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Beneduce "il dittatore della finanza italiana"

di Angiolo Bandinelli - 18/02/2009

 

Uno dei temi topici dell`indagine storica sul ventennio fascista è, conce tutti sanno, la domanda su come sia stato possibile che tanta parte dell`intellighenzia italiana abbia aderito alla dittatura, spesso anche con entusiasmo. Ma forse la domanda dovrebbe essere rovesciata: per ché mai quei giovani, quegli intellettuali, non avrebbero dovuto aderire al richiamo di Benito Mussolini? Il fascismo sembrò raccogliere le istanze civili e culturali del paese nelle loro più sfavillanti manifestazioni, e a un certo momento riuscì a saldare insieme, calandoli in una interpretazione personalistica ma non priva di sapori socialisti, segmenti della società civile destinati altrimenti a scontrarsi: la spinta modernizzatrice dell`avanguardia futurista e razionalista di stampo europeo, l`ideologia del nazionalismo liberalconservatore e il complesso mondo cattolico. Non fu insomma un episodio di nicchia, ma una vicenda centrale della storia del Novecento. Comunque, se si può discutere o anche ironizzare sulle motivazioni ideali dello scrittore o dell`artista di turno, sarà difficile respingere ai margini dell`inaffidabilità almeno tre personalità che segnarono profondamente la storia del regime e del paese: Giovanni Gentile, Alfredo Rocco e Alberto Beneduce. Sono figure di statura internazionale, la cui opera assume l`aspetto di una indispensabile, originar partecipazione alla formazione del sistema fascista. Senza di loro il mussolinismo sarebbe stato cosa assai diversa. Su Gentile si sa mol- to: di Rocco ha scritto efficacemente, nel 1974, Paolo Ungari. Su Beneduce, invece, mancava uno studio esaustivo. Il vuoto viene oggi ottimamente riempito da Mimino Franzinelli e Marco Magnani con il recente "Beneduce, il finanziere di Mussolini". edito da Mondatori nella collana "Le Scie" (pagg. 329,20 euro). La figura di questo eccezionale protagonista della vita economica italiana ci viene riproposta, curiosamente, in un momento in cui, esauritasi la bolla della deregulation globalizzatrice, 4`tornano alla ribalta - scrivono i due autori - questioni antiche come le modalità di regolazione dei mercati (soprattutto finanziari), l`opportuno dosaggio di regole e discrezionalità nell`intervento pubblico, in termini ancor più generali le prerogative delle istituzioni per sospingere la crescita economica verso la stabilità finanziaria". Certo, il contesto civile e politico di oggi non è paragonabile a quello in cui operò Beneduce. Però Massimo Giannini, nella sua recensione, non può fare a meno di evocare la figura di Giulio Tremonti: se il senatore Giovanni Silvestri poteva definire Beneduce "il padrone di tutto", la stessa espressione può essere evocata per il Ministro Tremonti. Di più: "Come Alberto in quegli Anni Trenta, anche Giulio in questi Anni Duemila sta cercando di conquistare le ban- che". Noi non spingeremo oltre lo stuzzicante parallelo. Nato a Caserta nel 1877 da povera famiglia, Beneduce avrà una carriera "folgorante". Emigrato a Roma nel 1904 come funzionario nel settore statistico allora agli albori, entra nella cerchia di Ernesto Nathan e di Francesco Saverio Nitti, con cui collabora nella fondazione dell`Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Eletto deputato socialista (ma si iscriverà anche alla massoneria) assume nel 1919 la Presidenza del Consorzio per le opere pubbliche (Crediop). E` ministro del Lavoro nel governo Bonomi, ma si ritirerà dalla vita politica dopo il delitto Matteotti. Grazie alla mediazione di Bonaldo Stringher, Beneduce allaccerà una relazione diretta con Mussolini che durerà fin quasi alla fine del fascismo, di cui accettò la tessera soltanto nel 1939. Infaticabile negoziatore economico nei consessi internazionali, si trovò ad affrontare la crisi delle grandi banche miste (in particolare Comit e Credit) e infine, nel 1933, dava vita all`IRI, l`Istituto per la Ricostruzione Industriale, di cui assunse la presidenza. Fu questo, probabilmente, il suo capolavoro. L`IRI sarebbe stato uno dei motori della ripresa postbellica, e sarebbe crollato soltanto per la pessima gesti( : li "una classe politica più incline a sostituire l`interesse collettivo col proprio tornaconto". Se Mussolini fu un dittatore politico, Beneduce poté essere definito come il "dittatore della finanza italiana". Anche sulla lettura del lavoro di Franzinelli e Magnani, meriterebbe ben più di questi brevi cenni.