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Chi ha chiuso il rubinetto?

di Astrit Dakli - 07/01/2009





fornelli

In mezza Europa non arriva più il gas russo, o ne arriva pochissimo. Lo scontro commerciale fra Mosca e Kiev strumentalizzato dall’Europa occidentale.





Guerra del gas? Siamo seri, la guerra è un’altra cosa, come vediamo ogni giorno nella martoriata Gaza. Qui non ci sono stragi né sangue: c’è solo mezza Europa – quella balcanica, più alcuni paesi di quella centrale e in parte l’Italia – che è da ieri senza il gas russo che di solito la riscalda, le famangiare cibi cotti e fa funzionare le sue industrie.
Niente di davvero grave, per ora, visto che: 1) la maggior parte dei paesi coinvolti oltre che dalla Russia ricevono gas anche da altri fornitori; 2) il gas comunque non è l’unica fonte di energia che utilizzano; 3) dispongono generalmente di scorte di gas che possono durare da qualche giorno a molte settimane (solo Bulgaria e Macedonia sembrano non disporne, e si trovano infatti a rischio di seria crisi perché dipendono quasi totalmente dal gas russo).
Anche se non c’è motivo di allarme immediato, però, la sola idea dei rubinetti chiusi – unita al fatto che dimezzo ci sia la Russia, sempre più etichettata come potenziale nemico dell’Occidente – ha fatto scattare una gara a chi grida più forte: grida spesso ipocrite e faziose. Molti media ripetono compulsivamente il refrain dell’amministrazione Bush secondo cui questa vicenda «renderà più tese le relazioni fra Russia e Occidente»: perché non le debba rendere più tese anche fra Ucraina e Occidente non è chiaro, GazpromBillboardMoscowse non si accetta l’idea che per Washington e i suoi più stretti amici l’Ucraina comunque non si tocca.
E infatti l’Unione europea «non intende in alcun modo schierarsi con una delle parti, né assumere un ruolo di mediazione nella disputa commerciale in corso tra Russia e Ucraina», come ha detto ieri la presidenza cèca della Ue, subentrata a quella francese il primo gennaio. La stessa Unione, continua il comunicato, «ritiene completamente inaccettabile il brusco taglio nelle forniture del gas russo ad alcuni paesi della Ue» e chiede che la disputa «sia risolta immediatamente». Ma in un caso come questo, «non schierarsi» è già uno schieramento netto a favore di una delle parti: quella ucraina.
Non c’è dubbio infatti sulla responsabilità di Kiev – in particolare del presidente Viktor Yushenko, che anche in questo modo combatte la sua battaglia contro il proprio governo per restare in sella – nella controversia con Mosca sul prezzo del gas. Sul piano commerciale, Gazprom ha ragione: gli ucraini non hanno pagato tutto il gas ricevuto e non vogliono accettare il prezzo che viene loro richiesto per l’anno entrante, nonostante sia quasi la metà dei prezzo internazionale (250 dollari per mille metri cubi contro 450). Dunque niente di strano che le forniture vengano loro tagliate, in un contesto di mercato puro e semplice.
Se poi gli ucraini approfittano del transito del gas russo diretto in Europa attraverso le loro pipelines per rubare quello che gli serve, ragioni e torti diventano ancor più lampanti. E’ quel che sta accadendo: del volume totale di gas pompato nelle pipelines ucraine, Gazprom ha tagliato la quantità corrispondente al consumo ucraino, lasciando inalterato il volume corrispondente al consumo pagato dal resto d’Europa, ma come già avvenne tre anni fa in una crisi simile i consumatori europei si sono visti ridurre il flusso nelle loro reti in maniera molto forte, o totale, mentre l’Ucraina continuava il proprio consumo in modo sostanzialmente inalterato.
Tutto ciò veniva ammesso dall’ente del gas ucraino, Naftogaz, salvo poi assistere alla penosa smentita di Yushenko, che inviava un messaggio ai suoi protettori (o presunti tali) della Ue per dire che neanche unmetro cubo del gas consumato in questi giorni dall’Ucraina era gas russo: tutto prodotto in Ucraina, o già comprato l’anno scorso e stoccato nei serbatoi di riserva.
L’assurda querelle si gonfia a dismisura perché tutti, per un verso o per l’altro, ci inzuppano il pane. Yushenko se ne serve per presentarsi sempre più come il campione dell’Ucraina filooccidentale e antirussa, l’uomo che combatte per difendere i consumi, le tasche e le industrie dei suoi concittadini dall’orso cattivo dell’est; i paesi della «Nuova Europa» (Polonia, Cechia, Slovacchia,Ungheria, Romania, Bulgaria) se ne servono a loro volta per chiedere alla Ue «mano dura» contro la prepotenza di Mosca; in paesi come Germania e Italia la «guerra del gas» è un pretesto ottimo per spingere il nucleare o i rigassificatori costieri; Stati uniti e Gran Bretagna vedono rivitalizzarsi il loro quasi defunto progetto di pipelines turco-caucasiche capaci di aggirare la Russia; persino quest’ultima – al di là dell’ovvio interesse ad essere pagata per le sue forniture – trova un vantaggio collaterale nella nuova tensione al rialzo che sta interessando ilmercato mondiale dell’energia, in primis sui prezzi del greggio (che infatti ieri sono saliti oltre i 50 dollari al barile, dopo molte settimane) e secondariamente proprio sulle quotazioni del gas.
Ma come andrà a finire? Altre volte queste dispute si sono risolte in un accordo, di solito tanto opaco quanto favorevole ai trafficanti di tutte le risme, sia russi che ucraini.
Questa volta però le cose appaiono assai più serie, in primo luogo per la difficilissima situazione politica ed economica dell’Ucraina. Il paese è in preda a una crisi drammatica, con lamoneta che ha perso la metà del suo valore, moltissime industrie nazionali ferme, il credito congelato, i cantieri chiusi. Lo stato non ha certamente i mezzi per fronteggiare l’acquisto del gas russo, né ai nuovi prezzi maggiorati né a quelli vecchi; e in un anno di estrema tensione elettorale e di scontro fra le maggiori personalità politiche nazionali, nessuno vorrà alzare i prezzi al consumo, col rischio di peggiorare ancora la situazione economica e creare altri disoccupati.
La Russia peraltro non sta molto meglio: Gazprom ha perso i due terzi del suo valore di capitalizzazione nel 2008 e si trova nel disperato bisogno di trovare denaro cash da investire nei nuovi giacimenti e nella manutenzione delle infrastrutture. La Ue dovrebbe proprio farsi parte in causa, al contrario di quel che dice, e per esempio trovare il modo di garantire i pagamenti ucraini alla Russia: sarebbe un modo positivo per avvicinare davvero a sé tanto Kiev quanto Mosca.