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Libano: un tribunale internazionale e molte polemiche

di Dagoberto Husayn Bellucci* - 08/03/2009

 



L'apertura all'Aja il primo marzo scorso del Tribunale speciale per il Libano (TSL) ha riportato al centro del dibattito politico nazionale libanese l'attentato in cui perse la vita l'ex premier Rafiq Hariri assieme a 22 uomini della sua scorta. Una strage quella del San Valentino di quattro anni or sono che diede inizio alla destabilizzazione politica del paese dei cedri, seguita da una serie di attentati al plastico che terrorizzarono la capitale Beirut e dalla discesa in piazza dei gruppi anti-siriani raccolti attorno al movimento Future della famiglia Hariri in quella che prese il nome di "primavera" di Beirut un movimento eterodiretto dall'Amministrazione Bush e dai suoi sostenitori nel Vicino Oriente.

Il Tribunale dovrà innanzitutto formalizzare quelle che, al momento, sono soltanto incriminazioni per i sospettati dell'attentato – quattro generali della sicurezza ritenuti vicini alla Siria e responsabili del complotto che avrebbe portato alla morte dell'ex premier sunnita - e avrà tempo sessanta giorni per chiederne il trasferimento in Olanda. I quattro accusati sono l'ex capo della guardia presidenziale Mustafa Hamdan, l'ex direttore dei servizi di sicurezza Jamil Sayyed, l'ex capo della sicurezza interna Alì Haji e l'ex direttore della sicurezza militare Raymond Azar. I militari - secondo l'accusa - sarebbero stati i principali pilastri del vecchio sistema di sicurezza instaurato dalla Siria a Beirut.

Dopo quattro anni di carcere le prove fornite dalla commissione internazionale d'inchiesta risultano indiziarie anche perchè il loro arresto si basa esclusivamente sulle confessioni di un testimone risultato poco affidabile. Altri tre dei sette arrestati nel 2005 (i fratelli libanesi Mahmoud e Ahmad Abd al Aal e il siriano Ibrahim Jahriur) sono stati intanto liberati su cauzione dalle autorità di Beirut dopo quattro anni di "custodia cautelare".

I lavori del TSL dureranno cinque anni e questo già la dice lunga sul ruolo destabilizzante che quest'organismo voluto dalla comunità internazionale potrà giocare sulla scena politica libanese e - come ha affermato il cancelliere del TLS , il britannico Robin Vincent, "Tribunale non significa ancora processo" perchè l'inchiesta su quel crimine andrà avanti e i lavori di apertura del tribunale non potranno avere inizio prima di due o tre anni. Tra il primo ottobre del 2004 e il gennaio del 2007 il Libano è stato protagonista di undici omicidi politici, cinque tentati omicidi e una trentina di attentati esplosivi che hanno causato la morte di 96 persone , la maggior parte civili innocenti, e il ferimento di altre 678. La Siria, accusata fin dall'inizio di essere il principale mandante delle azioni terroristiche nel vicino paese dei cedri, si è sempre detta tranquilla e pronta a cooperare con qualsiasi istituzione internazionale che non pregiudicasse i rapporti di vicinato con il Libano e soprattutto non prevaricasse alle sue funzioni di accertamento della verità.

A Damasco i dirigenti siriani, a cominciare dal Presidente Bashar el Assad, si sono sempre espressi per un ritorno alla normalità nel vicino Libano accusando ambienti vicini all'amministrazione Bush e ai gruppi della galassia jihaidista internazionale di essere i promotori di questa strategia della tensione che ha paralizzato per anni la vita politica libanese portando ad una situazione di stallo pericolosa e alla contrapposizione tra la maggioranza filo-occidentale che ha fatto quadrato attorno al premier Fouad Siniora e l'opposizione nazionale - "filo-siriana" - guidata dal movimento sciita di Hizb'Allah.

La stessa Opposizione Nazionale ha sempre guardato con sospetto all'instaurazione di questo Tribunale Speciale soprattutto perchè potrebbe interferire pesantemente e condizionare la vita politica nazionale. L'inchiesta sull'assassinio Hariri e gli uomini della sua scorta secondo i partiti dell'Opposizione è stata condotta contro la sovranità nazionale libanese ed è un atto politico che mina le basi costituzionali e legislative del paese dei cedri. Il premier Fouad Siniora ha espresso invece la sua soddisfazione, e quella dei partiti del cosiddetto "fronte del 14 marzo" (i sunniti di Future, i maroniti della Falange e delle Forze Libanesi e i drusi di Jumblatt), per la "storica" decisione di istituire un Tribunale Internazionale sui crimini libanesi. Secondo Siniora "il tempo dell'impunità in Libano è finito. - ha sostenuto all'agenzia stampa tedesca Dpa - Il Tribunale non solo scoprirà i responsabili dell'assassinio ma instaurerà una nuova epoca di giustizia. Posso dire - ha aggiunto Siniora - che malgrado il dolore per la perdita del defunto premier, provo ora un enorme gioia nel lancio del Tribunale" assicurando che il suo esecutivo collaborerà a qualsiasi richiesta di trasferimento di sospettati nell'interesse del suo paese.

Il procuratore canadese signora Daniel Bellamare giura che non sarà emesso alcun verdetto in senso politico ma le garanzie al riguardo sono minime anche per la politicizzazione in senso anti-siriano che è stata data all'intera commissione d'indagine che non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti di Damasco verso cui , fin dall'inizio e sull'onda emotiva del crimine scatenata dai partiti filo-occidentali immediatamente dopo l'attentato del 14 febbraio 2005, si sono concentrati i sospetti ed i filoni d'inchiesta. Anche , soprattutto, questa unilateralità dell'inchiesta ha sempre lasciato molti osservatori politici a bocca aperta.

I sospetti infatti che gli autori della strage di San Valentino potessero essere elementi del Mossad israeliano infatti non mancano e , come è stato osservato spesso, se realmente vi fosse lo zampino dei servizi di sicurezza israeliani sicuramente la verità non sarebbe mai accertata considerando che l'entità sionista ha sempre operato nell'ombra per destabilizzare i vicini Stati arabi e che - anche in presenza di fatti accertati - nessuna commissione d'inchiesta internazionale affronterebbe uno scontro con uno stato criminale che del terrorismo e della violenza sistematica ha fatto il perno centrale della sua politica interna ed estera.

Se "Israele" fosse dietro alla strage in cui perse la vita Hariri e i suoi agenti di scorta la verità non salterebbe mai fuori ma, fatto storicamente accertato, fu proprio quell'attentato che diede il via alla stagione delle bombe e alla destabilizzazione generale del paese dei cedri dividendo la popolazione libanese in due fronti contrapposti e scatenando una ridda di ipotesi sulle quali non è mai stato appurato niente. La verità da queste parti è sempre dura a saltar fuori proprio per le interferenze esterne. Il Libano , un paese sostanzialmente a sovranità limitata e preda delle strategie di destabilizzazione atlantico-sioniste, ha sempre vissuto dalla fine del conflitto civile in una situazione di sistematica illegalità dove hanno prosperato influenti lobbie's finanziarie legate all'Occidente, gruppi di pressione familiari espressione di quel divide et impera che contrassegna la storia libanese e la tradizione politica che assegna un ruolo rilevante all'identità confessionale ed etnica di questo multiconfessionale e multietnico paese mediterraneo.

Sospetti, ipotesi, speranze di un ritorno alla normalità per un paese che - dopo l'aggressione sionista dell'estate 2006 e il lungo braccio di ferro tra maggioranza ed opposizione durato un'anno e mezzo - sta cercando di risorgere anche economicamente e si prepara alle prossime elezioni , fissate a giugno, con la solita incertezza sul futuro che oramai rappresenta una costante per i quattro milioni di libanesi abituati a sopravvivere alle intemperie regionali.



* Dir. Resp. Agenzia Stampa "Islam Italia"