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Signoraggio e decrescita

di Alessio Mannino - 04/03/2009

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Fare opera di denuncia e mobilitare gli animi, oltre che un imperativo morale per chi, come il sottoscritto, ha la presunzione di fare informazione, è necessario. Prepara il terreno alla lotta politica. Il nemico, perchè questo è, ha un volto definito e tuttavia inafferrabile: quello di un sistema di vita intrinsecamente ingiusto, marcio fino all'osso, molto in avanti nel trasformare gli uomini in zombie. E' il modello di vita imperniato tutto, da cima a fondo, sull'economia. Sul profitto che insegue sè stesso. Sulla crescita illimitata e folle di produzione e consumo. Sulla carta maledetta: il denaro. Premesso ciò, l'Appello contro la Dittatura Bancaria di Movimento Zero calibra il mirino su uno dei fronti di battaglia più importanti. Non entro mel merito tecnico: il suo contenuto è già abbastanza chiaro, e con questo mio articolo il blog inaugura un dibattito aperto che sotto questo profilo vedrà Marco Francesco De Marco far la parte del leone, per cui mi rimetto a lui. Ma ciò di cui parla il terremontante scritto con primo firmatario Massimo Fini è l'espropriazione di sovranità, di diritti, di potere da parte delle centrali bancarie a danno di coloro che teoricamente dovebbero esserne gli unici titolari: i cittadini. A livelli di analisi e d'azione, gettare luce su questo vulnus secretato e tremendo può costituire la chiave di volta per comprendere in quale pozzo di abiezione viviamo tutti senza accorgercene. Una denuncia di questa portata, con cui chiamare a raccolta le persone di buone volontà, è uno dei grimaldelli grazie ai quali aprire gli occhi alle vittime della rata. Che sono tali perchè vittime pasciute e consenzienti, ma sempre più scontente e nervose, di quel modello esistenziale che è alla radice di tutti i nostri mali presenti.

In guerra, i fronti possono essere più d'uno. In questa guerra uno è certamente il signoraggio, lo strapotere della finanza cannibale. Ne sono così convinto che per me non farne un problema fondamentale diventa un'omissione letale, come lasciar scoperto un fianco della battaglia esponendosi così al rischio di combattere per niente, condannandosi alla sconfitta. Ciò non toglie che non sia l'unico su cui battere. Nè tanto meno significa perdere di vita lo scopo finale: liberarsi dalla dittatura dell'economico. Per questo penso, e lo penso fortemente, che il signoraggio non possa essere disgiunto dalla decrescita. Sono due fratelli che si tendono la mano: il primo individua la struttura oppressiva che si cela dietro il paravento della "democrazia rappresentativa", la seconda indica l'alternativa. Un'alternativa globale, che va al di là del ristretto ambito da sobrietà francescana con cui purtroppo gli stessi suoi fautori a volte la spacciano. Fatta di rimodulazione dei bisogni, di localismo, di democrazia diretta. In una parola: di ritorno dello spazio economico e politico alle dimensioni più prossime, in cui lo sviluppo è di nuovo piegato al qui e ora. Non agli obbiettivi folli delle crescite esponenziali. La nuova politica deve mirare a questo, o puntare il dito contro la banca matrigna non sarà servito a niente.
Ora, se questo comporta tornare alla dittatura del politico, ben venga. La Politica è - dovrebbe essere - gestione della cosa pubblica sulla base di Ideali scevri dai calcoli di bottega, partitica o lobbistica che sia. L'interesse che si sposa con l'idea, dalla quale viene nobilitato e trasfigurato per un interesse superiore: il Bene collettivo. Chi scrive, avendo un certo credo (Dignità, Libertà, Giustizia), non pensa tale Bene contrapposto a un Male assoluto. Ogni sistema è arbitrario di per sè. Ma un conto è un regime fondato sull'inganno del "migliore dei mondi possibili", impastato di psicotico attaccamento ai quattrini e al malloppo (di qui, se permettete, anche quella vigliaccata di evadere le tasse: il fisco di uno Stato carogna non si svicola come un ladro qualsiasi; si cambia lo Stato). Ben altro conto sarebbe uno Stato che, come avveniva in tutti gli Stati e a tutte le latitudini prima del cataclisma moderno, trova la sua legittimità su ragioni prettamente umane. Su aspirazioni, su passioni, su fini ultimi sbagliati finchè si vuole, ma umani. Non al servizio della macchina produttiva e dei listini di Borsa.
Non si fa una frittata senza rompere qualche uovo. Ogni cambiamento, specie se profondo e radicale come noi auspichiamo, porta con sè rivolgimenti e scontri. Anche violenza. Ma violenza era anche quella degli eroici valsusini che nel 2005 bloccarono col proprio corpo le ruspe della Tav, facendo muro contro i manganelli della polizia. Violenza è opporsi fisicamente. Pacificamente, ma mettendoci la faccia e, letteralmente, il peso di tutti sè stessi. Io sono per una violenza pacifica. Ossimoro che spero renda l'idea dell'urgenza di tornare in strada, in piazza, davanti ai palazzi del potere, e far valere la propria sovranità calpestata.
Dobbiamo invertire la logica barbara e alienante per cui la politica si fa solo imbucando un foglietto nell'urna ogni tot anni. Perchè è figlia della sporca logica usa e getta del capitalismo, che ci fa sembrare ogni cosa una merce da consumare. L'Appello è una delle iniziative che ambiscono a disperdere la nebbia mentale che non fa vedere altro che passività e impotenza. Non ci illudiamo che firmare per esso metta in modo la rivoluzione. Ma neppure ci autocastriamo nell'attendere di sapere come governare una montante sensibilità di rigetto per i padroni del vapore.
La vita è una sola.