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Le radici dell’Islâm

di Alberto De Luca - 02/02/2009

 

Presentare i principi spirituali di una religione qualsiasi, non è mai impresa agevo-le, ma diviene oltremodo delicata e difficile, quando la presentazione verte sull’Islâm e, a maggior ragione, quando la si indirizza al pubblico occidentale, che sembra nutrire nei riguardi dei musulmani una paura difficile da superare.
Bisogna essere però corretti ed affermare quindi che questa paura non è nuova: è possibile, infatti, scovarne le traccia lungo tutta la storia movimentata dei rapporti fra il Cristianesimo e l’Islâm, ma a fianco di quello che è l’immaginario popolare, gli ordini cavallereschi del Medio Evo avevano almeno iniziato, affrontandosi, a conoscersi e a stimarsi reciprocamente. L’aversi concretamente attuata questa stima e conoscenza tra queste due tradizioni, fu resa possibile proprio perché l’Europa fino allora era riuscita a mantenere la sua stessa tradizione.
Il mondo moderno occidentale è adesso chiuso ad ogni realtà di tipo trascendente e attualmente, dopo un lungo periodo di disprezzo, l’Occidente, nella persona dei suoi pensatori, manifesta verso l’Islâm una preoccupazione, che si è esacerbata in un terrore confuso, rappresentato dall’integralismo islamico.
Non si può negare, pena lo scadere nel ridicolo, che da una ventina d’anni a questa parte l’Islâm sembri occupare il centro della ribalta mondiale, mostrandosi soprattutto sotto un aspetto aggressivo, ma ciò in realtà non ne costituisce che la maschera defor-mata dalle ideologie di coloro, che pretendono di servirlo, asservendolo invece, ai loro interessi di parte.
Non sono certo la dottrina o il culto religioso, come ci si vorrebbe far credere og-gi, a spingere gli uomini gli uni contro gli altri, bensì sono gli esseri umani che dimenti-cano la dottrina e la pratica religiosa, combattendosi così vicendevolmente, proprio per-ché dal punto di vista rituale non sono più praticanti e perché dal punto di vista dottrina-le, sono convinti che il loro Dio è il solo vero, finendo inevitabilmente a vedere i loro fratelli alla stregua di estranei o avversari. Se l’uomo non vive rischiarato dalla luce del-la religione bensì dalla opacità della «fisicità», è inevitabile che accada quanto sopra de-lineato.
Ma a ben vedere, le stesse concezioni di guerra nonché di avversario sono muta-te: infatti, se addietro nel tempo coloro che prendevano parte al certamen comunque portavano rispetto nei confronti dei loro nemici, oggi, estendendo la portata cronologica di questo avverbio di tempo molto di là del suo significato usuale, si può vedere chia-ramente il ricorso alla demonizzazione dell’altro. Logico risultato di questa «evoluzio-ne» è stato l’insorgere di pratiche ignominiose di guerra, ammesso che la si possa chia-mare ancora così.
L’aberrazione, per cui «solo il nostro Dio è il vero», è imputabile anche alla re-sponsabilità dei muslim nella misura in cui, hanno fatto proprie tali concezioni, rinun-ciando contemporaneamente alla loro stessa testimonianza di fede, la shahada, che si apre con l’affermazione: la ilâha illâ Allâh, «non vi è divinità se non Iddio». Come per i pezzi del domino, in cui caduto il primo gli altri lo seguono, così i muslim, che hanno rinunciato alla loro shahada, hanno inevitabilmente negato la verità della missione pro-fetica che riconosce i fedeli di altre comunità religiose quali discepoli dei profeti islami-ci precedenti a Muhammad, risalendo non solo fino ad Abramo ma fino allo stesso A-damo, il primo profeta islamico.
Ma, par condicio, non si possono neppure tacere le responsabilità delle comunità religiose cronologicamente pre-islamiche che, con il falso pretesto che le rivelazioni successive non corrisponderebbero a quelle annunciate nei loro testi sacri, hanno nega-to all’Islâm la sua universalità e fintanto la sua ortodossia, tacciandola di eresia.
Se quindi, la chiave di volta dell’integralismo può dirsi geopolitica o etnica, quella dell’Islâm è semplicemente e puramente spirituale e lo stesso dicasi per le altre tradi-zioni regolari.
La natura essenziale della paura, che si nutre nei confronti dell’Islâm, trae origine dall’ignoranza, ma per quanto essa possa essere angosciante, l’albero spinoso dell’integralismo islamico non deve impedire di scorgere la ricca foresta dell’Islâm au-tentico, terza tradizione originatasi dal monoteismo abramico.
Sembra ovvio che, se si vuole capire l’Islâm, bisogna aprioristicamente avere una conoscenza vissuta della religione in quanto tale, ciò comporta che si viva già in modo tradizionale a seconda della propria appartenenza a una comunità piuttosto che un’altra, poiché la religione è una come attesta lo stesso Islâm. Infatti, tutti gli inviati di Dio che si sono susseguiti a partire da Adamo per arrivare a Muhammad, passando per Abramo, Mosè e Gesù, hanno trasmesso un solo e unico messaggio che è il richiamo al-la conoscenza e all’adorazione del Dio Unico. Questa è la Tradizione immutabile, Dî-nul-qayyîmma.
Come in ogni singola tradizione vi è, allora, nell’Islâm una prospettiva confessio-nale che gli è propria, costituendone la sua specificità, ed una prospettiva universale che condivide con le altre tradizioni: sotto quest’ultimo aspetto, conformemente alla sua e-timologia, Islâm significa sottomissione totale, attiva e confidente nelle Mani di Dio, l’Unico.
La diversità delle confessioni, quando ci si fermi al piano religioso, è il riflesso della diversità delle comunità degli inviati, la cui successione si rende necessaria a causa della ipocrisia e dell’orgoglio degli uomini, nonché della loro ricorrente infedeltà ai messaggi, che sono stati loro indirizzati. Contemporaneamente, la molteplicità delle vie tendenti verso l’Unico costituisce un dono provvidenziale, poiché Dio, il Misericordio-so, sa adattare la Sua parola alle orecchie che la ascoltano: “Noi non abbiamo inviato alcun messaggero se non con la lingua del suo popolo, affinché lo illumini” (Cor., XIV, 4). Chiamati a adorare l’Unico Dio, i credenti custodiscono preziosamente la forma reli-giosa che è stata loro provvidenzialmente donata, e sono «comandati» a praticare, cia-scuno sulla sua via, una santa emulazione nelle opere rituali e spirituali: “Rivaleggiate fra voi nelle buone opere. Voi tutti ritornerete a Dio, e allora Egli vi informerà sulle ragioni delle vostre divergenze” (Cor., V, 48).
Attingente alla medesima Fonte della religione cristiana che, per il fatto di aver predominato in Occidente per duemila anni, non è perciò, nei suoi principi, meno «o-rientale», l’Islâm è estraneo a qualsiasi forma di proselitismo, poiché “non vi è costri-zione nella religione” (Cor., II, 156). Sua funzione specifica è di invitare gli uomini a una riconversione costante verso Dio, ancora di più se essi hanno dimenticato gli impe-gni spirituali costituenti il fine stesso della vita umana.
La riconversione verso Dio è quanto mai urgente poiché la dimenticanza delle o-rigini ha ricoperto poco a poco col suo torpore tenebroso la nostra società materialmente sazia ma spiritualmente inquieta. La civilizzazione moderna occidentale si è basata non su Dio bensì sulla «fisicità» dell’uomo, meglio ancora sull’individuo umano, esaltando-ne la libertà, la ragione e il preteso potere sul mondo. L’uomo moderno ha creduto di trovare il senso della propria vita in se stesso, indipendentemente dalle verità divine.
Sembra arrivato, invece, il momento in cui le illusioni finiranno per dissiparsi e le ideologie e filosofie occidentali sfoceranno in una constatazione terribile, quella dell’assurdità dell’esistenza umana, così come è stata concettualizzata dai tempi del co-gito ergo sum di cartesiana memoria. L’occidentale si crede un realista, ma, restringen-do la propria conoscenza e la propria azione al solo dominio della realtà materiale, egli non è di fatto che un sognatore sentimentale, agitato a volte dall’incubo della pretesa «angoscia metafisica», che non è se non che l’angoscia di una autentica prospettiva me-tafisica, di cui è privo chi si è incamminato sulla strada della psicologia creativa, la qua-le lo ha condotto nei meandri oscuri della dimensione psichica inferiore.
Le manifestazioni aggressive dell’Islâm, che rivendica a suo modo e a sua volta la «modernità», non sono che i frutti amari di quelle stesse ideologie occidentali seminate in terra d’Oriente: culto della nazione e dell’identità culturale, missionarismo coloniale, pretese egemoniche basantesi sull’esclusivismo religioso o sulle tecnologie avanzate, illusioni del progresso materiale e la società dei consumi e del benessere, che parano i-nevitabilmente in una rivoluzione finalizzata all’utopica costituzione in questo basso mondo di una società ideale, che possa portare a tutti il benessere immediato. In partico-lare, gli ideologi senza scrupoli si servono della religione, per fini politici, adducendo una sorta di matrice «violenta» delle religioni. È impossibile, tradizionalmente parlando, che una religione sia violenta, poiché «violenza» significa, etimologicamente, «viola-zione» di una norma sacra: sembra proprio impossibile che qualcosa o qualcuno adotti un comportamento palesemente dannoso per se stesso.
Inveratosi il terzo millennio, alcuni fra i nostri contemporanei evocano il tema del ritorno del sacro (religioso e spirituale), senza però che si possa comprendere ciò che essi abbiano in mente utilizzando questa parola. Vi è il pericolo che il rimedio, da questi proposto, non risulti peggiore del male che si vorrebbe così curare, dato che il ritorno da loro tratteggiato sembra piuttosto configurarsi come una parodia della spiritualità. Ri-torno del sacro, come se fosse una tendenza della moda, questo è ciò che sembra traspa-rire da questo vasto e variegato vociferare di spiritualità. In verità, lo Spirito dimora i-nalterabile nel suo perenne presente, ben oltre il dispiegarsi illusorio del tempo: è im-mutabile e perciò intensamente più vivente della stessa vita, essendo la sua invisibilità causata dalla cecità della nostra intelligenza e all’indurimento del nostro cuore.
L’uomo moderno adora il progresso, tanto da credere che il progresso esista anche nel dominio religioso, laddove, invece, la stabilità delle forme religiose traduce simboli-camente la perennità dello Spirito.
Nella Nuova Era si nota così uno «spiritualismo» tagliato a misura della mediocri-tà dell’individuo, liberato dai dogmi e dai riti, mentre è l’ortodossia dei dogmi e delle pratiche rituali, che permette di distinguere fra religioni autentiche e deviazioni. L’Occidente è divenuto oggigiorno il «supermercato della spiritualità», in cui pullulano le «nuove religioni», di chi dimora prigioniero degli approcci sociologici o psicologici della fede, mentre si rivelano imposture di sciocchi o di presunti «illuminati»: benché essi promettano la salvezza a tutti senza alcun sacrificio, queste «nuove religioni» apro-no le porte alle forze psichiche più sottili e pericolose. Questa falsa spiritualità, perché priva dello spiritus, quello che Dio ha posto in Adamo al momento della sua creazione, quindi spiritualità senza Dio, annuncia l’ultima bestemmia che è quella dell’uomo ani-male divinizzato, evocanti sinistre risonanze apocalittiche.
Perché pulire lo specchio del cuore dalle sue passioni e paure, quando esso non è correttamente orientato verso la Fonte della Luce? Al di fuori di una corretta orientazio-ne, la fede diviene semplice questione sentimentale, i riti degenerando in cerimonie e metafore, mentre gli slanci devozionali si perdono nelle lotte mondane, per non parlare della costituzione di una pratica sincretistica, frutto della «creazione» dell’uomo e per-ciò stesso soggetta al suo divenire.
Infine si risponde alle dichiarazioni rilasciate recentemente alla stampa da parte di esponenti religiosi cristiani. Sembra, infatti, che voler affermare la supremazia della re-ligione cristiana cattolica su tutte le altre fedi, compresa quella ortodossa, in quanto uni-ca via di salvezza per i popoli, denoti un atteggiamento esclusivista e totalitario. In tale ottica, le dichiarazioni del cardinale Biffi palesano non solo una preoccupante confusio-ne tra immigrazione e religione (come comportarsi con gli arabi cristiani e i musulmani italiani), ma soprattutto una certa sintonia ed affinità con l’integralismo, giustamente combattuto ed avversato.
Ecco perché di fronte a tutto quanto riportato il «dialogo» fra le religioni deve co-stituire un’anticipazione del loro incontro in Dio, l’Unico.