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Una lezione di sovranità nazionale dal Kirghizistan

di Lorenzo Salimbeni - 24/02/2009




Mentre il Governo Berlusconi si appresta a rinforzare dal punto di vista quantitativo e qualitativo la presenza militare italiana in Afghanistan, gli USA devono registrare una (ennesima) battuta d’arresto in questo così delicato scacchiere. Il Presidente del Kirghizistan, Kurmanbek Bakiyev, ha, infatti, disposto lo “sfratto” dalla base NATO di Manas, collocata a poca distanza dalla capitale Bishkek e presso la quale si trova personale proveniente da 11 Paesi membri dell’alleanza. Nelle trattative per il rinnovo dell’affitto gli USA si dicevano disposti a versare 150 milioni di dollari all’anno al piccolo paese centroasiatico, ben più corposi si sono dimostrati gli aiuti garantiti dal Presidente russo Dimitri Medvedev (si parla di cifre attorno ai 2 miliardi di dollari) e, sebbene Mosca abbia smentito tale linkage di natura economica, senza dubbio la sinergia con la Russia è più coerente con le prospettive geopolitiche dell’ex Repubblica sovietica.

D’altro canto il Presidente kirghizo ha tenuto, nell’ambito di una conferenza stampa, un discorso di sovranità nazionale che nella nostra penisola dalle 100 e passa installazioni militari, nessuno si sogna di fare: la decisione di chiudere la base, in effetti, sarebbe giunta dopo due anni di lungaggini giudiziarie collegate all’uccisione di un civile kirghizo ad un posto di blocco statunitense. L’anniversario della strage del Cermis (tanto per fare un esempio) è stato recentemente commemorato in sordina, laddove un piccolo Paese centroasiatico ha saputo rivendicare la propria dignità ed il rispetto della propria sovranità proprio a partire dalla tragedia che ha colpito un suo cittadino.

Essendo sempre più incerta la situazione in Pakistan ed essendo ormai imminente lo sgombero di Manas, è sempre più probabile che il Cremlino voglia presentarsi come l’unico canale attraverso il quale far fluire i rifornimenti per le truppe impegnate a Kabul e dintorni e quindi possa giocare questa carta nella partita diplomatica ingaggiata per allentare la maglia che gli statunitensi in prima persona o per tramite della NATO cercano di stringere attorno all’heartland d’Eurasia.

A tal proposito va, però, rilevato che la Georgia si conferma un devoto (ancorché maldestro) vassallo di Washington, con cui il 9 gennaio scorso ha firmato una Carta di partnership strategica. Si tratta di un progetto avvalorato dal Ministro della Difesa USA Robert Gates e dal capo del CentCom David Petraeus, elementi di preoccupante continuità fra le amministrazioni Bush jr. e Obama: fra l’altro si parla di una base navale a Poti sul Mar Nero e di una aerea in località Marnueli, nei pressi della capitale georgiana. Rimane comunque l’Asia centrale lo scacchiere su cui convergono gli interessi maggiori della superpotenza americana: Uzbekistan e Tagikistan potrebbero essere i nuovi interlocutori da coinvolgere per traslocare il personale e le strutture di Manas, come del resto già paventato nel dicembre scorso dal generale Nikolaj Makarov, capo di stato maggiore delle forze armate russe, durante un discorso all’Accademia di Scienze Militari moscovita.

In Uzbekistan è stata chiusa la base statunitense di Karshi-Khanabad (altrimenti nota come 2K) causa il raffreddarsi dei rapporti Tashkent-Washington conseguentemente alle pressioni americane per aprire un’inchiesta internazionale sulla repressione dell’opposizione da parte di Islam Karimov nel 2005, ma d’altro canto sono forti le spinte per una politica estera svincolata da Mosca ed i dollari fanno nuovamente gola. Ancor più disponibile a collaborare appare il Tagikistan: il Presidente Imomali Rahmon l’11 febbraio scorso a Bruxelles ha svolto colloqui con il Segretario Generale della Nato Jaap De Hoop Scheffer, al termine dei quali ha messo a disposizione dell’Alleanza atlantica il territorio del suo Paese, sia per farvi transitare rifornimenti diretti in Afghanistan, sia per dislocarvi una vera e propria base NATO. Giusto per completare il quadro, giova ricordare che già nel 2001 il Kazakistan mise a disposizione il suo spazio aereo per il transito dei bombardieri NATO e non sono da escludere significativi avvicinamenti fra Astana e Washington.

Il “grande gioco”, insomma, continua, tanto è vero che dalle colonne di un ambiguo quotidiano economico russo in un articolo intitolato “Alternativa alla geopolitica: il problema russo”, lo speculatore palindromo e sponsor di rivoluzioni colorate George Soros, prendendo spunto dalle problematiche energetiche, non ha usato mezzi termini per allarmare l’Europa riguardo “l’aggressione geopolitica della Russia”.