Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iraq, La lotta per il controllo di al Anbar rischia di degenerare

Iraq, La lotta per il controllo di al Anbar rischia di degenerare

di Ornella Sangiovanni - 04/02/2009




Al Anbar - la provincia dell’ovest dell’Iraq un tempo roccaforte della resistenza contro l’occupazione Usa, diventata in seguito una delle più tranquille del Paese – sarebbe sul punto di tornare nell’occhio del ciclone.

Questa volta però gli americani non c’entrano: i problemi sono tutti fra iracheni, e tra sunniti per la precisione.

All’origine delle tensioni, che ieri hanno portato le autorità di Baghdad a imporre il coprifuoco notturno in tutta la provincia, le elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali, che si sono tenute tre giorni fa qui come in altri 13 governatorati del Paese, e che ad al Anbar, che è abitata in stragrande maggioranza da sunniti, hanno visto contrapporsi l’Iraqi Islamic Party (IIP) e i suoi alleati, alle formazioni tribali nate dal cosiddetto “movimento del Risveglio”.

Dopo aver combattuto al Qaeda riportando l’ordine nella zona, i gruppi tribali hanno tutta l’intenzione di prenderne il controllo, usando come arma la scheda elettorale, se possibile.

Il che significa prendere più voti dell’IIP, che domina il consiglio provinciale dalle precedenti elezioni del gennaio 2005, essendo stato l’unico partito sunnita ad avervi preso parte – a fronte di un boicottaggio di massa proclamato da tutti gli altri.

Solo che la faccenda sta diventando problematica. I risultati del voto, infatti, ancora non si conoscono: per quelli preliminari ci vorrà la fine della settimana, ha detto la Commissione elettorale indipendente irachena; quelli definitivi – i cosiddetti risultati “certificati” – dovranno forse attendere anche tre settimane.

Nel frattempo la situazione ad al Anbar si sta riscaldando: l’IIP sta facendo circolare voci di aver vinto anche questa volta, e gli sceicchi capi delle tribù hanno reagito male – gridando ai brogli.

E minacciando di passare alle armi. Che tanto non mancano, anzi.

Ieri, Hamid al-Hais, capolista della “Lista delle Tribù irachene”, che raggruppa alcuni dei principali gruppi del “Risveglio”, aveva detto alla Reuters che i suoi seguaci avrebbero “messo a ferro e fuoco le strade di Ramadi [la capitale provinciale] se l’Islamic Party fosse stato dichiarato vincitore delle elezioni”.

“Faremo di al Anbar una tomba per l’Islamic Party e i suoi agenti”, aveva precisato per chi non avesse capito bene. “Daremo inizio a una guerra tribale contro di loro e quelli che cooperano con loro”.

Parole nient’affatto rassicuranti sono venute anche dallo sceicco Ahmed Abu Risha (fratello del fondatore del movimento del “Risveglio”, assassinato da al Qaeda), che guida un’altra lista tribale – dato che i vari leader non sono riusciti a mettersi d’accordo per farne una unica.

“Se vincerà l’Islamic Party sarà come il Darfur”, ha detto più di una volta.

Gli esponenti del partito sunnita (il cui leader è Tariq al Hashimi, uno dei due vice presidenti iracheni) non l’hanno presa bene, ovviamente, e oggi hanno accusato le formazioni tribali di incitazione alla violenza.

Da Baghdad, Omar Abdul-Sattar, un parlamentare dell’IIP, parlando con i giornalisti, ha definito la minaccia dei capi tribù “un insulto alla volontà degli elettori”, affermando che “queste dichiarazioni esprimono un metodo terroristico per raggiungere obiettivi politici".

"Suggerire l’uso delle armi per cambiare il conteggio e i risultati elettorali, ad Anbar e in altre province, è inaccettabile e da respingere totalmente", ha detto il deputato. "E’ barbaro e illegale: riporta la provincia al Medio Evo".

Quello che è certo è che le autorità di Baghdad sono preoccupate. Oggi il premier Nuri al Maliki, la cui coalizione
sembra essere in testa in quasi tutto il centro e il sud dell’Iraq (e si dice che potrebbe vincere anche nella capitale), ha mandato un suo inviato ad al Anbar per discutere delle tensioni in atto con i vertici dell’esercito e della polizia locali.  E mettere a punto i piani che dovessero rendere necessari per mantenere la calma.

Intanto, il conteggio delle schede continua. In attesa che arrivino i risultati – almeno quelli preliminari.

Ma nella provincia sunnita, i funzionari della Commissione elettorale ci vanno più che cauti, e di fughe di notizie (o meglio di cifre) – per il momento – non se ne parla.

“Non posso dare numeri, perché qualsiasi dichiarazione potrebbe uccidere degli innocenti ad al Anbar” ha detto il suo responsabile locale al Washington Post.