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L'Iran e l'ombrello russo

di Sonia Karpova e Simone Santini - 03/03/2009





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Sono giunti segnali contrastanti negli ultimi mesi e settimane sui rapporti tra Occidente ed Iran. Dalle caute aperture di Barack Obama tendenti alla normalizzazione dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti, si è passati all'allarme lanciato, per la prima volta, dall'Onu attraverso l'Agenzia atomica secondo cui l'Iran sarebbe arrivato ad arricchire uranio sufficiente per dotarsi di un ordigno nucleare, posizione ripresa dal comandante delle Forze armate statunitensi, ammiraglio
Mike Mullen, che rispondendo ad una domanda della CNN sulla bomba iraniana ha dichiarato: "Francamente, credo che ce l'abbiano".




Ma l'esternazione dell'ammiraglio Mullen è stata prontamente contrastata dal ministro della Difesa Robert Gates, secondo cui l'Iran non sarebbe affatto in possesso dell'atomica, non ancora almeno. Lo scambio ha evidenziato in maniera esemplare la spaccatura esistente nell'Amministrazione americana sul caso Iran.
Da un lato la componente filo-sionista che ha la sua direzione nel Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton e che sembra intenzionata a proseguire, almeno sullo scenario mediorientale, la politica aggressiva dei neo-con; dall'altra un'alleanza fra la vecchia guardia repubblicana, di cui Robert Gates è espressione, un folto gruppo di cosiddetti "generali ribelli" coagulati attorno alla figura del generale Brent Scowcroft che vedono con allarme l'avventura di allargare il conflitto all'Iran, e alcuni grandi geostrateghi del campo democratico, come Zbigniew Brzezinski, interessanti a confrontarsi direttamente con la rinascente forza della Russia, in una sorta di riedizione della guerra fredda, nel cui quadro l'Iran può essere visto piuttosto come un possibile alleato che un nemico.
Non è un caso che negli ultimi due anni dell'Amministrazione Bush, il calo di attenzione verso l'Iran, culminato con un rapporto ufficiale dei servizi di sicurezza decisamente rassicurante sui piani nucleari degli Ayatollah, e il gelo nei rapporti con la Russia determinato dal piano americano di scudo anti-missile in Europa orientale, sia coinciso proprio con l'avvento di Robert Gates al Pentagono in sostituzione di Donald Rumsfeld.
In questo contesto può risultare decisivo l'atteggiamento di Israele. È chiaro che per Tel Aviv è Teheran il nemico strategico, e fu proprio Ariel Sharon a dichiararlo apertamente già nel 2002 quando si parlava di un imminente attacco americano all'Iraq: va bene andare a Baghdad ma subito dopo l'obiettivo dovrà essere l'Iran.
E l'intera riconfigurazione di Medio Oriente e Asia centrale partita dall' 11 settembre può essere per l'appunto vista come una operazione di larghissimo respiro che, dopo la "balcanizzazione" di Afghanistan e Iraq, perfettamente riuscite, vedeva il suo approdo finale in un approccio aggressivo contro l'Iran.
Ora Israele, vedendo uno stato di impasse ed indecisione nel gendarme americano, potrebbe essere tentato di forzare la mano all'ala meno favorevole alle proprie politiche in seno all'Amministrazione Obama, con un colpo di mano unilaterale contro gli iraniani.
Dopo le elezioni in Israele si profila l'alternativa tra due governi: uno di unità nazionale a guida Netanyahu, e l'altro addirittura di ultra-destra con all'interno i nazionalisti radicali e i partiti religiosi fondamentalisti ebraici; in entrambi i casi (e in maniera esplosiva nella seconda ipotesi) significherebbe un radicalizzarsi dei già tesissimi rapporti tra Tel Aviv e Teheran.
Sullo scacchiere diplomatico la risposta iraniana sembra indirizzarsi ad un avvicinamento verso la Russia, quasi a voler sfruttare la congiuntura geopolitica per porsi sotto l'ombrello di Mosca, rimescolando così le carte nel campo nemico ed alzando la posta di un eventuale scontro.
Teheran ha infatti annunciato di aver stipulato un accordo con Rosatom, l'industria nazionale russa per l'energia atomica, in base al quale Mosca fornirà, per almeno i prossimi dieci anni, il combustibile nucleare per le centrali iraniane. Serghei Kirienko, direttore generale di Rosatom, parteciperà all'inaugurazione della centrale di Busher, la prima centrale atomica iraniana, che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe cominciare a produrre energia entro la fine dell'anno.
La costruzione del reattore di Busher ha avuto una storia travagliatissima: iniziata nel lontano 1975 dalla Germania, si interruppe con la rivoluzione khomeinista e l'embargo decretato dagli Stati Uniti. Nel 1995 i russi si offrirono (in realtà dietro compenso miliardario) di portare a termine l'opera. Ora, secondo Kirienko, dopo vari problemi tecnici, i lavori sono giunti al 95% e l'impianto sarebbe pronto per il lancio di prova.
Ancora più importante la notizia secondo cui il ministro degli esteri iraniano Mottaki avrebbe inoltrato la candidatura per l'ingresso del suo paese alla Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO) che verrà discussa nella prossima riunione di giugno ad Ekaterimburg, in Russia.
Finora l'Iran era stato invitato solo come osservatore ai lavori della SCO, una organizzazione asiatica che raggruppa Russia, Cina, ed alcuni paesi centro-asiatici tra cui Kazakistan ed Uzbekistan, e che mira ad una più intensa cooperazione economica e militare tra i partecipanti. L'ingresso a pieno titolo dell'Iran (mentre altre potenze regionali come India e Pakistan restano con lo status di osservatori) significherebbe la creazione di un blocco asiatico significativo per il supporto militare (tra Russia e Cina si sono già avute, nel recente passato, imponenti esercitazioni comuni) ma soprattutto di straordinaria importanza nel contesto economico attuale, soprattutto per il mercato energetico. La SCO vedrebbe insieme, infatti, sia i più importanti detentori di riserve di gas e petrolio a livello mondiale (Russia, Iran, Kazakistan) sia la Cina, destinata a diventare il più importante cliente energetico. Non sfugge che la SCO avrebbe con l'Iran il proprio baricentro sul bacino del Mar Caspio, considerato il nuovo eldorado energetico che potrebbe rivaleggiare, ed anzi soppiantare, il tradizionale fulcro mediorientale arabico.
Del resto nemmeno i rapporti tra Russia e Iran sono mai stati lineari, anzi piuttosto segnati da diffidenza pur nella reciproca attenzione. Storicamente l'area persiana è stata usata dall'imperialismo anglosassone per contenere e intaccare da sud il potere russo. In epoca recente è stato un alternarsi di tentazioni di partnership quanto di misurarsi come concorrenti, in entrambi i casi nell'ambito energetico essendo i due paesi i maggiori detentori di riserve di gas al mondo.
Non a caso la Russia, pur con atteggiamento guardingo e bilanciato, ha in questi anni sempre finito per votare, in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, le risoluzioni tendenti a imporre sanzioni all'Iran. E più volte ha proposto agli iraniani di trasferire il loro programma nucleare in territorio russo, così da farsene garante di fronte alla comunità internazionale, e al tempo stesso ottenendo il grande vantaggio strategico di avere la mano sulla chiave di accesso all'atomo da parte di Teheran, che da parte sua ha sempre rifiutato l'offerta.
Pertanto non necessariamente la Russia potrebbe vedere con ostilità un ridimensionamento del vicino Iran, ma al contempo teme che un suo smembramento politico o addirittura territoriale potrebbe fare da vettore a forze interessate a destabilizzare le Repubbliche centro-asiatiche che già fecero parte dell'Unione sovietica.
La situazione rimane dunque perfettamente fluida con tantissime variabili in gioco. Non da ultima la crisi economica globale che potrebbe avere un ruolo decisivo per la partita che può decidere il prossimo futuro del pianeta: pace o guerra in Medio Oriente?