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Ombre rosse

di Massimo Gramellini - 21/12/2008

 

Con le dimissioni di Sergio Chiamparino da ministro-ombra delle riforme, rassegnate polemicamente alla luce del sole e amichevolmente rientrate quando già erano calate le tenebre, stava per entrare in crisi il governo-ombra del presidente del Consiglio-ombra Walter Veltroni, altrimenti detto Ombrelloni. Non era mai successo nella storia dell’umanità che un governo-ombra rischiasse di cadere prima del governo vero, e questo conferma la novità del partito democratico, che riesce a prefigurare scenari politici ignorati persino dalle profezie di Nostradamus.

Di fronte a milioni di italiani amareggiati e attoniti, si andava consumando l’ennesimo dramma nel cuore della Repubblica: che fine avrebbero fatto i decreti-ombra, i convegni-ombra e i sottosegretari-ombra? Ecco, era soprattutto il destino dei sottosegretari-ombra a inquietare gli elettori più avvertiti. I quali ci erano rimasti un po’ male quando il 9 maggio scorso, in un seguitissimo discorso-ombra, il premier-ombra incaricato annunciò la nascita dello Shadow Cabinet. Intanto perché molti di loro non sapevano cosa diavolo volesse dire, anche se a naso intuivano che quel Cabinet non prometteva nulla di buono. Ma quando qualcuno si prese la briga di sottotitolare in italiano le parole del premier-ombra, la scoperta che il suo governo sarebbe stato formato da soli 21 ministri-ombra lasciò la base esterrefatta. Così pochi? Con tutta l’ombra di cui abbiamo bisogno, specie in tempi di effetto-serra? Qualche spiritoso, forse l’ombra di un dalemiano, dichiarò che il governo-ombra c’era solo in Inghilterra, mentre noi siamo latini. Ma gli ombrelloni giustamente risposero: se è per questo anche il Pd c’è solo in America, qui siamo tutti anglosassoni e il socialismo lo lasciamo volentieri a tedeschi e francesi, quindi giùllemani dal governo-ombra!

Bisogna però riconoscere che seppero porre rimedio all’errore iniziale, aggiungendo ben presto ai ministri-ombra la bellezza di 20 sottosegretari-ombra, di cui ben 4 all’ambiente, forse per formare un pannello solare umano che facesse ombra al ministro-ombra Realacci. Ma gli elettori non erano ancora soddisfatti. E pur di accontentarli, i democratici si sacrificarono a moltiplicare le poltrone, i lettini e pure le sdraio (con ombrellone): di gran carriera furono nominati 2 consiglieri-ombra, 8 coordinatori-ombra e persino un viceministro-ombra, nella persona del mite Cesare Damiano.

Con il suo scarno equipaggio a bordo, il governo Ombrelloni finalmente prese il largo. Nella calura delle riunioni estive i ministri-ombra si facevano ombra l’un l’altro e c’era gran ressa per accaparrarsi quella di Fassino. I testimoni raccontano che l’aspetto più sensazionale di quelle sedute era che i partecipanti si chiamavano «ministro» fra loro, senza neanche scoppiare in una risata liberatoria.

La ragione autentica del governo-ombra era di facilitare le redazioni dei talk show nella ricerca di un oppositore da chiamare in trasmissione contro il ministro in carica, ma si arenò davanti allo sgarbo dei registi televisivi, che nei sottopancia continuavano a chiamare Bersani «responsabile economia Pd» anziché «ministro-ombra dell’Economia», comunicando agli elettori un messaggio confuso. Ma mentre il governo-ombra si occupava di questa e altre emergenze, nella periferia meridionale del partito, e magari non solo lì, c’era qualcuno che tramava: nell’ombra. Per fortuna il ritiro delle dimissioni-ombra di Chiamparino tranquillizza i fan di Totò e Rosetta, al secolo Bassolino & Iervolino. Perché se non ci si dimette più neanche dalle poltrone-ombra, figuratevi da quelle vere.