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Crisi dell´auto: riconvertiamo la mobilità verso la sostenibilità

di Diego Barsotti - 13/01/2009

 
Come affrontare la crisi che sta travolgendo l’industria automobilistica? Un’ipotesi un po’ provocatoria è quella avanzata da Riccardo Perissich: aiuti nazionali condizionati a un programma di riduzione di capacità produttiva. Campetti: «I contributi pubblici devono essere finalizzati a due vincoli, quello ambientale e quello sociale»
 
 
Come affrontare la crisi che sta travolgendo l’industria automobilistica, esauriti i provvidenziali ma temporanei paracaduti delle varie cassa-integrazioni e settimane corte, che individualmente i singoli stabilimenti hanno attivato nei periodi a cavallo delle festività natalizie?

Un’ipotesi un po’ provocatoria è quella avanzata sul Corriereconomia di ieri dall’ex funzionario della commissione Ue, ex presidente di Telecom Italia Media e attualmente membro della giunta e del direttivo di Confindustria Riccardo Perissich, che ha ricordato il precedente attuato nel settore dell’acciaio nei primi anni ’90: nella sua formulazione più compiuta il “piano Davignon” prevedeva aiuti nazionali condizionati a un programma di riduzione di capacità produttiva: «rispetto alla siderurgia i tempi oggi sono sicuramente più ristretti, ma come allora servirebbe la consapevolezza che non si tratta di un salvataggio, ma di una profonda riconversione da cui uscirebbe un’industria più ridotta, più concentrata e in cui non ci sarebbe più posto per i campioni nazionali».

Un ragionamento che appare carente soprattutto dal punto di vista della contestualizzazione temporale dell’analisi: intanto la riduzione della produzione non è un fatto politico, che si può decidere a tavolino ora, semplicemente perché la riduzione si sta già verificando sulla base delle dinamiche normali di un mercato in piena crisi. Forse poteva essere guidata politicamente qualche anno fa, questa riduzione, a patto che la discriminante non fosse solo la quantità, bensì la qualità. Ma questo non è stato fatto. Allo stesso modo nell’intervento di Perissich la previsione di un’industria europea più ridotta e concentrata, senza campioni nazionali, appare solo una ripetizione di quanto sostenuto in questi mesi da diversi attori di questo settore, come lo stesso ad Fiat Sergio Marchionne, che vede nelle fusioni la strada per sopravvivere in un mercato, quello occidentale, che ormai è inevitabilmente di sostituzione e non può quindi garantire più i profitti di un tempo.

«Più che una proposta mi pare una presa d’atto – spiega anche Loris Campetti, redattore capo del "Manifesto" nonché esperto di tematiche ambientali ed economiche - Ci pensa il mercato da solo ad abbattere i livelli produttivi, basta vedere che per le multinazionali il calo previsto per i prossimi tre mesi sarà ancora intorno al 50%. Non si capisce quindi perché bisognerebbe dare soldi agli imprenditori per una cosa che sta già avvenendo».

Il problema quindi ancora una volta non è la quantità, bensì la qualità degli aiuti: che cosa deve essere incentivato?
«I contributi pubblici che diversi Paesi (per il momento non l’Italia) stanno dando all’industria automobilistica devono essere finalizzati a due vincoli, quello ambientale e quello sociale. Come dice Obama i soldi possono andare a chi contribuisce a un abbattimento drastico delle emissioni di gas serra: si danno cioè alle imprese dell’automobile per finanziare la ricerca legata all’innovazione dei propulsori, nell’ottica di andare verso una separazione del destino dell’automobile dal destino del petrolio».

L’altro vincolo è quello sociale.
«Bisogna dare soldi all’industria automobilistica per arrivare a una modifica radicale del piano industriale, a difesa degli stabilimenti e della forza lavoro. E’ anche possibile riconvertire interi stabilimenti a produzioni più sostenibili, non necessariamente legati alla mobilità, per esempio sul fronte delle energie rinnovabili».

Lei parlava anche di una riconversione del sistema della mobilità.
«La seconda riflessione è proprio legata al ripensamento in generale del sistema della mobilità, che non può avere come unico perno l’automobile e il trasporto su gomma. Il nostro Paese è in controtendenza rispetto a tutti le altre nazioni europee dove il trasporto merci su gomma è diminuito negli ultimi anni a fronte di trasporti più sostenibili, come la ferrovia e la nave. Da noi non accade. Così come non crescono le forme di trasporto collettivo per quanto riguarda le persone».

L’Italia sta prendendo tempo, alcuni invocano decisioni unanimi a livello europeo, altri spingono per un rinnovo degli incentivi per la rottamazione.
«Da noi la rottamazione rischia di diventare un’ideologia. Intanto bisognerebbe stabilire se dal punto di vista ambientale è meglio usare l’auto per 15 anni oppure cambiarla ogni 2 o 3 anni. In ogni caso faccio notare gli ultimi modelli della Toyota hanno tutti una garanzia di 7 anni, quindi l’azienda nipponica ha capito che sono finiti i tempi in cui le macchine si cambiano ogni 2 anni. Poi è vero anche che c’è chi come la Francia ha riproposto ancora una volta la via della rottamazione, ma personalmente la ritengo una toppa, che ogni tanto può essere usata, ma che non ha effetti determinanti e duraturi. Personalmente quindi ritengo più sensata la strada – per ora solo annunciata - di Obama, tesa a una riconversione verso prodotti e processi produttivi più sostenibili».