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La vera ragione della crisi finanziaria? Il signoraggio bancario

di Ilvio Pannullo - 02/03/2009

 
 
 


La vera causa prima dell’attuale crisi finanziaria ha un nome ben preciso. La bolla speculativa del mercato immobiliare, il crescente peso nel sistema finanziario degli intermediari non bancari (e dunque non regolamentati) e l’abuso di strumenti finanziari innovativi, tra cui i derivati di credito, sono tutti fattori che, pur rappresentando essi stessi il necessario dante causa dell’attuale crollo dei mercati internazionali, non rappresentano altro se non un’inevitabile conseguenza di un sistema marcio nelle sue stesse radici. La vera causa dell’attuale situazione economica ha un nome diverso: il signoraggio bancario. Noto già agli antichi romani - Nerone fu il primo a diminuire la quantità di argento presente nelle monete, lasciando inalterato il loro valore nominale - il termine signoraggio indica, per l’appunto, l’aggio del signore; il potere, cioè, spettante a colui che detiene la sovranità monetaria all’interno di una data comunità. Un potere che si esprime nella capacità di battere moneta. L’unica moneta avente valore legale all’interno della comunità stessa, l’unica moneta che dovrà essere accettata da chiunque per lo scambio di beni e servizi.


Un ottimo interrogativo per comprendere facilmente le radici del folle sistema di dominio al quale ci ostiniamo ad essere assoggettati, riguarda l’essenza del denaro e la sua utilità. Appare evidente a tutti, infatti, che il denaro in quanto tale -tanto la moneta cartacea circolante, la liquidità, o più propriamente i mezzi monetari, che rappresentano oggi circa l’8 % del denaro legale (euro, yen, dollari -banconote) emesso dalle banche centrali, quanto le promesse di pagamento bancarie (assegni circolari, lettere di credito, saldi attivi di conti correnti, etc.), che rappresentano il restante 92% della base monetaria mondiale - non rappresenta un fine, ma semplicemente un mezzo. Un mezzo che consente l’acquisto, da parte del portatore, per l’appunto di beni e servizi.

Capito questo, altrettanto facilmente si comprende che il valore del denaro si limita al suo costo di fabbricazione: la quantità, cioè, di lavoro e di capitale necessaria alla tipografia per stampare pezzi carta cui una legge dello Stato attribuisce un particolare valore nominale. Nulla, se non una banale convenzione, infatti, attribuisce al denaro il suo valore da quando, con la fine nel 1971 del “Gold Dollar Exchange Standard” , alla luce di una situazione che vedeva una massa di dollari circolanti otto volte superiore rispetto le riserve auree nazionali - a seguito delle enormi spese belliche sostenute per la guerra del Vietnam e del conseguente ampio deficit della bilancia dei pagamenti con l’estero - il governo Nixon annunciò che non avrebbe più convertito il dollaro in oro. La moneta americana e tutte quelle ad essa collegate diventarono da quel giorno in poi semplici pezzi di carta stampati.

Molti economisti e politici che, come la maggior parte della gente comune, credevano che il valore di una moneta dipendesse dalla sua copertura aurea o convertibilità in oro, si aspettavano che il corso del dollaro crollasse e che tutte le monete ad esso collegate perdessero credibilità. Ma ciò non avvenne. Il corso del dollaro e il potere d’acquisto delle altre monete non subirono mutamenti significativi. Questo sorprendente evento dimostrò al mondo intero che il valore della cartamoneta, delle divise, non è dato dalla copertura o convertibilità, ma dal fatto che esse vengono più o meno domandate e accettate come mezzi di pagamento.

In realtà, la copertura aurea fu sostituita con una copertura petrolifera. Nel senso che fu stretto un accordo tra la FED e il cartello dei principali produttori di petrolio (OPEC) in virtù del quale essi avrebbero venduto il petrolio solo in cambio di dollari USA. Ciò garantiva l’esistenza perpetua di una forte domanda di dollari USA garantendo, quindi, che il dollaro continuasse ad essere accettato come moneta negli scambi internazionali. Alla luce di quanto sopra, molti degli incomprensibili comportamenti della macchina militare americana trovano, magicamente, una risolutiva spiegazione.

Come riassume efficacemente l’avvocato giornalista Marco della Luna “gli USA da decenni comprano a costo zero mezzo mondo e pagano ovunque “proxy armies” (eserciti che combattono guerre su mandato degli americani ndr) semplicemente stampando un diluvio di pezzi di carta - i dollari - che oggi mantengono il loro valore esclusivamente perché gli USA impongono che il petrolio sia pagato solo in dollari. Lo impongono facendo o minacciando guerra ai paesi petroliferi che cercano di vendere il loro petrolio in cambio di euro o altre valute. Se non ci fosse questa domanda militarmente imposta di dollari USA, questa valuta crollerebbe”. Un esempio? L’Iraq di Saddam Hussein.

Ma veniamo al punto cruciale della questione. Se è vero che il denaro è solo un mezzo e che è privo di un intrinseco valore, a chi appartiene la sua proprietà se non al popolo sovrano, espressione di quegli organi istituzionali che legittimamente attribuiscono valore alla moneta attraverso una legge? E se il denaro è di proprietà del popolo, perché questo, attraverso lo Stato, s’indebita con le banche centrali per ottenerlo? Non vi sarebbe, infatti, nessuno scandalo se gli istituti di emissione monetaria fossero società pubbliche dipendenti in tutto e per tutto dal potere politico, come avviene attualmente nella Repubblica Popolare Cinese, dove la banca centrale - così come purtroppo tutto il resto - è sotto ordinata rispetto al Comitato Centrale del Popolo. In occidente, tanto in Europa con la BCE quanto in America con la FED, le cose, invece, vanno diversamente.

La Banca d’Italia, così come tutte le altre Banche Centrali di emissione rientranti nel Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) è, infatti (ex articolo 1 comma 1° dello Statuto della Banca d’Italia – Titolo I: Costituzione e capitale della Banca d’Italia) un istituto di diritto pubblico che assume la forma di società per azioni. Una società, cioè, di proprietà di privati che esercita una funzione di diritto pubblico; la funzione che più di tutte esprime realmente il concetto di sovranità nazionale.

Come se non bastasse, recentemente, con il D.P.R. del 12/12/2006, l’articolo 3 dello stesso statuto è stato modificato, stralciando dal testo la parte in cui si disponeva che “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”.

Il risultato è che società private controllano e determinano le dinamiche della moneta impadronendosi illegittimamente di quello che la stessa BCE definisce “reddito da signoraggio bancario” (http://www.ecb.int/press/pr/date/2001/html/pr011206_1.it.html). Infatti, più carta-moneta viene stampata maggiore sarà la perdita di potere d’acquisto della moneta esistente. Il processo prende il nome di inflazione. I pochi a decidere sull’emissione della moneta avranno, dunque, il vantaggio di poter comprare, stampando carta priva di qualsiasi valore, tutto quanto riterranno opportuno.

A pagare il costo di questo sistema saranno tutti gli altri cittadini, pubblici dipendenti ed imprenditori, liberi professionisti e precari, costretti ad osservare imponenti la perdita di potere d’acquisto dei (pochi) soldi in loro possesso. Il resto è storia di oggi: più potere si ha più velocemente lo si può ulteriormente accentrare. Magari attraverso una crisi finanziaria che permetta l’acquisto di colossi del settore bancario con pochi spiccioli.