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Tirrenia sulla strada di Alitalia

di Marco Cedolin - 19/01/2009


Un interessante articolo d'inchiesta a firma Ferruccio Sansa, comparso su La Stampa in questi giorni, offre uno spaccato quanto mai allarmante della compagnia pubblica di navigazione Tirrenia, guidata da ormai 25 anni dall’immarcescibile Franco Pecorini, che è riuscito nella “mirabolante” impresa di rimanere fino ad oggi saldamente al comando, nonostante l’avvicendarsi di ben 18 governi.
La compagnia pubblica che occupa attualmente circa 3000 dipendenti (2400 addetti alla navigazione e 600 con compiti amministrativi) si ritrova ormai sull’orlo del fallimento, con oltre 800 milioni di euro di debito ed una flotta che secondo le valutazioni di Credit Suisse non varrebbe più di 650 milioni di euro.

Come già accaduto ad Alitalia ed in parte anche alle Ferrovie di Stato, la disastrosa situazione economica attuale è il risultato di una lunga serie di errori, investimenti sbagliati e scelte strategiche prive di logica, portate avanti per decenni inseguendo interessi molto lontani da quelli dei contribuenti che hanno finanziato le imprese pubbliche. Un caso su tutti, come testimoniato nell’articolo di Sansa, riguarda i “traghetti veloci” acquistati a “peso d’oro” nell’intento di creare commesse presso Fincantieri e poi rivelatisi praticamente inutilizzabili a causa dell’altissimo consumo di carburante che avrebbe reso il loro uso assolutamente antieconomico.
Il traghetto superveloce Taurus, entrato in servizio nel 1998, dotato di tutti i confort, nonché di altissima tecnologia e accreditato di 40 nodi di velocità è già diventato un pezzo da museo. La nave giace infatti nel porto di Genova fra i traghetti in demolizione, con 4 uomini di equipaggio a bordo che giorno dopo giorno non possono fare altro che constatare l’avanzata della ruggine e il progressivo disfacimento di quello che solo una decina di anni fa era stato presentato come il fiore all’occhiello dell’intera flotta. Sorte non molto differente è toccata alle tre navi gemelle, Aries, Scorpio e Capricorn, ormeggiate ed inutilizzate per quasi tutto l’anno se si eccettua qualche corsa durante i mesi estivi. Mentre i traghetti veloci che li hanno preceduti, Scatto e Guizzo, varati all’inizio degli anni 90 (non negli anni 70) sono praticamente in disarmo.

Ancora una volta, come già per Alitalia, l’unica “ricetta” presa in considerazione dalla politica e dai sindacati per fare fronte alla situazione, consiste nella privatizzazione della compagnia, per favorire la quale il governo ha già stanziato 65 milioni di euro l’anno per il triennio 2009/2011 all’interno del pacchetto anticrisi approvato a fine novembre. Privatizzazione che in Italia significa da sempre svendita a prezzi da saldo di fine stagione agli “imprenditori amici” che una volta appropriatisi dell’azienda attraverso un esborso monetario ridicolo, provvederanno ad eliminare almeno la metà dei dipendenti, dismettendo tutte le rotte meno redditizie ( se non saranno state preventivamente affidate alle regioni) e mantenendo in essere solamente quelle più remunerative che godranno di un notevole incremento delle tariffe. Per i cittadini, come sempre in questi casi, il tutto si tradurrà in una nuova emorragia occupazionale, sommata ad una diminuzione dei servizi.
A traghettare (è proprio il caso di dirlo) Tirrenia verso la svendita sarà proprio quel Franco Pecorini, stimato oltre che dalla politica bipartisan anche dal Vaticano fino al punto di nominarlo Gentiluomo di Sua Santità, la cui cattiva amministrazione del denaro dei contribuenti ha determinato la disastrosa situazione attuale. Anche in questo caso ovviamente nulla di nuovo, dal momento che da sempre in Italia i dirigenti che hanno condotto le aziende pubbliche al fallimento, sono stati lautamente ricompensati per avere espletato al meglio il proprio compito che consisteva proprio nel condurle al disastro con buona pace dell’interesse pubblico.