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Alcune scomode verità sulla guerra in Afghanistan...

di Giancarlo Chetoni - 19/12/2008

Fonte: cpeurasia

 


 

Martedì 9 Dicembre, su “La Repubblica“, Guido Rampoldi ha ridato fiato, preceduto da altri “illustri colleghi“, alla solita solfa sulle massicce offensive dei pashtun in due terzi dell’Afghanistan, prendendo a pretesto, questa volta, un “fatto di guerra“ dai contorni  molto, ma molto sospetti, come l’assalto a Peshwar, in Pakistan, di “200 terroristi” (chissà come avranno fatto a contarli) ad un deposito di camion e blindati destinati al rifornimento logistico e militare di ISAF in Afghanistan. “Terroristi” che sarebbero misteriosamente arrivati sul posto - ce lo ha detto l’Ansa -  in quantità industriali per non dare nell’occhio, e che poi altrettanto misteriosamente si sarebbero eclissati senza lasciare tracce dopo aver incendiato un parco di camion e di blindati e prelevato, come è stato precisato, centinaia di litri di  benzina da un distributore di carburante nelle vicinanze, per evitare costi aggiuntivi sulle spese di trasferta, trafficare allo scoperto e allungare di un bel po’ i tempi del blitz.  Insomma, per il giornalone della FINEGIL a conclusione del  clamoroso “raid“ le carcasse bruciate dei “mezzi“ di proprietà di ISAF, sorvegliati, guarda caso, da una ridottissima squadra di “polizia privata“ costretta a capitolare senza sparare un colpo, starebbero a dimostrare che i “terroristi” che fanno riferimento all’inafferrabile Mullah Omar e alla rete di al-Qa’ida  sono ormai in grado di tagliare, nelle zone di confine tra Afghanistan e Pakistan,  le linee di approvvigionamento della NATO. La versione accreditata da “La Repubblica“, con tutta evidenza posticcia nella ricostruzione come successo di recente per “l’assalto dal mare a Mumbay“,  non può non apparire finalizzata a far da spalla e da cassa di risonanza all’allarme rosso lanciato a scadenze settimanali dai Comandi della Coalizione Isaf-Enduring Freedom: aumentata pericolosità del “nemico“, numero di attentati in vertiginosa crescita, controllo della guerriglia di intere regioni, quindi conseguente necessità dell’invio di  altri  “scarponi“ e di  attrezzature belliche con destinazione Kabul da Europa e Italia, come da sollecitazione arrivata appena qualche giorno fa  agli  “Alleati“  dall’entrante Presidente Barack Obama. Un senatore dell’ Illinois arrivato alla Casa Bianca spendendo oltre 700 milioni di dollari  raccolti dal militante sionista Rahm Emanuel. Il coinvolgimento sempre più massiccio dei Paesi dell’Unione Europea in Afghanistan se permette agli USA, da un lato, di usurarne il livello finanziario e politico, dall’altro, rende meno traumatiche le spese del Pentagono.   Per l’attacco a Peshawar, a pensar male, potremmo addirittura trovarci di fronte ad una “operazione coperta“, magari organizzata dalla CIA per mettere in difficoltà l’ISI e il Governo di Ali Asif Zardari ed aprire le porte a qualche inseguimento a caldo di Enduring Freedom e di ISAF nell’ovest del Waziristan sul “modello Laos e Cambogia” durante la guerra del Vietnam, con conseguente allargamento del fronte dei combattimenti, fino ad arrivare ad una occupazione “temporanea“ da parte di USA e NATO delle Aree Tribali per  debellare in Pakistan formazioni “ribelli” che applicano in Afghanistan un contrasto a macchia di leopardo e a bassa intensità. Un avvertimento trasversale della Coalizione Alleata, Gordon Brown in primis, a Islamabad  perché annienti con  la  forza  l’“estremismo islamico“ sul  suo territorio?   Se si crede che gli USA abbiano attaccato l’Afghanistan nel Novembre del 2001 per ritorsione all’attentato dell’11 Settembre alle Twin Towers e per un coinvolgimento di  elementi di al-Qa’ida provenienti da campi di addestramento di quel Paese, vuol dire che si è fuori strada. Nessun analista indipendente è ancora riuscito a dare una spiegazione affidabile dei perché l’Amministrazione Bush abbia dato luce verde a una nuova avventura bellica degli USA in quella parte profonda dell’Asia. Le linee di confine di Stato in questo tumultuoso inizio di XXI secolo, una volta saltate le regole del diritto internazionale (Bosnia 1992, Serbia 1999) sono ormai elastiche e permeabili con il placet del Palazzo di Vetro.  Il peace- keeping ed enforcing lautamente finanziato con centinaia di miliardi di dollari, raccolti  in occasione di misteriosissimi Summit da Governi Occidentali, Banca Mondiale, FMI e Organizzazioni Private come successo a Luglio 2008 con la partecipazione di  Sarkozy, Ban Ki Moon e Barroso a Parigi, è ormai una pratica ormai largamente utilizzata.  Gli Usa e  Alleati,  facendo affidamento sulle nuove tecnologie (leggi… sistemi d’arma ad altissima efficacia distruttiva), contavamo - e contano ancora oggi - di  poter  arrivare alla totale pacificazione del “nemico“, al definitivo controllo dei territori occupati e allo  sfruttamento delle fonti energetiche, come nel caso dell’Iraq, con un impegno finanziario e militare  sopportabile in cui il gioco valga la candela. La criticità geopolitica che sta collaterando le crociate della “democrazia esportata con la forza“ dimostra invece che sia a  Washington che a Bruxelles si è fatto i  conti senza l’oste. Quando si altera con un intervento armato esterno un equilibrio religioso, culturale, etnico o territoriale preesistente in cui l’intruso viene percepito come una minaccia, la conseguenza più immediata e naturale è quella  di far uscire dal nido uno sciame di  vespe.  La ricerca applicata ai sistemi d’arma, le capacità finanziarie, industriali e militari di USA e NATO non offrono più i mezzi per mettere in campo una politica efficace della “sicurezza“. Non lo diciamo noi, non è il nostro linguaggio. Lo sostengono  gli esperti della NATO. L’instabilità dei teatri di guerra logora l’aggressore che opera su un territorio enormemente esteso, estraneo, ad elevata minaccia di ostilità e che lo costringe ad allungare e disperdere in mille rivoli le linee di approvvigionamento logistico e la presenza sul terreno.  Dal Vicino Oriente al Centro Asia, dai Balcani all’Africa Sub-Sahariana o Equatoriale, le guerre, anche per procura, di USA e Alleati pur impegnando enormi risorse finanziarie non riescono più ad ottenere un risultato definitivo di pacificazione nelle aree continentali aggredite. I conflitti più recenti come quelli in Iraq e in Afghanistan stanno lì a dimostrarlo: due regioni del mondo attraversate da differenti livelli di “civilizzazione“ ma da un identico e manifesto  rifiuto per la “democrazia“ portata con la forza delle armi.  L’offerta di libertà di USA ed Europa non fa più breccia né nel cuore dei Popoli dell’America Indiolatina né in quelli del Vicino Oriente, di  Africa e Asia. In Afghanistan non esistono strutture artigianali o industriali di esplosivi, né fabbriche di armi. Non c’è produzione né di nitrato d’ammonio né di magnesio, o traccia di depositi con fertilizzanti di sintesi. Solo a Peshawar, in Pakistan, esistono botteghe dove si costruiscono artigianalmente ogni anno copie di armi corte e lunghe di fabbricazione sovietica in un numero mai superiore a qualche centinaio. L’esplosivo per organizzazione di  sporadici “attentati“ contro blindati in transito di ISAF e di Enduring Freedom viene ricavato da giacenze datate di proiettili di artiglieria, da mortaio e da munizionamento per carri armati già in dotazione all’Armata Rossa e poi all’esercito afgano. Per ricavarne una quantità appena sufficiente a procurare danni limitati - lo ha detto chiaro e tondo anche il Gen. Mini - un nucleo pashtun deve affrontare frequentemente perdite per esplosioni accidentali dovute ad imperizia nella manipolazione e nell’assemblaggio delle cariche ancora prima di dover coprire i rischi del trasporto e i  tempi  occorrenti all’ occultamento  e  al dileguamento dei sabotatori.   Insomma, per USA e Alleati in Afghanistan la possibilità di andare incontro a una Little Big Horn con tanto  di colonnello Custer alla guida del 7° Cavalleria assalito e distrutto da Cheyenne e Lakota  è  totalmente da escludere. Chiunque sostenga  il contrario, con qualche articolata menzogna, è un agente prezzolato al servizio di USA e NATO. Ferrara con “Panorama” aprì  le danze, e con “Il Foglio” continua a farlo per conto dei Poteri Forti che occupano il nostro Paese.  La verità è che i guerriglieri “taliban“ hanno meno di archi e frecce e sopratutto non hanno cavalli da cavalcare a pelo per allontanarsi dal terreno scelto per agguato ed evitare la distruzione da terra e dall’aria. Il materiale esplodente per cave e  sbancamenti  arriva in Afghanistan dal Pakistan o per via aerea. I depositi esistenti  sono  sotto  stretto controllo  di  Isaf ed Enduring Freedom. I nuclei di guerriglieri pashtun hanno a disposizione per contrastare la formidabile macchina bellica dei “liberatori“ solo degli AK 47 e degli RPG 7, non hanno centri comando, capacità di comunicazione e di spostamento. L’uso di qualsiasi telefono satellitare attirerebbe sul nucleo combattente, nel tempo di una-due ore, una grandinata di proiettili di mitragliatrici pesanti, di razzi e bombe a frammentazione.Controllano qualche area dell’Afghanistan perché nativi di villaggi dispersi su altipiani e  montagne giudicati dai Comandi Alleati di scarsa o nulla importanza strategica, lontani da  rotabili e da depositi, da basi di Isaf ed Enduring Freedom. Qualsiasi concentramento sospetto di “taliban“ vicino a  strutture militari, a commissariati, a punti di passaggio obbligato, strade, ponti, dighe, acquedotti, centrali elettriche sotto il controllo dell’Afghan Police e della Coalizione viene costantemente monitorato da Predator  ed  elicotteri  da ricognizione e attacco. Per quando riguarda l’Italietta c’è un grumo infetto di sostegno politico e mediatico a Isaf e a Enduring Freedom. Un grumo invasivo, con metastasi, di Poteri Forti, bancari, istituzionali e politici, che alimenta le guerre segrete della NATO travestendole da “operazioni di pace”: un’organizzazione che fa indubitabilmente capo al Quirinale e al Consiglio Supremo di Difesa. L’ultima “sessione“ a ranghi completi del CSD si è concretizzata il  2  Ottobre,  a 24 ore dal decollo da Ciampino del generale USA David Petraeus, dopo una serie di colloqui  strettamente riservati intrecciati con Berlusconi, Frattini, La Russa e Napolitano oltre che con il  Capo di Stato Maggiore delle FF.AA. Camporini e i Comandi del Centro Operativo Interforze di Centocelle. Una visita che sarà omaggiata anticipatamente dal CdM, riunito a Palazzo Chigi, il 23 Settembre, con la decisione d’inviare in Afghanistan  4 cacciabombardieri Tornado IDS. Dal 1 Ottobre al 9 Dicembre sono passati poco più di 40 giorni, ed ecco che torna a farci compagnia sbarcando all’aeroporto militare di Roma il solito Petraeus, il leone dell’Iraq , il cosiddetto gestore vittorioso del “surg“, carico di decine di patacche e di un numero altrettanto incredibile di nastrini appiccicati sull’uniforme. Questa volta non più come inviato di  un’Amministrazione Bush in liquidazione, ma come capo militare del Pentagono retto da quel Robert Gates che è stato confermato Segretario alla Difesa dall’entrante e già deludentissimo Barack Obama . Ricevuto come un Capo di Governo da Berlusconi a Palazzo Chigi dopo aver incontrato i Ministri della Difesa, degli Esteri e, in gran segreto, Giorgio Napoletano, è tornato da dove era venuto: dalla base dell’Air Force Mac Dill di Tampa Bay in Florida, dopo aver precisato a chiare lettere che… “sarà la NATO a stabilire la necessità di altri eventuali invii di forze in Afghanistan“, ed aver espresso particolare apprezzamento per l’Arma dei Carabinieri, definendola  “gendarmeria da piedistallo“, alla pari con la fama sportiva di Michael Jordan e il suo “dream team“. La NATO, dunque, per USA e Pentagono ormai come cardine decisionale, non i  Governi Nazionali!  Quisquilie. Il secondo blitz a Roma di Petraeus ha avuto di fatto una duplice valenza: politica e militare. È venuto a dare ordini, che non devono essere né spediti per corriere diplomatico né passare per il Ministero della Difesa. Il Gran Capo dei Visi Pallidi vuole catene decisionali corte, cortissime e unicamente contatti faccia a faccia perché niente di quello che dice e delle riposte che riceve deve trapelare all’esterno. Si è solo fatto sapere a mezzo Ansa che il generale a quattro botte è troppo navigato per trattare di persona qualche variazione in più nel numero dei soldati italiani da schierare in Afghanistan.

La verità è emersa una manciata di ore più tardi con una dichiarazione rilasciata ai media da La Russa, meglio conosciuto come il ‘saltimbanco di Palazzo Baracchini’ per conto dello Zio Sam, il  papà di Geronimo in omaggio e ricordo dell’ultimo capo spirituale e militare degli Apache Chiricahua sterminati dai lunghi coltelli e dai winchester dei Soldati Blu insieme a squaw, anziani e bambini. Una vergognosa foglia di fico che serve al Reggente di Alleanza Nazionale per continuare a convincere e forse a convincersi di essere diverso da quello che è: un servo prezzolato che mente, nei numeri e nelle dotazioni d’arma, consapevolmente, alla Commissione Difesa, e anche a quella Esteri  presieduta da Fiamma Nirenstein, in carica PdL. Ci torneremo sopra.