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Eluana Englaro e la forza delle cose (sociali)…

di Carlo Gambescia - 17/12/2008


L’ “Atto di indirizzo” del dicastero del Welfare, ovviamente da ricondurre al Ministro Sacconi, che rende illegale per le strutture del SSN, "lo stop" dell ’idratazione e alimentazione alle “persone diversamente abili” - nella fattispecie Eluana Englaro - dovrebbe far riflettere tutti sulla “forza del sociale” ( per la notizia si veda qui: http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-4/indirizzo-ministero/indirizzo-ministero.html ).
Che cosa vogliamo dire? Innanzitutto che non desideriamo proporre solo l’ennesima riflessione sul “caso Englaro”, ma ragionare su uno specifico problema sociologico. Quale? Il problema dei problemi. Quello dell’istituzionalizzazione delle decisioni umane e della conseguente ambiguità che regola questo processo sociale. Attraverso il quale un fatto individuale, come una decisione, si trasforma in fatto collettivo, istituzionale ( gruppi di pressione, dibattito pubblico, proposte, decisioni, leggi), sfuggendo di mano agli stessi attori sociali che lo hanno generato. Si "cosalizza". diventa una cosa sociale. E ciò a prescindere dalla bontà o meno della “causa” e della motivazione culturale dei singoli attori. Di qui la "forza del sociale".
Ci spieghiamo meglio.
La prima conseguenza, sul piano comunicativo, è che la questione privata, appena posta all’attenzione collettiva, diventa una questione pubblica. Viene inglobata dai media e subito trattata secondo specifici stereotipi mediatici. Ecco dunque Eluana, assumere forza propria, e diventare eroina o vittima di una società buona o cattiva, a seconda dello schieramento ideologico.
La seconda conseguenza, sul piano sociale, è quella della radicalizzazione delle posizioni. I fronti opposti - mediatici e sociali (in senso lato, inclusa la società civile) - iniziano subito a comportarsi secondo la teoria dell’etichettamento; ovvero si comportano secondo schemi acquisiti e conformi ai valori, che di essi, hanno i rispettivi avversari. Semplificando: un “reazionario” e un "progressista", accentueranno il proprio comportamento, perché così impongono i ruoli sociali imposti da una situazione di conflitto. Diciamo che ogni parte è come costretta a dare il peggio di sé... Può apparire paradossale ma esiste il conformismo, socialmente imposto, delle diversità in conflitto. Da ciò discende quella lotta senza quartiere delle opinioni.
La terza conseguenza, sul piano politico, è quella del “ chi ha più forza non può non usarla”. Di qui i provvedimenti e le conseguenti divisioni, secondo la forza scalare del potere detenuto, tra magistratura, parlamento, governo. Cui seguono nuove contrapposizioni, interne alla società civile e politica, tra le decisioni degli uni contro quelle degli altri. Nonché la richiesta di altri interventi legislativi che “risolvano” in modo definitivo una questione privata divenuta pubblica. Ovviamente le nuovi leggi, se approvate, daranno vita ad altre divisioni, legate alle questione applicative, secondo una spirale di natura circolare.
Perché, si badi bene, i processi sociali hanno natura ciclica e non evolutiva, tendono alla ripetizione del semplice e del complesso e non all’unilinearità dal semplice al complesso (o comunque evolvono ma all'interno di un ciclo evolutivo predeterminato, nascita, vita, morte). L’uomo sociale è un animale “reiterativo”. La reiterazione di ciò che è stabile, come ad esempio assumere certe posizioni all’interno di un dibattito, è fonte di sicurezza e gerarchizzazione (“noi”, i migliori, contro “loro”, i peggiori…): in una situazione di crisi, optare per una delle due parti in lotta è fonte di identità. E quanto più si radicalizzano e dilatano le opposte posizioni tanto più si riducono i margini di incertezza individuale. E la vita sociale è tentativo di regolazione dell'incertezza, anche attraverso l'autogoverno psicologico individuale - recepito e poi dettato dalle istituzioni - dell'insocievolezza sociale.
Pertanto, di regola, il dibattito pubblico - soprattutto in una società che non riconosca altre fonti autoritative e/o veritative esterne - è sempre destinato a radicalizzarsi (se non a trasformarsi, in alcuni casi, addirittura in guerra civile) e prolungarsi nel tempo. Certo, variando nelle dimensioni, durata e intensità, in base alle tradizioni storiche e culturali della società di riferimento. Il dibattito "funziona" , ma fino a un certo punto, solo all'interno dei piccoli gruppi. Ma questa è un'altra storia.
Concludendo, il provvedimento del Ministro Sacconi, non è altro che un ulteriore passo in avanti verso l’istituzionalizzazione del “caso di Eluana Englaro”. Ormai trasformata - infatti si parla di "caso", categoria sociale per eccellenza - nel puro veicolo di un dibattito pubblico ad infinitum. Dove, come è naturale che sia, non conta più la verità, ma il puro e semplice argomentare per convincere e vincere. Oppure, dove conta in ultima istanza, la forza sostanziale e imperativa della decisione politica, come momento - attenzione solo un momento - dirimente. Per poi tornare, come nel Gioco dell'Oca, al punto di partenza...
Una precisazione. Quanto appena detto, non significa che chi scrive sia contrario al dibattito pubblico. Ci mancherebbe altro. Ma sarebbe bene conoscerne i limiti sociologici . Tutto qui.
Povera Eluana, cui è toccata la triste sorte di tutte le “cose” sociali. Forse - vista la delicatezza del tema e la natura soggettiva e privata della questione - sarebbe stato meglio lasciarla in pace.