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Le cose che accadono nella televisione

di Ettore Malacarne - 12/02/2009

 
 
   
 

Non è mia abitudine parlare delle cose che accadono nella televisione. Non è mia abitudine perché le scelte, fatte in tanti anni, hanno educato il mio gusto e la mia attenzione ad altri piaceri. Non si tratta di uno snobismo o di una presa di posizione, non mi è servito troppo ragionamento per rendermi conto che quell'apparecchio mi toglieva tante delle cose che la vita poteva offrirmi. Primo il tempo ma anche una grande quantità di riflessioni ed emozioni.
A molti sembreranno esagerate queste affermazioni, comprendo, ma il fatto non cambia.
La televisione è in quasi tutte le case e a pensarci è la principale fonte di stimoli i che i nostri cittadini hanno, per presenza e costanza. Quindi, per quanto possa sforzarmi di impegnarmi in altre faccende, finisce che con essa devo confrontarmi. Tutte le volte in cui mi capita di essere ospite, a casa di parenti o conoscenti, la cortesia, generalmente, basta ad impormi la sopportazione; ugualmente le visite si trasformano in sofferenza, se un televisore è acceso.
L'altra sera ho avuto la malaugurata sorte di essere in una casa dove la televisione era accesa e sintonizzata su di un canale che trasmetteva un programma agghiacciante. Non trovo un termine differente per definirlo.
La dignità umana umiliata, la sofferenza come spettacolo. Mi sono vergognato per quello che vedevo, mi sono spaventato nello scoprire il piacere ed il coinvolgimento sadomasochistico con cui le persone, presenti nella mia stessa stanza, partecipavano ai fatti che stavano accadendo.
Improvvisamente non mi sono più sentito in un comodo appartamento di provincia, con il profumo del pulito e disinfettato, con la luce accesa che faceva chiarezza sulle cose. Sulla normalità dei fiori in un vaso o del vino nei bicchieri. Mi sono trovato in un'era brutale.
Assistevo al ritorno della tortura come strumento ludico. Sono tornate, perfezionate, trasformate, tecniche come lo stilicidio, la lapidazione, la fustigazione.
La storia insegna che una civiltà che trova godimento nel dolore altrui è una civiltà destinata alla barbarie, alla follia e ad una spaventosa sofferenza. Il prezzo della sofferenza entrerà in tutti i rapporti, in tutte le azioni: i genitori diverranno sordi, gli amanti crudeli, i mediatori infidi.
La comprensione del dolore dell'altro è uno dei passaggi fondamentali dell'evoluzione della coscienza. Accade che i bambini considerino divertenti le reazioni di dolore o agonia degli animali ma c'è un momento in cui, tramite l'esperienza del proprio dolore, congiunta all'esperienza del bene ricevuto e voluto, il dolore dell'altro diviene intollerabile. Esiste un momento in cui anche i bambini smettono di infierire sugli animali, iniziando così il loro percorso che li condurrà dall'incoscienza all'umanità. Dall'egoismo ottuso alla collettività, fino alla fratellanza.
Davanti a quello spettacolo, a quei ragazzi chiusi in un luogo, come bestie in uno zoo, o criceti in un laboratorio sperimentale, io mi vergognavo e mi sentivo indegno. Sì, questo produceva in me quello spettacolo. Credendo di consolarmi gli amici mi dicevano che era normale, si trattava di un programma come tanti altri e mi citavano i nomi dei conduttori e delle trasmissioni. Io mi domandavo, la visone di quello spettacolo, quali altri effetti avrebbe potuto produrre in me domani: forse un senso di inadeguatezza, di privazione, di incapacità, forse il timore per la specie umana e le possibilità di un mondo diverso, nel quale avere fiducia e speranza. Di certo, il disgusto aumentava in me il bisogno di protezione, il qualunquismo , uno stimolo all'opportunismo. Accentuava la diffidenza e l'aggressività.
Dove sono finiti i tempi in cui si cantavano la delicatezza, la discrezione, la pietà, la giustizia verso i deboli, come un valore? Dove sono i figli che coprono le nudità del padre ubriaco?
Questi programmi annullano la sensibilità, come un sapore violento rendono invisibili tutti gli altri sapori. Allontanano dall'autocontrollo e dalla speculazione critica, livellando le cose con urla, offese, fischi da arena. Mentre una presentatrice, con la sensibilità recitata di una venditrice telefonica, ripeteva frasi tipo “Comprendo il tuo dolore, ma adesso dobbiamo andare avanti”. Subito pronta ad infliggere la nuova punizione, quantificando il dolore del ragazzo di turno in indici d'ascolto.
Io temo questa spettacolarizzazione della sofferenza. Questo è uno strumento di potere non lontano dal circo romano, dalle streghe al rogo della santa inquisizione.
Quale ragionamento potrà esorcizzare questa follia? Quale bellezza educarla? Pietà di me, pietà di noi. Pietà.