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Europa-Russia-Ucraina, torna la soap opera del gas

di Giuseppe Croce - 19/01/2009

 


Il commissario Ue all'Energia Andris Piebalgs non si aspettava la totale chiusura da parte dei russi dei rubinetti del gas: "Sinceramente, non mi sarei mai aspettato una totale sospensione delle forniture - ha dichiarato intervenendo all'Europarlamento - e la cosa è stata uno shock anche per me. Mi potete rimproverare, come commissario per l'Energia, di non averne previsto gli sviluppi. Ma è stato del tutto inaspettata". Piebalgs ha aggiunto che, per il futuro, "dovremmo prepararci a cose del genere".
Dopo più di due anni di crisi del gas, finalmente l'Europa alza bandiera bianca. Non è una buona notizia; a Bruxelles ammettono di essere totalmente fuori dai giochi, ma almeno è una presa di posizione realistica su ciò che avviene ormai da due inverni.
La vicenda è nota e stranota: la Russia di Med-Putin pretende dalla ex alleata Ucraina il pagamento del gas naturale a prezzi di mercato e il saldo dell'immenso debito derivante proprio dall'acquisto del gas, mentre l'Ucraina del tandem arancio-sbiadito Yushchenko-Tymoshenko si oppone e per ritorsione la Russia blocca le forniture. L'Ucraina a sua volta blocca il passaggio del gas nelle condutture del gasdotto della Fratellanza, attraverso il quale l'Europa soddisfa una percentuale ormai imbarazzante (politicamente, geopoliticamente ed economicamente parlando) del proprio fabbisogno energetico.
Lui, lei, l'altra: il grande orso russo; la piccola e debole Ucraina; la ricca, bella e prosperosa amante Europa. Come al solito l'ex moglie si trova schiacciata tra l'ex marito e la nuova fiamma, e ancora come al solito, dopo aver tenuto la moglie in casa per anni, lui non vuol pagare gli alimenti. Sembrerebbe una soap opera di basso spessore da mandare in onda dopo pranzo se non fosse che la situazione è ben più seria e mette in dubbio il futuro energetico.
Con le parole di Piebalgs, però, l'Europa ha sancito la sua uscita dall'agone e la vittoria della Russia, che adesso potrà gestire la cosa come meglio crede e preferisce. Cioè secondo i suoi interessi: l'amante Europa ufficialmente si moltiplica in un harem popolato da signorine dal peso, dalla bellezza e dall'importanza diversa una dall'altra, con cui avere a che fare una alla volta e secondo i propri gusti. Uscendo dalla fiction, si potrebbe dire che Putin ha impostato un rapporto geopolitico a geometria variabile con l'Europa: corteggia le grandi e ignora le piccole, certo che tanto le piccole verranno a cercarla. Il sogno di ogni uomo, politico e non.
In questa situazione quanto mai fluida cominciano a delinearsi scenari interessanti, perché all'interno dell'harem Europa le signorine iniziano a darsi da fare per fronteggiare la nuova situazione e nascono alleanze inedite o risorgono collaborazioni dimenticate.
Un esempio su tutti di questi strani movimenti lo offre la Serbia: per anni considerata il 'gatto nero' dell'Europa, oggi riceve la solidarietà di Ungheria e Germania che mettono a disposizione le proprie scorte di gas per evitare che i serbi muoiano in massa di freddo. Sarà forse perché la Serbia ha recentemente concordato con la Russia il passaggio del gasdotto South Stream dal proprio territorio? Fatto sta che all'interno della stessa Serbia coloro che fino a poche settimane fa erano sfavorevoli al gasdotto russo-italiano (Eni partner tecnico) adesso latitano, come ben racconta Danijela Nenadic, corrispondente da Belgrado di Osservatorio Balcani (Gas di salvataggio) che aggiunge anche una notizia interessante: la Serbia, a sua volta, gira parte del gas ricevuto da Germania e Ungheria alla Bosnia.
Altra vicenda interessante: il 15 gennaio l'Ad di Eni Paolo Scaroni vola a Mosca per incontrare Putin. I primi a dare la notizia sono i giornalisti di Russia Today, testata digitale (internet e satellite) collegata all'agenzia statale Ria-Novosti. Le telecamere inquadrano un tavolo al quale siedono, mostrando la massima serenità, Putin e Scaroni. Il manager italiano è volato a Mosca per trattare la spinosa questione del 'gas tecnico', ennesima rogna nella querelle russo-ucraina.
Di cosa si tratti lo ha spiegato alla stampa lo stesso Scaroni al ritorno da Mosca: "Per fare arrivare il gas russo in Europa e farlo transitare attraverso l'Ucraina c'è bisogno di due fonti di gas definito tecnico: il primo è quello che sta permanentemente nel tubo, oggi svuotato, e prima che il gas russo venga in Europa bisogna riempire il tubo. In secondo luogo per pompare il gas russo verso l'Europa gli ucraini fanno funzionare stazioni di pompaggio che consumano quantità importanti di gas”.
Per trasportare il gas, infatti, è necessario che quest'ultimo sia sempre in pressione quindi il tubo deve essere sempre pieno e devono essere previste delle stazioni di ricompressione ogni certo numero di chilometri di gasdotto. Stazioni che non sono altro che delle turbine a gas che pompano in direzione dell'Europa. Servono, quindi, diversi milioni di metri cubi di gas per fare ripartire il flusso e l'Ucraina, come era facile aspettarsi, non ha la minima intenzione di anticipare questo gas. Lo farà, invece, un consorzio dei paesi consumatori europei.
“L'idea - continua Scaroni - è che il consorzio anticipi questi flussi di gas in attesa che Russia e Ucraina trovino un accordo sulle forniture e sui diritti di transito che oggi è in alto mare. In questo modo il consorzio potrebbe dare il via immediatamente alle spedizioni verso l'Europa, riservandosi di recuperare le somme che deve sborsare per finanziare questo gas che serve per le stazioni di pompaggio, quando l'accordo sarà raggiunto". Piccolo inciso: l'Eni si è già offerta come capofila di questo consorzio.
Per chi non ha la voglia, il tempo o il carattere per pensar male: l'Ucraina, dopo aver messo in ginocchio gli amici (?) europei, ora chiede il pizzo. Volete il gas subito? Pagatelo ora e poi avrete in dietro quanto dovuto. Aspettiamoci una nuova crisi a bassa intensità, questa volta tra Ucraina e consorzio: se gli ucraini non vogliono pagare i russi per il gas che bruciano, figurarsi se un giorno pagheranno gli europei per il gas che mandano.
Non si capisce come l'Ucraina riesca a fare tanti errori di seguito senza mai imparare. Abbandonate definitivamente le idee di una conferenza di Paesi donatori che siano intenzionati a ammodernare la rete ucraina dei gasdotti e di costruire un nuovo gasdotto, aggiuntivo e non sostitutivo rispetto ai progetti russi (il White Stream, che aveva fermi oppositori persino in patria, Tymoshenko: energia, priorità nei rapporti Ucraina-UE), la Tymoshenko naviga a vista.
Sa bene, la bella Yulia, che non è in grado di prendere scelte politiche forti perché è sempre più lontana dalla rivoluzione arancione e dal suo presidente Yushchenko. Sa bene anche che il suo popolo comincia a rimpiangere i tempi in cui era meno libero ma molto più sicuro. Sa bene, infine, che se vorrà finalmente prendere il toro per le corna e fare il grande salto con il pressing per il Map (Membership action plan) alla Nato gli ucraini le volteranno le spalle.
Lo stesso Yushchenko, che sogna la Nato ogni notte dal 2006, sa che la cosa è difficilissima. In questo momento, tra l'altro, Yushchenko ha ben altro a cui pensare: ha dovuto sciogliere il suo rissoso parlamento (a metà novembre in aula se le sono date di santa ragione), aveva indetto elezioni anticipate per il 7 dicembre ma le ha dovute rinviare al 14, prima, e annullare definitivamente poi con un rinvio sine die. Si dovrebbe votare entro quest'anno. Nel frattempo, pochi giorni fa (13 gennaio), Viktor Yanukovych, ex primo ministro e capo del filorusso Partito delle Regioni che pur essendo all'opposizione ha la maggioranza relativa al parlamento, ha chiesto l'impeachment sia per Yushchenko che per la Tymoshenko. Per l'Ucraina non può andare peggio.
Ammesso e non concesso che gli ucraini trovino un equilibrio politico, resta comunque negli alleati occidentali il ricordo di quanto accaduto pochi mesi fa in Georgia. Quanto basta per scoraggiare fughe in avanti e dichiarazioni d'amore tra Nato e Ucraina. Difficile, quindi, che gli ucraini in questo momento riescano a ritrovare la bussola e a partorire soluzioni alla crisi gas che possano stare in piedi per più di una settimana: l'Ucraina non ha veramente idea di come posizionarsi né in politica interna né in politica estera.
A questo punto, però, è doveroso rispondere alle domande che molti italiani si stanno ponendo: l'Italia è a rischio gas? Resteremo al freddo? Oppure ha ragione Scajola quando dice che in Italia abbiamo scorte sufficienti per passare l'inverno? La risposta a tutte queste domande è 'Nì'. Nel senso che non dovremmo avere problemi, ma per un pelo e solo se va tutto bene.
Partiamo dai dati Stogit (la società del gruppo Eni che detiene il 98% degli stoccaggi del gas in Italia): al 12 gennaio erano presenti nei giacimenti 5.747.956.971 metri cubi di gas e secondo le proiezioni della stessa Stogit, al 31 marzo di quest'anno dovremmo scendere a 1.795.526.262, pari al 21,3% del totale. Insomma, ce la facciamo. Almeno in previsione. Per rendersi meglio conto della situazione, però, è utile osservare il grafico della proiezione.
Tuttavia è bene puntualizzare che questo risultato al 31 marzo, rassicurante ma non troppo, sarà possibile grazie al decreto firmato da Scajola a inizio gennaio. Un decreto che prevede la “massimizzazione degli approvvigionamenti” da tutti i punti di entrata del gas, cioè dai gasdotti. Ricordiamo che il gas non si compra sul mercato giorno per giorno, ma si contrattualizza a 30 o più anni tramite accordi con il paese produttore.
In termini economici ciò si traduce nei famosi contratti ‘take or pay’: siccome i gasdotti costano molto, per assicurarsi la copertura economica venditore e compratore si impegnano reciprocamente. Il primo deve assicurare la fornitura (e in questo momento la Russia non lo sta facendo), mentre il secondo deve garantire l'acquisto. Se non lo compra, perché magari ha fatto i conti male e ha gli stoccaggi pieni, lo deve pagare lo stesso. Può capitare, così, che ci sia della capacità inutilizzata in qualche gasdotto.
Col decreto firmato da Scajola, in pratica, le compagnie dell'energia sono costrette a saturare i tubi, senza lasciare neanche un metro cubo inutilizzato. Tutto bene, quindi? No, non tutto. Una brutta notizia è arrivata: se Scajola ha fatto bene a massimizzare le riserve di gas, ha invece fatto male a nascondere l'incidente del Transmed, il gasdotto che dall'Algeria, via Tunisia, trasporta gas in Italia, con punto di ingresso a Mazara del Vallo.
Il 19 dicembre scorso una delle cinque condotte che forma il gasdotto è stata danneggiata da un incidente navale sul quale ad oggi non si sa nulla. Come nulla si sarebbe saputo sul danneggiamento della condotta se tra le premesse del decreto di Scajola di cui abbiamo appena parlato non ci fosse stato proprio l'incidente. Se si è arrivati al decreto di massimizzazione degli approvvigionamenti è infatti per due motivi e non per uno solo: il gas russo a intermittenza da una parte; la condotta bucata dall'altra.
Bucata, poi, lo si suppone soltanto perché davvero poco si sa in merito. Per logica crediamo si tratti di una perdita perché il flusso di gas è diminuito del 6%; se fosse stato qualcosa di più grave l'intera condotta sarebbe stata fermata.
Fatto sta che la cosa è venuta fuori in seguito ad una interrogazione parlamentare dell'on. Quartiani del Pd che, spulciando il decreto Scajola, ha notato l'accenno al Transmed. Il ministro, e l'Eni, avrebbero fatto meglio a non nascondere la vicenda. Nulla si sa, infine, del piano di aggiornamento e potenziamento dei siti di stoccaggio del gas in Italia. E’ dall'inizio di questo secolo che gli operatori del mercato del gas chiedono maggiori capacità di stoccaggio: è una delle premesse, oltre che della sicurezza, anche della concorrenza.
Avere capacità di stoccaggio, magari a prezzi ragionevoli, permette di programmare a lungo termine. Se l'Italia, come alcuni vorrebbero, un giorno diventerà realmente un hub Europeo del gas grazie agli innumerevoli rigassificatori che si vorrebbero costruire (due nella sola Sicilia, previsti a quanto pare dal Piano energetico regionale bloccato da tempo a Palermo sul tavolo della Giunta del governatore Lombardo) e se un giorno si faranno i gasdotti progettati (primo fra tutti il South Stream), allora il nostro Paese non potrà fare a meno di nuovi stoccaggi.
Nel frattempo, esattamente come 12 mesi fa, non ci resta che sperare che il tempo sia clemente, che il primo di Aprile splenda un caldo sole primaverile e che Ridge Putin e Brooke Tymoshenko facciano la pace.

19 gennaio 2009

Fonte: Pagine di Difesa - testata giornalistica di politica internazionale e della Difesa diretta da Giovanni Bernardi
http://www.paginedidifesa.it/2009/croce_090119.html