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La guerra dell'intelligence israeliana

di Eugenio Roscini Vitali - 13/01/2009

 

Due anni di addestramento, di esercizio e di meticolosa preparazione, prima di arrivare al 27 dicembre 2008, prima che Israele dia il via all’attacco aereo su Gaza e alla successiva invasione della Striscia. Due anni di studio che ci danno l’idea di quanto la paura del fallimento e della sconfitta ossessioni la dirigenza politico-militare israeliana; ventiquattro mesi durante i quali Gerusalemme ha fatto tesoro degli errori commessi nel 2006 contro le milizie Hezbollah, un classico esempio di “lessons lerned” nel quale l’intelligence ha svolto un ruolo determinante. Anche questa volta però, qualche cosa non ha funzionato: oltre al vantaggio strategico, l’accuratezza delle informazioni, l’intelligence è particolarmente importante per evitare che un errore possa causare la morte di centinaia di innocenti, soprattutto in un'area densamente popolata come la Striscia di Gaza.

Nella stragrande maggioranza dei casi, quelle dello Shin Bet si sono dimostrate informazioni attente e precise, ma questo non ha impedito che, in meno di venti giorni, l’azione delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) abbiano causato la morte di quasi trecento innocenti, vittime collaterali di una cattiva interpretazione dei dati o di errori che lasciano pensare.

Con l’operazione “Piombo fuso” i servizi segreti e le IDF hanno voluto innanzitutto ristabilire la loro superiorità militare in Medio Oriente; dimostrare che nessun esercito, tanto meno quello di Hamas, che non risponde certo alle regole di un’organizzazione militare convenzionale, può competere con le truppe dello Stato ebraico. La superiorità militare non garantisce però la vittoria, soprattutto visto che i reparti del Tsahal saranno costretti ad affrontare il nemico nello scontro ravvicinato, quando si arriverà a combattere, casa dopo casa, tra le strade di Gaza, Rafah, Dayr al Balah, Khan Yunis e in tutti quei luoghi dove i miliziani sono decisi a morire piuttosto che arrendersi.

In Libano il Tsahal si era mosso in ordine sparso, senza un’adeguata copertura aerea e senza informazioni dettagliate sulla rete di comando e controllo e sull’arsenale del nemico. A Gaza l’esercito si è infiltrato in modo coordinato, ha evitato il lancio di razzi nelle aree di operazione e lo scontro diretto, aggirando le roccaforti della resistenza palestinese; i carri armati Merkava hanno trovato la strada spianata dal lavoro svolto dagli F-16, dagli elicotteri Apache e dai cannoni Howitzer dell’artiglieria; sono stati colpiti decine di obiettivi strategici ed è stato impedito qualsiasi tipo di movimento sul territorio.

Ma il verro asso nella manica è stato l’intelligence, il flusso d’informazioni raccolte sul territorio durante i mesi che hanno preceduto il conflitto e la stretta collaborazione tra gli agenti dello Shim Bet e reparti dell’Aman (servizi segreti militari): l’Unità 8200, SIGINT ed Electronic Warfare; l’Unità 504, HUMINT; l’Unità 5114 - “Battaglione Psagot”, sorveglianza radio; l’Unità Hatzvar, raccolta delle informazioni open source; l’Air Intelligence Squadron; il Naval Intelligence Department. Una lunga attività informativa avvenuta mediante una capillare rete di canali intelligence; informatori, collaborazioni forzate, intercettazioni, sensori elettronici, analisi di segnali, decifrazione di comunicazioni, fotografie aeree, videoregistrazioni, catalogazione di una quantità infinita di notizie e confronto dei parametri raccolti con librerie di dati già noti. Mesi di lavoro e di collaborazione che hanno trasformato l’impostazione di base dello Shin Bet da agenzia intelligence basata su risorse puramente umane, ad organizzazione a spiccato contento tecnologico.

E’ proprio grazie ai briefing intelligence che le prime due settimane di guerra si sono trasformate, dal punto di vista israeliano, in un vero successo. Prima di dare il via all’invasione, l’IDF ha lasciato che l’artiglieria e l’aviazione preparassero il campo; sono state distrutte le infrastrutture governative ed è stata fiaccata la pur esigua capacità militare di Hamas: colpite le rampe di lancio dei razzi, i depositi di armi, le basi di addestramento, le caserme e gran parte della rete di tunnel che passa sotto la Philadelphi root, il corridoio che divide Rafah dall’Egitto. Interrompere il canale di rifornimento che dal Sinai alimenta l’arsenale dei guerriglieri palestinesi di Hamas era uno degli obbiettivi principali dell’operazione “Piombo fuso” e uno requisiti che Israele pretende venga inserito in qualsiasi possibile accordo di cessate il fuoco, forse il primo in ordine di importanza.

Spingere con le spalle al muro la resistenza palestinese sarebbe certo un errore imperdonabile, sia politico che militare, e questo gli analisti dello Shin Bet e dell’Aman lo sanno. L’ondata di fuoco che ha travolto la Striscia si sta stabilizzando ed Hamas sta aspettando le truppe del Tsahal tra le rovine di Gaza e delle principali località palestinesi, dove i soldati israeliani sono certamente più vulnerabili. Lo scenario operativo è totalmente diverso da quello che ha preceduto la prima fase dell’operazione e le informazioni in possesso dei servizi segreti potrebbero diventare completamente obsolete. I problemi aumentano se poi si pensa alle notizie divulgate nei giorni scorsi dal Times di Londra: gli israeliani sarebbero certi che a Rafah starebbero arrivando nuovi sistemi d’arma, trafugati attraverso i tunnel che collegano il Sinai alla Striscia di Gaza rimasti in piedi dopo i bombardamenti delle settimane scorse.

Secondo l’intelligence, dopo due settimane di guerra Hamas ha perso più del 50% della sua capacità bellica; ora però, oltre ai conosciuti Qassam da 95 e 105 mm e ai Grad da 122 mm, il movimento islamico sarebbe in possesso di un numero rilevante di Fajr-3, missile iraniano a corto raggio già in dotazione all’esercito siriano e agli Hezbollah libanesi. Evoluzione del Katiusha, il Fair-3 ha un range effettivo di circa 75 chilometri ed una testata convenzionale da 45 chilogrammi. Secondo la stampa britannica, a Gerusalemme sarebbero certi che, con questo tipo di razzi, Hamas è ora in grado di raggiungere Rehovot e Rishon Le Tsiyon, 16 chilometri a sud di Tel Aviv, o la centrale nucleare di Dimona, 30 chilometri ad est di Beersheba, nel Neveg orientale.

Mentre Gerusalemme guarda con attenzione a cosa passa sotto la Philadelphi root, il Comando della Marina Americana per il trasporto militare marino (MSC) avrebbe noleggiato un mercantile per trasportare tremila tonnellate di armi in Israele. Partendo dal porto greco di Astakos, l’imbarcazione dovrebbero raggiungere lo scalo israeliano di Ashdod; la consegna, che secondo il Pentagono rientra nel programma di collaborazione militare tra i due paesi e che non avrebbe niente a che fare con il conflitto in corso a Gaza (ma sarebbe destinata a un deposito americano in Israele), dovrebbe avvenire in due trance ed essere completata entro la fine di gennaio. Quando l’invasionesarà ancora in corso?