisce di sparare ai cattivi prima che loro sparino a noi: già sentita?

Non importa quindi che per realizzare l'invasione e la “messa in sicurezza” proposta da Kagan e supportata da altri, occorra trovare un enorme e monolitico consenso internazionale, più quello del Pakistan e dei pachistani, più una forza di occupazione imponente, più una massa di denaro imponente. Kagan la risolve in scioltezza, auspicando il coinvolgimento di Russia e Cina, che reprimendo già gli islamici ceceni ed uyguri dovrebbero essere politicamente predisposte.

Non è a ieri che risalgono gli errori americani con il Pakistan, che è un paese di centoventi milioni di abitanti, con un programma atomico ben difeso, un esercito tra i più agguerriti dell'area e con milioni di abitanti armati, ma gli apprendisti stregoni ci dicono che bisogna attaccare ed occupare il Pakistan per impedire che scoppi una guerra tra Pakistan e India, che peraltro non minaccia di invadere il Pakistan. Il confronto tra India e Pakistan esclude da tempo la guerra aperta, la deterrenza nucleare è ancora un solido argomento.

Gli Stati Uniti sembrano invece inclini a portare la guerra in Pakistan, forse sperando in questo modo di migliorare la situazione in Afghanistan, dove il definitivo fallimento dell'occupazione legherebbe gli Stati Uniti ad un'altra pagina di storia disonorevole. Una tattica evidentemente frutto di una perversa coazione a ripetere, che si spera possa essere corrette durante l'amministrazione Obama. Nel frattempo bisogna registrare che i trombettieri di guerra hanno ancora spazio e voce in capitolo, così come riecheggiano di nuovo indisturbati argomenti già dimostrati falsi ai tempi della grande truffa per scatenare la guerra all'Iraq. Evidentemente c'è chi ha interesse alla circolazione di questa maldestra propaganda guerriera anche nel nostro paese.