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Analisi globale dei fatti di Gaza: le premesse, i fatti, le prospettive

di Filippo Fortunato Pilato - 21/01/2009

Fonte: terrasantalibera

 

 

 

 

Sono trascorsi 24 giorni dall'attacco israeliano alla Striscia di Gaza e ancora si stanno tirando fuori i cadaveri della popolazione araba palestinese dalle macerie.

Il numero dei morti accertato, oltre 1300, pare debba salire sensibilmente nei prossimi giorni, ma non c’è la certezza che tale olocausto abbia ancora soddisfatto la criminale macchina da guerra israeliana.

 

5500 feriti sono invece sicuri, per i quali non ci sono sufficienti garanzie di poter essere curati al momento, in quanto le strutture ospedaliere di Gaza, oltre ad aver subito embargo ed essere sprovviste di medicinali e attrezzature mediche sin da prima l’attacco militare, sono state in maggioranza bombardate anch’esse, ed Israele non concede tutt’ora il permesso alle ambulanze egiziane di oltrepassare i confini del lager di Gaza per trasbordare gli invalidi nelle cliniche de Il Cairo.

 

Neppure c’è la certezza che Israele ritiri le sue milizie, nè che le frontiere lascino transitare quei convogli umanitari indispensabili affinchè molti feriti non vadano ad accrescere il numero dei morti. Non c’è nulla di certo in queste ore, tranne il fatto che Israele tenga ancora in ostaggio la popolazione civile di Gaza, come quella del resto della Palestina occupata.

 

Ci sarebbero da riempire pagine e pagine per descrivere la crudeltà e la cattiveria, premeditate a tavolino da mesi e da anni, preparate dalla diplomazia di Tel Aviv in Europa e nel mondo. Pagine nelle quali raccontare dell’assoluta inconsapevolezza, da parte dell’occupante invasore sionista, del valore dato alla vita umana e del totale disprezzo per essa, testimoniato per esempio dal comportamento di quei soldati israeliani che, dopo aver brandito come trofeo il corpo ferito e ancora in vita del piccolo Ibrahim Awaga, di 9 anni, l’abbiano usato per giocare al tiro al bersaglio, anche dopo morto, per circa un’ora, mentre il padre, a terra, ferito al torace e semincosciente, assisteva allo strazio del cadavere del figlio, impotente.

 

No, non racconteremo di questi orrori, che a centinaia e migliaia affollano i ricordi dei sopravvissuti allo scempio sionista, nè della cultura suprematista e razzista, impartita nelle yeshivoth giudaiche dai rabbini che detengono l’autorità religiosa nello Stato ebraico. Non approfondiremo in questa sede, come già hanno ben fatto altri, l’analisi dell’ideologia sionista, che ci si è voluto far credere laica, ma che affonda nel giudaismo talmudico razzialmente esclusivista, il quale riesce a far credere ai giovani figli d’Israele di essere loro soltanto “eletti” e di poter decidere della vita o della morte di tutte le altre genti, siano esse semitiche anch’esse, come gli arabi di Palestina e Libano, oppure genericamente gentili,  come le popolazioni occidentali.

In ogni caso, comunque, si può non tenere in considerazione il loro parere, le loro sanzioni, amministrate attraverso un’ente, l’ONU, riconosciuto anche da Israele, i loro consigli, le loro preghiere di interrompere la carneficina.

 

Non importa quel che han da dire le genti, i non circoncisi, gli animali parlanti secondo il Talmud. Essi devono solo servire il “popolo eletto”, senza intralciarlo nel compimento della sua missione “biblica”.

 

Perchè è nella follia del messianismo spurio, di una escatologia biblica deviata, presente nelle interpretazioni e precetti talmudici con cui vengono istruite generazioni intere di giudei, in Israele e nel mondo, che si trova la chiave di volta della psicopatia sionista, israeliana, ma anche giudaica in senso più generale.

 

Non si possono spiegare altrimenti le pulizie etniche compiute da decenni dai coloni sionisti ai danni della popolazione autoctona arabo-palestinese e libanese. Non ci si può spiegare diversamente il massacro di Deir Yassin e degli oltre 500 villaggi palestinesi rasi al suolo, i cui abitanti, per lo più contadini e pastori, sono stati assassinati o costretti ad un esodo senza possibilità di ritorno. E neppure si può comprendere la spietatezza dei bombardamenti del 2006 sul territorio libanese, mirati a distruggere le infrastrutture di una Nazione e a svilirne la popolazione intera.

 

A maggior ragione, ed in maniera ancor più evidente, non si può capire l’animo che ispira e guida quei giovani israeliti, i quali, sorridendo e pregando l’entità evocata dai loro rabbini, hanno provocato tale bagno di sangue, se non si tiene in alta considerazione lo spirito e la mentalità che ne sono la causa. Una causa che non può trovare giustificazione nè nel Dio dei cattolici, nè in quello dei musulmani di Palestina, che hanno patito e condiviso gli stessi dolori e subito la stessa ferocia.

 

Questa brevissima introduzione solo per mettere a fuoco i punti chiave principali per poter dare una spiegazione di quest’ultimo massacro compiuto da Israele attraverso il suo Tsahal, che aveva come obiettivo palese la distruzione delle strutture ed infrastrutture di Gaza, cercando al contempo di uccidere più palestinesi possibile e di renderne annichiliti, mutilati, contaminati tutti gli altri. L’uso di bombe al fosforo e all’uranio impoverito, in una zona densamente popolata come Gaza, ne sono la prova evidente.

 

Le scuse e le menzogne che Israele ha messo in campo attraverso i suoi portavoce israeliani e occidentali, dai “razzi di Hamas” ai “tunnel per il contrabbando d’armi”, non bastano a mascherare le vere motivazioni di quella che è stata una guerra unilaterale verso un popolo (ed infatti anche unilateralmentee è stato dichiarato il cessate il fuoco) per il dominio della sua terra, dei suoi cieli, delle sue coste e dei suoi mari, dove pare risiedano ingenti giacimenti di gas, proprietà di diritto naturale e geografico palestinese, ma gestito da compagnie inglesi ed utilizzato da Israele.

 

Anche il furto, oltre l’omicidio, sarebbe quindi da porre sul banco delle accuse, se si riuscissero a portare in giudizio i leader di Tel Aviv, in un Tribunale Internazionale come criminali di guerra per i crimini commessi contro l’umanità a Gaza e in Palestina.

 

Ora il quadro è più completo, per poter procedere ad analizzare meglio un altro aspetto di questa sporca politica di guerra: l’influenza e la complicità dei soggetti politici sullo scacchiere internazionale, che hanno permesso alla leadership israeliana di muoversi con disinvoltura, sapendo che nessuno avrebbe mosso un dito per ostacolarla e che avrebbe avuto tutto il tempo per portare a compimento i suoi piani.

 

La complicità americana era scontata, sia da parte della dirigenza Bush, comprovata e consolidata partner nell’impresa coloniale sionista, la quale ha proprio oltre oceano le sue lobby di potere più forti, economicamente e politicamente, ma anche dalla parte dell’entourage del neo-letto presidente Barak Obama, il quale ha saputo prudentemente mantenere un profilo basso, senza lasciare dichiarazioni. Osservatori internazionali hanno sottolineato come Israele possa essere stata spinta ad accelerare i tempi dell’attacco a Gaza, approfittando del passaggio di presidenza, perchè con la nuova guida alla Casa Bianca sarebbe cambiato l’atteggiamento nei confronti della politica israeliana da parte americana.

Non sono completamente convinto di tali affermazioni: sia per il fatto che comunque Obama, come qualsiasi altro presidente americano, non sarebbe stato eletto senza l’appoggio dell’AIPAC, roccaforte sionista, dove egli esordì nella sua campagna presidenziale affrontando i problemi di politica estera, ma anche per via della presenza di quei 36 ebrei che hanno plasmato la conduzione di tale campagna, come ci riferisce il quotidiano Haaretz in un articolo di metà dicembre 2008, dove si fa anche l’elenco di questi soggetti, indicandone le funzioni.

Aver preso poi come suo braccio destro un ultra-sionista, figlio di un terrorista del’Irgun, come Israel Rahm Emmanuel, la dice lunga sulle simpatie del neo-presidente americano e le garanzie di affidabilità che egli vuole offrire a Israele.

 

Indubbiamente l’elezione di Barak Obama, ben visto dai progressisti, tanto americani quanto internazionali, modificherà le strategie politiche di missione diretta al popolo, più che geopolitiche e d’egemonia militare, sia nel mondo che in Medioriente.

Ed è perciò che gli strateghi israelo-americani hanno approfittato di questo periodo, a cavallo delle due differenti leadership, liberale e democratica, per scatenare un’offensiva dalla portata e potenza di fuoco così devastanti, sapendo di poter godere dell’alibi, coordinato, della transizione presidenziale.

 

Tutto il male sarebbe stato addossato alle presidenze Bush, junior e senior, la cui imagine nera e guerrafondaia è ormai registrata indelebilmente negli annali di storia, mentre il nuovo che avanza, con il suo Yes We Can riuscirà meglio a far dimenticare gli orrori delle guerre, anche questa di Gaza, e a sdoganare una nuova politica americana e israeliana che, gettandosi una pelle d’agnello sulle spalle, continuerà il suo controllo di vaste aree del pianeta, dei popoli e delle risorse energetiche indispensabili a mantenere attivo tutto l’apparato economico e militare, necessario al dominio globale. 

Si disilludano quindi coloro che credono in un cambio al vertice statunitense che possa avere una benchè minima influenza pratica atta a modificare i progetti israelo-sionisti. È vero invece il contrario, e cioè che, per usare le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, celebre personaggio del romanzo siculo-italiano Il Gattopardo, "Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che tutto cambi".

 

Con questa chiave di lettura possiamo interpretare meglio la fretta del portare a termine l’operazione militare israeliana Piombo Fuso, senza alcuna voce, neppure presso le NU, che potesse smuovere il decisionismo omicida israeliano, forte del veto e dell’astensionismo dell’amministrazione americana uscente.

 

Mentre intanto l’europeo Sarkozy, guadagnandosi insieme all’egiziano Mubarak le stellette di primo diplomatico dell’anno,  si esibiva in un balletto che riuscisse a temporeggiare, di giorno in giorno, sino alla vigilia dell’ingresso alla casa Bianca del nuovo presidente americano Barak Obama. Ed infatti il cessate il fuoco, unilateralmente deciso da Israele, è arrivato solo un paio di giorni prima della cerimonia ufficiale del suo insediamento.

 

Dopo Bush, Obama: dopo il bastone, la carota. Ma la mano è sempre la stessa.

 

Gioverebbe qui citare le parole di Alan Dershowitz che ci spiega:

"La ragione è che penso sia meglio per Israele avere un sostenitore progressista nella Casa Bianca piuttosto che avere un sostenitore conservatore nell'Ufficio Ovale. Le posizioni di Obama su Israele avranno un maggiore impatto sui giovani, sull'Europa, sui media e su altri che tendono ad identificarsi con la prospettiva di sinistra. Sebbene io creda che la sinistra moderata [centrists liberal] tenda a sostenere Israele, riconosco che il sostengno dalla sinistra sembra indebolirsi, mentre il supporto dalla destra si rafforza. Viaggio tra i campus universitari sia negli Stati Uniti che all'estero, e vedo professori radicali che cercano di presentare Israele come il protetto della destra e un nemico della sinistra. In quanto sostenitore di sinistra di Israele, cerco di combattere questa falsa immagine. Nulla potrebbe aiutare di più in questo importante sforzo per puntellare il supporto progressista ad Israele che l'elezione di un presidente di questo schieramento che sostenga fortemente Israele e sia ammirato dai progressisti in tutto il mondo. E' tra le importanti ragioni per cui sostengo Barack Obama come presidente".

http://www.huffingtonpost.com/alan-dershowitz/why-i-support-israel-and_b_135660.html

 

Tornando al balleto diplomatico di Sarkozy, per concedere il tempo a Tsahal di terminare il suo sporco lavoro, tutti avranno notato altresì le visite del ministro israeliano Tzipi Livni ai capi di stato, e politici autorevoli, delle nazioni europee, ben prima che scattasse l’operazione Piombo Fuso.

Bisognava non tanto mettere a punto e avere conferma dell’adesione ai piani di guerra israeliani, che sarebbero stati attuati da lì a non molto (per questo sarebbero bastate poche telefonate), quanto presentare all’immaginario mondiale, ma particolarmente europeo, la migliore prospettiva di un Israele sorridente, cordiale e disponibile all’incontro democratico, utilizzando al caso la bionda ed elegante ministro israelita. Tale approccio, unito ad una campagna propagandistica giornalistica a dir poco sfacciata, avrebbe giocato a favore delle prese di posizione in difesa di Israele da parte dei rappresentanti eletti nelle rispettive nazioni europee.

 

Impossibile competere sul piano mediatico da parte della leadership palestinese, a cui i riflettori sono sempre stati negati se non che per mettere a fuoco qualche impreciso lancio di sgangherati razzi qassam. Sporadiche le apparizioni di Abu Mazen, quasi sempre ripreso a stringere le mani di rappresentanti americani o israeliani, mentre i coloni ebraici continuavano a rubare ed impossessarsi di terra palestinese, finanziati da Tel Aviv, coperti e spalleggiati dalle milizie israeliane, istigati e indottrinati nelle scuole rabbiniche, le yeshivoth, da professori dell’odio razziale che davano dispense religiose per poter uccidere i non ebrei, ed i palestinesi particolarmente, indipendentemente dall’età e dal sesso, che fossero civili o meno.

 

Ma la propaganda editoriale e televisiva europea non metteva tanto l’accento sugli episodi di violenza e sopraffazione, gratuite ed immotivate, da parte di cittadini israeliani, civili e militari, ai danni della popolazione palestinese. Anzi, nella maggior parte dei casi tali atti di barbarie non venivano e non vengono proprio menzionati, come inesistenti, e per averne notizia si poteva solo fare affidamento su video privati scaricatio su YouTube da pacifisti e volontari internazionali. Come non si ebbe quasi notizia della imbarcazione del Free Gaza Movement, associazione di pacifisti e non violenti internazionali, che con gran coraggio sfidò la Marina militare Israeliana ed il suo blocco delle acque territoriali palestinesi, per portare solidarietà e soccorsi medici ad una popolazione al limite del collasso. Neppure si seppe granchè della sorte di uno di loro, l’italiano Vittorio Arrigoni, catturato da Israele mentre era in acque territoriali palestinesi per accompagnare alcuni pescatori di Gaza. Venne imprigionato e detenuto in condizioni disumane nelle carceri israeliane, senza che si registrasse qualche protesta o interessamento da parte delle autorità italiane.

 

Le autorità di governo italiane, in particolar modo, si distinsero tra le nazioni europee per il più servile allineamento ai diktat e alla politica coloniale d’aggressione sionista.

Mentre in altre nazioni europee si levavano, seppure isolate, voci di dissenso e di denuncia per le azioni israeliane, che erano fuori da ogni convenzione internazionale e da qualsiasi regola di buon senso, in Italia si sono registrate, e si registrano tutt’ora, prese di posizione totalmente prive di qualsiasi senso critico e completamente giustificanti qualsiasi abiezione da parte sionista.

 

Mentre in Inghilterra e in Svizzera si potevano cogliere le secche prese di distanza e persino di denuncia dei rappresentanti dei rispettivi governi da azioni palesemente contrarie a qualsiasi senso etico…………….in Italia era ed è ben compatto un fronte pro-Israele, che trasversalmente raccoglie i consensi da tutto l’arco istituzionale.

A far da capolista il comunista, o ex tale, Presidente della Repubblica, Napolitano, che è giunto a definire l’antisionismo come forma di antisemitismo, dimostrando oltre ad una totale ignoranza  dei termini, anche un disprezzo antidemocratico nei confronti della libertà di pensiero, di espressione, sancite inequivocabilmente dalla Costituzione italiana. Nulla di cui meravigliarsi di colui il quale, ai tempi in cui i carri armati sovietici schiacciavano nel sangue l’opposizione popolare anticomunista in Cecoslovacchia, definì sulle pagine del quotidiano comunista nazionale italiano, l’Unità, “Banditi” gli oppositori al sanguinario regime erede della dittatura stalinista.

 

Al suo seguito una folta schiera di ex-comunisti riciclati, di radicali, di socialisti, liberali, repubblicani, conservatori d’ogni sfumatura, di ex-fascisti e badogliani, di ipocriti banderuole, come il convertito neoconservatore ed ex-radicale Capezzone, monumento dell’opportunismo politico e umano, parassita nullafacente come il resto delle sanguisughe di Stato, che hanno coperto l’Italia di vergogna.

 

Ma il più spericolato acrobata dell’attuale politica di governo italiana filo-israeliana è sicuramente Gianfranco Fini, delfino di Berlusconi e Presidente della Camera dei Deputati, Segretario di Alleanza Nazionale, formazione derivante parzialmente dal vecchio Movimento Sociale Italiano, partito storico della destra italiana post-fascista, completamente allineato nei ranghi di formazione conservatrice americanista e filosionista, recentemente sdoganato e salito agli onori degli altari politici dopo la famosa visita di Gianfranco Fini in Israele, dove, kippa in testa, al museo dell’olocausto, ha dichiarato pubblicamente come il periodo fascista italiano (sulle ceneri del quale il suo partito originariamente era nato) fosse da considerarsi come “il male assoluto”. Da qui iniziarono una serie di purghe interne e abbandoni, di coloro i quali considerarono tali dichiarazioni eccessive, mentre invece si trattava del logico epilogo di un cammino di integrazione neoconservatore, susseguente al Congresso di Fiuggi, nel quale già si era data una svolta in senso. In realtà molti dissidenti si dimostrarono poi solo organici ad un gioco di riassorbimento di quelle componenti meno disponibili a gettare alle ortiche gli ideali ed un etica che avevano radici lontane e ben radicate nella cultura politica e storica italiana, mentre le innovazioni finiane hanno base nel sionismo e nel giudeo-americanismo, entrambe dottrine da far ben assimilare alla colonia Italia.

 

(Stenderei un velo pietoso sulla precedente coalizione ultra-parassitaria di sinistra, la quale ha spolpato e coperto non solo di vergogna, ma anche di ridicolo l’Italia, riuscendo a portare in Parlamento, unica nazione al mondo forse, un rappresentante del movimento dei transessuali-transgender, il quale creò gran scompiglio persino nei bagni delle Onorevoli femmine, che nella persona di un’esponente del centro-destra lo cacciarono addirittura dalle toilettes…)

 

Oltre ai sopra citati onorevoli, potremmo elencarne decine d’altri.

Fiamma Nirenstein, con doppio passaporto, italiano e israeliano, portavoce d’Israele al parlamento italiano e arruolata nelle fila di Fini.

E poi Fabrizio Cicchitto, Andrea Ronchi, Enrico Pianetta, Rossana Boldi, Maurizio Gasparri,Gaetano Quagliariello, Edmondo Cirielli, Benedetto Della Vedova, Emanuele Fiano, Marcello Pera, Giorgio La Malfa, Ferdinando Adornato, Mario Baldassarri, Paolo Guzzanti, Marco Pannella, Piero Fassino, Gianni Vernetti, Alessandro Maran, Marco Taradash  per citare i più conosciuti e convinti rappresentanti dell’ala pro-Israele presente all’interno del Parlamento italiano: ma la lista sarebbe ancora molto lunga.

 

Da sottolineare che costoro, in compagnia della crema del giornalismo italiano, Antonio Polito, Massimo Bordin e altri, guidati dal loro guru Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità ebraica, nonchè per anni attivista e organizzatore di squadre ebraiche di picchiatori di dissidenti e ricercatori storici revisionisti, come il Prof. Faurisson, 85 anni, malmenato, talmente da essere ricoverato in ospedale, mentre teneva una conferenza-dibattito presso l’Università di Teramo, non più di pochissimi anni fa, hanno inscenato una piazzata fuori dall’aula parlamentare poche sere fa, quando i bombardamenti a tappeto di Gaza erano ancora in corso e stavano procurando morti e feriti a centinaia tra la popolazione civile.

 

A tale piazzata macabra si è unito anche il Presidente della camera dei deputati, Gianfranco Fini, che avvolto di bandiere israeliane ha dimostrato ancora una volta e pubblicamente la propria sudditanza ad una nazione straniera, con l’aggravante di farlo proprio nel momento in cui tale nazione stava compiendo eccidi orrendi e dalla Presidenza e Segreteria delle Nazioni Unite arrivavano le Risoluzioni che chiedevano a gran forza la sospensione dei bombardamenti su Gaza.

Si può dire che qui i rappresentanti della colonia Italia abbiano raggiunto il massimo del cattivo gusto, sbracciandosi e ridendo sguaiatamente e servilmente mentre i corpi di tanti bambini venivano straziati dalla furia genocida dello Stato sionista.

 

Per un italiano onesto e informato, che abbia assistito tutti i giorni alle riprese in diretta del massacro di Gaza, tramite stazioni televisive come Aljazeera, o avendo appreso tramite il contatto telefonico, con volontari pacifisti presso gli ospedali di Gaza, cosa fosse realmente in corso in quella striscia di terra a ridosso del mar Mediterraneo, vedere tutte queste manifestazioni di cinismo, di falsità, di perfidia, di cattiveria, di ignoranza per alcuni, incarnate da quella classe politica che ci fa conoscere nel mondo,  è stato motivo di profonda indignazione.

 

Le radici del servilismo della classe politica italiana e dei suoi portavoce che gestiscono l’informazione accreditata è da ricercarsi nella capitolazione avvenuta nella metà del secolo scorso, che ha portato l’Italia a diventare colonia americana, con tanto di basi militari, logge massoniche atlantiche, ed un economia e finanza direttamente dipendenti dai centri di potere angloamericani.

Sin da allora il potere angloamericano era dovuto alla potente influenza e direzione delle lobby ebraiche che ne gestivano i flussi finanziari e commerciali, nonchè, per paradosso, anche la politica di sostegno della fallimentare economia del regime bolscevico, cosa che servì per molto tempo a tenere viva l’essenziale  politica della Guerra Fredda. Oggi non sono cambiati i suonatori, ma è l’obiettivo geopolitico verso cui indirizzare  le proprie mire egemoniche che si è leggermente riposizionato, a causa anche della difficile omologazione della cultura arabo-islamica ai canoni di pensiero anglo-americani, che sono il perno  e la testa d’ariete della lobby ebraica alla conquista del mondo.

 

L’Italia ed i suoi rappresentanti politici, è più di ogni altra nazione europea vittima del ricatto e dell’odio di tale lobby giudeo-americana, per via non solo di avere perso una guerra, ma di non avere la capacità ed il potenziale per saper reggere ad una concorrenza di mercato e finanziaria. La corruzione della classe dirigente è poi solo un aspetto del disastro sociale, economico e culturale italiano, perchè anche volendo essa non sarebbe stata in grado di assorbire gli scossoni finanziari provocati apposta per mettere in ginocchio ulteriormente, e soggiogare senza rischio di reazioni, i punti più deboli del sistema globale, disposti a tutto pur di sopravvivere e ingrassare anche in periodi di vacche magre.

 

È in questa chiave che bisogna leggere le manifestazioni di ostentato servilismo della dirigenza politica italiana nei confronti di Israele, spacciato per orgoglio e solidarietà con l’unica democrazia mediorentale in chiave antiterroristica, mentre tutti sappiamo essere tale “democrazia” la vera matrice terroristica e destabilizzante del bacino mediorientale.

 

L’odio atavico nei confronti di quella Roma che ha conteso il primato alla sinagoga, è la pasta cementificante del rabbinato israelita che chiede da un lato l’obbedienza a israele e dall’altro non perde occasione per umiliare e danneggiare l’identità e la tradizione culturale italiana. Il solito Gianfranco Fini, recentemente ce ne ha dato una riprova, quando come un pappagallo ed in un contesto nel quale assolutamente non era per lui elettoralmente conveniente, ha ripreso comunque le accuse false, trite e ritrite, del velenosissimo e rancoroso giudaismo anticattolico, nei confronti della Chiesa di Roma, per inesistenti colpe nei confronti della shoáh ebraica dello scorso secolo. Egli ha letto una velina passatagli di sottobanco, ma della quale non conosceva evidentemente il reale contesto. È stata solo una umilante, per Fini, prova di fedeltà al il rabbinato israelita filo-sionista, radicato in Italia. Quell’Italia cattolica e papalina che, in piena caccia ai marranos sul suolo ispanico, diede alla comunità sefardita spagnola ospitalità e protezione.

Oggi la stessa comunità di origini sefardite, gioca il ruolo askenazi, ben conscia che altrimenti avrebbe poca risonanza in Israele, per tenere al guinzaglio i camerieri delle banche italiani. Mentre la potenza militare angloamericana ne garantisce il controllo territoriale e geopolitico nel bacino mediterraneo.

 

Questa è la sciagura che sta vivendo l’Italia, spinta in prima linea a combattere una guerra non sua, per favorire gli interessi altrui e per soddisfare rancori mai sopiti.

 

In conclusione, valutando lo spessore e la natura dei protagonisti di questo conflitto, di portata che va ben oltre i confini mediorientali, come possiamo aver bene intuito, non ci restano molte speranze in merito ad una conclusione positiva dei contrasti e delle legittime aspirazioni dei popoli mediorientali. Popoli tra i quali non possiamo annoverare il fittizio “popolo d’Israele”, perchè in realtà tale esso non è, sia per ragioni storiche (la maggioranza degli “israeliani” sono immigrati di origini Kazare Caucasiche) ed etniche (idem) che d’inserimento antropologico di durata tale da poter essere considerato assimilabile. E lo scontro in atto sin dall’inizio dell’impresa coloniale israelita è lì a dimostrarcelo chiaramente. Israele è considerata, oggi più che mai, da tutti popoli arabi come un corpo estraneo da espellere. Ed il comportamento della leadership israelita, da sempre, è stato di non integrazione ma al contrario di esclusivismo razziale, sfociato in tentativi sempre più gravi di pulizia etnica. Quel che è successo in questi giorni a Gaza ne è la conferma. 

Tornando ai protagonisti di questo scenario mediorientale e volendone in sintesi esprimere un giudizio sulla potenzialità e capacità di saper risolvere le problematiche in campo, ed esclusi quelli occidentali che vediamo schierati, con poche eccezioni, in difesa d’Israele ed al suo fianco come partner economici e militari, anche di quelli arabi possiamo stare poco allegri. Abu Mazen e la coalizione minoritaria che rappresenta, si sono macchiati di connivenza con l’entità che occupa e uccide i figli di Palestina, ed a parte qualche condanna verbale, si sono poi sempre allineati al volere di Tel Aviv e di Washington. I suoi dirigenti, da Fayyad a Dahlan, sono cresciuti all’ombra dei grattaceli americani e parlano meglio l’inglese che l’arabo. Il Re di Giordania, per chi l’abbia ascoltato bene, parla con uno spiccato accento americano, e americanissima è la sofisticata tecnologia che troverete ad affrontarvi nell’attraversare i loro confini, con lettura dell’iride e rilievo digitale delle impronte. Sul coinvolgimento di Arabia Saudita ed Egitto, pressate da un’opposizione interna che vede con favore movimenti della resistenza radicati nel popolo, tipo Hamas ed Hezbollah, ma fumo negli occhi per le classi politiche di questi paesi che temono tali simpatie più della peste, ci sarebbe molto da dire, e non mi farei ingannare da apparenti generosità ostentate nella ricostruzione di Gaza, se al contempo pare che essi contribuiscano alla destabilizzazione di tali movimenti.

(vedi "La guerra israeliana è finanziata dall'Arabia Saudita")

(vedi anche http://www.voltairenet.org/article158979.html#article158979)

 

Anche di Iran e Siria, nonostante tutte le belle dichiarazioni, ci sarebbe poco da fidarsi, dato il progetto, buttato da tempo sul piatto, di spartizione dello smembrato IRAQ in parti uguali. Quanto alla Turchia, in procinto di entrare a tutti gli effetti nella Comunità Europea, si possono prendere le recenti dichiarazioni con le molle.

Tutti hanno grossi interessi da difendere ed una massa popolare da accontentare e da tenere a bada per riuscire a conservare il potere.

 

Gli unici ai quali i palestinesi potevano guardare con fiducia erano il Presidente Arafat ed il capo di stato iracheno Saddam Hussein, che, con tutti i loro limiti e difetti, per qualcuno inaccettabili, erano gli unici la cui disponibilità non era negoziabile. Per questo sono stati i primi ad essere eliminati drasticamente dallo scenario asiatico.

 

Ora al popolo palestinese, come hanno dimostrato i recenti avvenimenti, non resta che se stesso e il volere di Dio. E tali sono le consapevolezze che oggi incarna Hamas.

 

Entrambi sono cose di non poco conto e che potrebbero capovolgere completamente tutti gli scenari ipotizzabili, basati su previsioni umane che non tengano nel dovuto conto la forza dello Spirito.

 

per la rivista culturale "Dubai al-Thaqafiya"