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Le foreste di Poznan

di Elena Gerebizza - 10/12/2008

 

«Nessun progetto per la riduzione delle emissioni derivate dal degrado delle foreste su territori delle comunità indigene dovrebbe essere approvato senza il consenso previo e informato delle popolazioni che abitano questi territori». Così si è espressa Victoria Tauli-Corpuz, del forum permanente dei popoli indigeni presso le Nazioni unite, in una delle sessioni della Conferenza sul clima che sta avendo luogo in questi giorni a Poznan, in Polonia.
La gestione delle foreste e il mantenimento della biodiversità che contengono è al centro dei negoziati nella seconda settimana di lavori. Questione controversa, in cui stanno entrando a gamba tesa il settore privato, in prima linea nel cercare di garantirsi profitti dal controllo dei territori sconfinati delle foreste del Sud del mondo, e la Banca Mondiale. L'istituzione finanziaria di Washington ha da poco finalizzato la propria iniziativa per le foreste e, tra grandi contestazioni dei popoli indigeni, delle comunità contadine e della società civile di tutto il mondo, sta facendo pressione sui governi presenti a Poznan perché divenga il meccanismo di riferimento per finanziare il capitolo Redd (sulla riduzione delle emissioni derivate appunto dal degrado delle foreste) del negoziato.
Un approccio «business as usual» che la Banca ancora una volta propone, cercando di far rientrare anche le foreste nel mare magnum del mercato dei crediti di carbonio di cui hanno finora beneficiato ironicamente la stessa Banca assieme ai grandi inquinatori privati. Dal 1999 ad oggi, la maggior parte del portfolio di crediti di carbonio (tra il 75 e l'85%) gestito dalla Banca Mondiale ha finanziato industrie nel settore chimico, del ferro, dell'acciaio e del carbone, mentre meno del 10% dei fondi a disposizione è stato investito in progetti di energie rinnovabili.
Un risultato scoraggiante che non spiega come lo stesso meccanismo potrebbe portare risultati positivi nel delicato ambito della gestione delle foreste. Le comunità indigene hanno già preso le distanze dall'iniziativa della Banca Mondiale, che è stata disegnata e già inizia ad essere implementata senza nemmeno aver consultato le popolazioni indigene che da quelle foreste dipendono, e che in molti paesi sono già state riconosciute come proprietà comunitaria delle stesse comunità indigene. La società civile, che oggi manifesterà a Poznan davanti al centro conferenze dove si svolge in negoziato facendo la parodia della Banca mondiale, che finanziando grandi centrali a carbone è tra i principali responsabili della devastazione ambientale del pianeta, chiede che la Banca rimanga fuori dai negoziati sul clima, e incoraggia i governi riuniti in Polonia a istituire un meccanismo indipendente dai banchieri di Washington che, sotto l'egida della Conferenza delle Parti, e in consultazione con i popoli indigeni, le comunità locali e la società civile, metta a disposizione i fondi per gli interventi necessari per l'adattamento e la mitigazione degli impatti derivati dal cambiamento climatico. Un budget di migliaia di miliardi, che i governi devono finanziare secondo responsabilità comuni ma differenziate e secondo principi di partecipazione, trasparenza ed equità, perché la comunità internazionale e il pianeta possano beneficiarne. La società civile ha presentato oggi un documento che contiene i principi cardine per l'istituzione di un Fondo Globale sul Clima, con l'obiettivo di contribuire ai lavori dei governi perché si arrivi a una proposta condivisa per un meccanismo post-Kyoto entro l'importante appuntamento del prossimo anno a Copenaghen.