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I limiti del cospirazionismo

di Raffaele Ragni - 08/02/2009

 
Negli ambienti della cosiddetta destra radicale i termini mondialismo e globalizzazione sono usati spesso come sinonimi. Ciò ha portato ad assimilare molte argomentazioni critiche dal dibattito in corso, ma non ha eliminato il pregiudizio cospirazionista ereditato dall’ideologia neofascista.

Per molti militanti di estrema destra, la globalizzazione altro non è che l’epilogo di una cospirazione, ordita dalla massoneria mondiale e perseguita da una rete di organizzazioni ad essa collegate, per espropriare i popoli della loro ricchezza a vantaggio di un’oligarchia, composta prevalentemente da ebrei. Ai vertici di banche, multinazionali, governi, organismi internazionali, mass media, agirebbero individui legati da un vincolo di obbedienza alle direttive di un potere occulto che persegue strategie di dominio planetario.

La globalizzazione, concepita come quintessenza del capitalismo apolide, perde così autonomia concettuale non perché assurge a mito necessario a perpetuare l’accumulazione in sé e per sé - come viene sostenuto in certi ambienti della sinistra radicale - ma in quanto è degradata a mero strumento epocale, uno tra i tanti utilizzati o utilizzabili, per drenare risorse finanziarie verso centri d’interesse asserviti ad una progettualità perversa, di matrice giudaica e/o anticristica, che ha iniziato col destabilizzare l’ordine tradizionale e mira a dominare il mondo.

La prima teoria del complotto fu elaborata dal padre gesuita Augustin Barruel (1797) con riferimento al giacobinismo ed ha alimentato tutta une serie di studi sul ruolo della massoneria nella rivoluzione francese. Un cospirazionismo più tipicamente antigiudaico è nato solo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, cioè nell’era dell’imperialismo, traendo spunto da un documento di dubbia autenticità: i celebri Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Per la storiografia ufficiale sono un falso, prodotto dalla polizia zarista intorno al 1905 per giustificare i frequenti progrom antisemiti. Ma pare che alcune copie circolassero già in precedenza. Secondo il loro primo editore, il russo Sergej Nilus, erano stati redatti in buona parte dal Asher Ginzberg, sostenitore del sionismo culturale in contrapposizione al sionismo politico di Theodore Helz. Dopo una prima diffusione a cura delle società segreta Bne Mosheh, fondata dallo stesso Ginzberg nel 1889, sarebbero stati presentati al congresso sionista di Basilea del 1897.

Ad ogni modo i teorizzatori del complotto plutocratico hanno sempre aggirato il problema affermando, piuttosto che l’autenticità, la presunta veridicità del documento, in virtù del fatto che la Storia stessa sembra provare la fondatezza dei suoi contenuti. I Protocolli espongono il piano di un’organizzazione internazionale giudaica, presieduta da capi reali aventi chiara coscienza dei loro fini e dei mezzi adatti per realizzarli, che continua a sviluppare, fin dagli albori della cosiddetta modernità, un’azione unitaria invisibile a tutti i livelli della vita sociale. In primo luogo, acquisito il controllo dei mass media, i cospiratori occulti diffondono alcune teorie - come il liberalismo, l’egualitarismo, il cosmopolitismo, il darwinismo, la psicoanalisi - le quali, sebbene siano da loro stessi riconosciute come infondate, servono a distruggere la tradizione dei popoli e la forza interiore degli individui, giacché provocano indifferenza religiosa, relativismo etico, edonismo e sradicamento culturale. In secondo luogo, acquisito il controllo dei flussi finanziari, i capi mascherati cominciano a dirigere l’economia mondiale, avvalendosi dell’apporto, consapevole o inconsapevole, di un esercito di economisti. Infine, dopo aver fomentato crisi e conflitti, i dominatori invisibili si manifesteranno imponendosi come governanti di un’umanità bastarda, svilita, disperata, sfiduciata e quindi prona ad accettare, se non addirittura ad acclamare, il loro potere.

Da questo nucleo si sviluppano le principali versioni del complotto, con alcune divergenze circa l’identificazione dei cospiratori e l’estensione degli strumenti distruttivi. E’ opinione condivisa che i dominatori invisibili siano massoni ed ebrei, ma controverso è il rapporto tra le due categorie. Per alcuni autori, che considerano la massoneria un’invenzione o comunque uno strumento del giudaismo, la strategia mondialista ha finalità anticristiche. Altri studiosi non condividono questa tesi, o perché ritengono che l’ebraizzazione della massoneria sia soltanto parziale e comunque databile al XVIII secolo, o perché giungono a secolarizzare il ruolo dell’ebreo nella storia, configurandolo sempre come il male assoluto ma emancipandolo dalle forze sovrasensibili.

Lasciando da parte qualsiasi considerazione sulla presunta influenza del pensiero religioso giudaico sui valori cardine della modernità, gli unici elementi a sostegno delle tesi cospirazioniste sono l’origine ebraica o l’appartenenza alla massoneria di molti personaggi - politici, economisti, intellettuali, artisti - considerati propulsori di idee o avvenimenti. E’ un’interpretazione della storia indubbiamente efficace - giacché riduce la complessità degli eventi ad una causa comune, valida in diverse congiunture - ma è molto semplicistica e politicamente improduttiva, laddove non risulti addirittura dannosa. La sua debolezza risiede nel fatto che, sebbene possa apparire talvolta verosimile, non è fondata scientificamente, cioè non è dimostrabile con rigore analitico supportato da documenti e dati statistici sufficienti. La letteratura complottista finisce così con l’apparire come la versione noir della critica antiglobalista ed è percepita come un sorta di fantascienza o romanzo giallo che affianca, ma non scalfisce, la narrazione apologetica dei benefici della globalizzazione. Che un individuo appartenga a una determinata lobby, non significa che tutte le sue decisioni siano prese in obbedienza ad un comando che proviene da un unico potere occulto. L’individuazione di un nemico oggettivo, presumendo l’esistenza di qualcuno dietro le quinte, è un’operazione incerta nei suoi stessi presupposti. Infatti un’organizzazione veramente segreta - monolitica, verticistica, efficiente, come quella che da secoli guiderebbe un complotto mondiale - non lascia tracce o fa trapelare soltanto le notizie di sé che vuole divulgare. In realtà la global governance non è un regime a partito unico, ma un sistema di relazioni ed apparati, talvolta in armonia, talvolta in conflitto. E’ un meccanismo produttivo di profitti e significati, condivisi dai beneficiari ed imposti alla moltitudine. Ma la collusione di interessi, benché solida, non è duratura né priva di contraddizioni.

Ebrei e massoni sono il tradizionale bersaglio della letteratura cospirazionista. Alcuni ebrei sono indubbiamente ricchi e potenti, ma altri condividono la condizione di sfruttati con i proletari di altre nazioni. Nel loro insieme, ad una certa affinità fondata sulla religione, si contrappongono le divisioni tra le diverse confessioni, tra atei e credenti, tra sionisti e non. Anche a volerli considerare un’unica realtà, non sono certo la sola global tribe. Interessi comuni e divergenze sostanziali caratterizzano anche individui e mafie di altri popoli che hanno subito diaspore nel corso della storia: in particolare cinesi, indiani, italiani. Lo stesso dicasi per la massoneria, che non è un fenomeno unitario e, pure a volerla considerare un’unica realtà, è solo una tra le tante lobby che influenzano la politica e l’economia. Allo sviluppo del pensiero critico servono poco le ricerche storiche che approdano ad una condanna etica di persone ed apparati. Meglio giova acquisire e divulgare la conoscenza dei meccanismi che incidono sulla vita delle comunità politiche e determinano il corso degli eventi.

Credere nell’esistenza di un complotto, secondo i cospirazionisti, servirebbe da reattivo per il risveglio dei popoli. Non è necessario che il ruolo direttivo di certi apparati, in particolare giudei e massoni, sia avvalorato da documenti di provata autenticità o da evidenze statistiche. Basta indurre il sospetto che dietro i fatti e le loro apparenti ragioni, possono esistere cause vere, moventi occulti, personaggi ignoti. Ciò aprirebbe le menti al pensiero critico.

Naturalmente, laddove il cospirazionismo assume rilevanza politica identificandosi con posizioni di estrema destra, i detrattori di questa tesi tengono poco conto delle sue evoluzioni e continuano ad identificarlo con l’antisemitismo in generale. Invece di contestare l’infondatezza scientifica delle teorie del complotto, ritornano sulla questione della falsità dei Protocolli, lanciano accuse di paranoia, collegano la critica al giudaismo con le vicende dell’olocausto e giungono addirittura ad assimilare l’analisi del mondialismo al revisionismo storico.

Indubbiamente esiste anche un cospirazionismo di sinistra che, nel secondo dopoguerra, ha attribuito stragi e complotti antidemocratici ad una fantomatica internazionale nera formata da fascisti e massoneria deviata. Un’unica strategia, funzionale alla logica imperialista, avrebbe accomunato giovani violenti, burocrati di partiti reazionari, malavitosi di periferia, informatori della polizia, agenti della Cia, militari incappucciati, mercenari bombaroli, prodighi imprenditori, bancarottieri fuggiaschi e truffatori di varia estrazione. Tuttavia, malgrado l’immaginazione al potere abbia prodotto narrazioni antifasciste di grande efficacia suggestiva, la teoria della globalizzazione come congiura plutocratica è rimasta una prerogativa del pensiero politico di estrema destra.

Così la critica radicale, nei suoi contenuti cospirazionisti, è stata criminalizzata come tesi neonazista ed i suoi sostenitori sono finiti nel ghetto culturale degli antimondialisti cattivi. Dall’ultimo decennio del XX secolo gli apparati repressivi degli Stati nazionali, agendo in tal caso come enti locali della global governance, hanno predisposto una serie di leggi che associano le ipotesi sull’esistenza di poteri occulti con atteggiamenti razzisti, violenza negli stadi, tesi negazioniste sul tema dell’olocausto ebraico. Chiunque voglia indagare sull’origine e la composizione della rete, oltre alle difficoltà oggettive che tale ricerca comporta in virtù della segretezza delle fonti, oggi rischia la galera. Pertanto la fondatezza scientifica della teoria del complotto, oltre a non essere mai stata dimostrata dagli stessi cospirazionisti, appare oramai difficilmente dimostrabile.

A ben riflettere, la necessità di impostare una critica alla globalizzazione tralasciando finalmente l’idea di una perenne congiura, non può che giovare al pensiero critico. Se infatti esistessero davvero dei dominatori invisibili così forti ed invincibili come quelli descritti nei Protocolli, ai loro avversari non resterebbe che arrendersi. Nulla di più funzionale agli interessi dell’oligarchia mondialista.