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Gaza e il Ministero Occidentale della Verità

di Costanzo Preve - Luigi Tedeschi - 30/03/2009

         

 

1.La tragedia di Gaza, a seguito dell’invasione israeliana, ha potuto verificarsi a causa della abissale sproporzione di forze militari, economiche  e politiche esistente tra Israele e i palestinesi di Hamas. Questi ultimi, assediati, affamati, scarsamente armati, vivono in uno status di isolamento e criminalizzazione internazionale. La debolezza politica e militare di Hamas è dunque da imputarsi al suo isolamento nel contesto internazionale, con particolare riferimento al mondo arabo. Ed è proprio la mancanza di peso politico (o il tradimento della causa palestinese?), degli stati arabi la causa della selvaggia aggressione israeliana perpetrata con tutte le possibili violazioni del diritto internazionale. Il mondo arabo – musulmano trovò in passato un suo momento di unità proprio nella difesa della causa palestinese, mentre oggi sembra dominato da interessi sia strategici che economici che, seppur con qualche eccezione (Siria e Iran), lo coinvolgono nella sfera geopolitica ed economica dell’Occidente. La causa araba e quella palestinese si identificarono in quel moto indipendentista che liberò la nazione araba dal colonialismo europeo. Il nazionalismo arabo ebbe come modello i regimi laici, nazionalisti, socialisti di stampo nasseriano, con l’Egitto come stato guida. La fine di tale modello portò, a causa delle profonde divisioni nel mondo arabo, alla fine della stessa causa araba. Successivamente, fu l’Islam a rappresentare il fattore identitario di tutti i popoli arabi e non. Ma lo stesso Islam si rivelò un fattore religioso – identitario generatore di ulteriori insanabili divisioni politiche tra gli stessi popoli islamici. Lo stesso fondamentalismo ha spesso strumentalizzato, più che sostenuto la causa palestinese. Anzi, il fondamentalismo islamico appare assai poco conciliabile con le aspirazioni palestinesi all’indipendenza, data la natura composita, sia dal punto di vista etnico, che religioso del popolo palestinese.

Chi conosce l’opera di George Orwell ricorderà il famoso Ministero della Verità, il cui compito è l’imposizione della sola versione consentita di un qualsivoglia problema di carattere pubblico, culturale e sociale. Le società capitalistiche normali, a differenza dei modelli nazionalsocialisti (Hitler) o comunistico-dispotici (Stalin) non hanno in genere bisogno di uno specifico ministero della verità, perché bastano ed avanzano i meccanismi sofisticati di filtraggio, demonizzazione e diffusione capillare dei modelli politico-culturali adatti alla riproduzione sociale complessiva, che nel capitalismo contemporaneo è oligarchica, o più esattamente oligarchico-finanziaria-transnazionale. È proprio il meccanismo del mercato di beni e di servizi, al di fuori di qualsiasi pianificazione pubblica di tipo dispotico e statalistico, che produce un mercato oligopolistico delle opinioni e delle concezioni del mondo. Per questa ragione il Ministero della Verità è sostituito dal Mercato Oligopolistico delle concezioni del mondo “consigliate” dall’oligarchia, che gli intellettuali universitari in genere coerentizzano, abbelliscono e sistematizzano, trasformandole in “risorse” ornamentali per arrampicatori sociali e (uso il termine e la grafia dell’umorista Stefano Benni) Persone di una Certa Kual Kultura.
C’è però una eccezione rilevante, e pressoché unica, sulla questione ebraica e sionista. In questo caso, e solo in questo caso, si esercita la dittatura pubblica del Ministero orwelliano della Verità, che impone la sola verità consentita, pena l’emarginazione e la condanna per i reprobi malati di peste ai margini della società. Nella mia terza risposta analizzerò gli aspetti culturali della Religione Olocaustica e del Tabù Negazionista, e soprattutto la fondamentale funzione politico-sociale di questi due dati culturali e teologici. In questa mia prima risposta invece, toccherò gli aspetti più propriamente storico-politici di questa questione.
Nonostante le messe in guardia del Ministero della Verità, i dati storici ed ideologici ci dicono che il popolo ebraico ha avuto una etnogenesi storica del tutto distinta da qualsiasi continuità etnica palestinese (cfr. Shlomo Sand, Comment le peuple juif fut inventé, Fayard, Paris 2008), e che tutte le pretese alla proprietà esclusiva della Palestina sono soltanto indegne porcherie razziste prive di fondamento. Il carattere apertamente colonialistico-razzistico del primo sionismo (Herzl, eccetera) non può essere seriamente negato alla luce dei documenti storici. La stessa equazione ebraismo-sionismo è una sporca menzogna, perché il sionismo è una ideologia politico-territoriale che un ebreo può condividere oppure no, e ci sono stati famosi ebrei che non l’hanno condivisa, o l’hanno condivisa in forma tiepida e piena di riserve. Per fare un solo esempio, il noto Primo Levi, autore di Se questo è un Uomo, monumento immortale della testimonianza delle sofferenze del popolo ebraico nei campi di sterminio (si, di sterminio, e non solo di lavoro), definì “protervia sanguinosa” (cfr. “La Stampa”, 14 – 9 – 1982) i comportamenti di Begin in Libano (immensamente meno protervi e sanguinosi di quelli attuati a Gaza dalle belve sioniste), e lo stesso Levi nel 1985, avendo sostenuto in una conferenza pubblica a New York che Israele era stato un “errore in termini storici” (sic!) fu interrotto, silenziato e costretto a terminare la conferenza dalla plebaglia urlante di un pubblico di soli ebrei fanatizzati.
Ho usato volutamente termini forti ed insultanti. E li ho usati perché non riconosco nella mia coscienza l’autorità di nessun Ministero della Verità e mi prendo l’inalienabile diritto di distinguere fra popolo ebraico, religione ebraica, sionismo politico, comportamenti razzisti e colonialisti dei governi israeliani, diritti inalienabili del popolo palestinese, vergognosa subalternità europea, eccetera. So bene che mentre è possibile separare il popolo italiano dal fascismo, il popolo tedesco dal nazionalsocialismo, il popolo russo dallo stalinismo, il popolo americano dal bushismo assassino, eccetera, chiunque separi concettualmente l’ebraismo dal sionismo viene subito accusato di antisemitismo. È un’accusa sporca e menzognera, ma nelle attuali condizioni storiche è impossibile sottrarvisi. Quando grandina, e non c’è un riparo, bisogna mettersi il cappuccio per evitare i danni al cuoio capelluto.
Ma torniamo al nostro problema, e per farla corta torniamo subito ai fatti di Gaza del dicembre 2008 – gennaio 2009. Il Ministero della Verità sostiene in proposito che si trattò di una risposta legittima alle violazioni unilaterali della tregua fatte da Hamas (vincitore delle precedenti elezioni democratiche in Palestina dopo che l’intero occidente asservito aveva sostenuto per decenni che ci volevano elezioni democratiche in Palestina – ma evidentemente per l’occidente asservito la democrazia è diventata un codice ideologico di accesso politicamente corretto e non più un principio di legittimazione elettorale-maggioritario). Si tratta di una sporca menzogna. Israele aveva sempre sistematicamente violato la tregua non solo chiudendo i cosiddetti “valichi” e condannando gli abitanti di Gaza alla fame e alla miseria, ma aveva sempre proseguito le cosiddette “uccisioni mirate”. Questo mi ricorda Hitler, che attacca la Polonia il primo settembre 1939 sostenendo di attuare una semplice risposta ad un precedente attacco militare polacco.
Ma torniamo alla natura delle modalità dell’attacco a Gaza, modalità che non solo configurano un insieme di crimini di guerra (fosforo bianco, armi nuove di distruzione capillare dei corpi, eccetera), ma che erano esplicitamente rivolte contro la popolazione civile (donne, bambini, vecchi, eccetera). Per capire la natura di questa scelta omicida e criminale bisogna che ci si impadronisca concettualmente di due pilastri ideologici della strategia sionista, rispettivamente il “far capire che hanno perduto” ed il “dar loro una lezione perché capiscano che hanno perduto e finalmente lo ammettano”. Il Ministero Occidentale della Verità, ha come scopo la non-comprensione di questi due dati strategici. Chiunque parli con un israeliano medio in Israele o all’estero, o con un sionista medio all’estero sa perfettamente che quello che vi dico è vero, ed è ancora al di sotto della verità, anche se l’ipocrisia del Ministero della Verità deve cercare di confondere le acque con la simulazione della triade sionista-buonista-progressista Yehoshua-Oz-Grossman.
Ma torniamo a Gaza. Secondo calcoli recenti, nei venti giorni di bombardamenti punitivi ci sono stati 1330 morti, di cui 437 bambini sotto i sedici anni, e 5890 feriti, di cui 1890 bambini sotto i sedici anni. E non si tratta affatto di “danni collaterali”, dovuti al fatto che i “vili” di Hamas si nascondevano fra i civili (fra poco saremo costretti a riscrivere la storia, ed a dire che i vili partigiani ebrei del ghetto di Varsavia si nascondevano fra i civili, mettendo in imbarazzo i poveri civilissimi tedeschi). Si è trattato di una punizione collettiva voluta. Del resto, lo ammette apertamente la ripugnante sionista Yaffa, una cinquantenne che gestisce un negozio di abbigliamento per bambini: “Abbiamo bisogno di finire il lavoro a Gaza. Milletrecento morti non bastano. Devono uscire tutti con la bandiera bianca” (cfr. “La Stampa”, II-2-09). Ho scritto “sionista” e non “ebrea” non certo per timore di essere demonizzato dal politicamente corretto, questo nuovo cancro della libera comunicazione razionale fra gli uomini, ma per rispetto di tutti gli “ebrei” che mi hanno arricchito l’esistenza, da Gesù a Spinoza, da Marx a Lukacs, da Benjamin a Primo Levi. È bene nominare correttamente le cose, come disse Confucio, e dare ad ognuno il suo, come scrisse Sciascia.
Del resto, la ripugnante camiciaia Yaffa non è sola. Arnon Sofer, l’architetto del disimpegno da Gaza, sostenne in un’intervista sul Jerusalem Post, questo giornale nazista in caratteri ebraici, che per restare a Gaza e per mantenere lo status quo bisognava “uccidere, ed uccidere, ed uccidere, e questo tutti i giorni, ogni giorno”, finché i palestinesi smetteranno di sollevarsi ed abbandoneranno Gaza.
Questa è stata dunque la logica dei venti giorni del massacro di Gaza. La macchina della propaganda sionista, in questi casi, cerca di non far capire il cuore del problema, cosi bene espresso sinteticamente dalla nazista Yaffa (li ammazzeremo fino a che non si arrenderanno ed usciranno con la bandiera bianca), ed attiva immediatamente i pagliacci della triade colta “per l’esportazione” Yehoshua-Oz-Grossmann, che suonano sempre lo stesso disco stonato: “Questa volta era purtroppo necessario attaccare, bombardare e massacrare, ma bisogna farlo con maggiore moderazione, e poi bisognerà trattare con il buon Abu Mazen, una volta eliminati i fanatici fondamentalisti terroristi barbuti di Hamas”. E questo lo dicono i probabili uccisori con il veleno di Arafat, uccisione con il veleno che non è affatto un gossip irresponsabile del tipo dell’autoattentato Bush-Mossad alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, ma è a tutti gli effetti una ipotesi storiografica probabile (cfr. Amnon Kapeliouk, in “Le Monde Diplomatique”, novembre 2005). Personalmente, sul probabile avvelenamento di Arafat non sono un “negazionista”, e considero del tutto plausibili gli argomenti portati da Kapeliouk.
Il cuore della questione sta quindi in ciò, che i sionisti vogliono che i palestinesi “escano con le mani alzate”, e per questo bisogna punirli collettivamente in modo assiro-babilonese ogni tre o quattro anni. Non si creda quindi ai cosiddetti “danni collaterali”, causati dall’estremismo dei piccoli razzetti fatti in casa su Sderot. Lo volesse Dio che Hamas fosse armata meglio, almeno come i benemeriti e mai abbastanza lodati Hezbollah del Libano!
Di fronte a questi tripli criminali (di guerra, contro la pace e contro l’umanità) l’Europa vile, cinica ed asservita non richiede una seconda Norimberga contro questi nuovi nazisti, ma finge che il cuore del problema non sia quello espresso dalla nazista Yaffa, espressione della assoluta maggioranza della tribù sionista, ma sia l’insieme dei distinguo della triade politicamente corretta Yehoshua-Oz-Grossmann. E cosi per far dimenticare i crimini di Gaza, si apre subito una cortina fumogena perché l’attenzione della cosiddetta (ed ormai inesistente) “opinione pubblica” venga dirottata su alcune sciocche – ma del tutto marginali ed ininfluenti – dichiarazioni “negazionistiche” di due preti conservatori (Williamson ed Abramovic), basate su discutibili opinioni storiografiche (in ogni caso, da me non condivise) che circolano liberamente da anni in pubblicazioni liberamente vendute nelle librerie, e che hanno già dato luogo a controversie storiografiche  notissime (Hillberg, Vidal-Naquet, Faurisson, Thion, eccetera). Il carattere di cortina fumogena per nascondere attraverso la condanna della negazione di crimini commessi in passato la ben più importante ed attuale negazione di crimini commessi oggi nel presente è qualcosa di immensamente più osceno della pubblicazione dei peli del pube femminile o dei testicoli maschili.
La maggioranza degli europei, avendo abbandonato la passione della verità, è ormai spiritualmente morta. Ci sono ovviamente ebrei coraggiosi (cfr. Marcel Liebman, Nato ebreo, Sharazad edizioni, 2008), ma essi vengono espulsi dalle loro stesse comunità, come avvenne a suo tempo a Spinoza, con la kafkiana e borgesiana dicitura di “ebrei che odiano sé stessi”. Una piccola parte di europei, sotto la costante minaccia dell’accusa infamante di antisemitismo, è ancora in grado di indignarsi, ma lo fa sotto la modalità che a suo tempo Hannah Arendt condannò come “politica della pietà”. Si negano ai palestinesi i loro diritti storici di resistenza, si finge che sia ancora in corso un “processo di pace”, si finge che le cavallette schifose dei coloni non stiano occupando la Cisgiordania fino a saturarla ed a rendere impossibile persino un microstato palestinese bantustan, ed al massimo si ha pietà dei bambini, visti come enti puramente fisici, astorici ed apolitici, e pertanto meritevoli di pietà e di umanità.
Per quanto mi riguarda, ho pietà dei bambini e delle vittime innocenti. Ma ho anche ammirazione, condivisione e solidarietà per i meravigliosi combattenti adulti di Hamas e di Hezbollah.

2. Alla frammentazione del mondo arabo – islamico, fa invece riscontro l’unità dell’Occidente a guida americana nel sostegno ad Israele. il ruolo di Israele nel contesto mediorientale, è quello di potenza locale sostenuta dagli interessi strategici e politici americani. Infatti, è proprio grazie all’incondizionato sostegno americano nell’ambito internazionale, che Israele può compiere invasioni con massacri generalizzati di civili, fare probabile uso di armi chimiche, ignorare sistematicamente le direttive Onu. Lo status “speciale” di Israele, sembra quindi configurarsi come quello di uno stato fuori del diritto internazionale, in quanto non soggetto ad esso. Questo particolare status israeliano, avrebbe la sua legittimità sulla base della distinzione planetaria imposta dagli Usa e dai suoi satelliti occidentali, tra stati democratico – liberali e non (alias stati canaglia). Il grado di democraticità è stabilito in virtù della omologazione di ciascuno stato alle strategie economiche e politiche degli Usa. Quindi, per quanto concerne i palestinesi, pur avendo avuto luogo elezioni democratiche, il governo di Hamas è illegittimo, perché ritenuto da Israele e dall’Occidente “terrorista”. Israele dichiara quindi impossibile la pace perché non riconosce il governo “terrorista” di Hamas. Ma è evidente che la pace, così come la guerra, non può essere fatta se non con un nemico. Nell’ottica occidentale la democrazia si tramuta in americanocrazia, legittima in quanto a senso unico, con vincitori predeterminati e omologati. Senza amaricanocrazia, non può esserci dunque pace in Medio Oriente. In Occidente tutti invocano la pace, sul presupposto di una moralistica, asettica, virtuale, pilatesca equidistanza tra Israele e i palestinesi, senza considerare la enorme disparità di forza tra i due contendenti: nella tragedia di Gaza, ai 13 morti israeliani, fanno riscontro 1.300 palestinesi. Ma non può esservi pace se non con la giustizia, intesa come parità tra le parti in causa. Lo slogan demagogico pacifista “due popoli due stati” cela in sé una spudorata menzogna. Uno stato palestinese composto da Cisgiordania e Gaza (il 20% del territorio originariamente rivendicato come Palestina), non può costituire la base territoriale per uno stato palestinese materialmente indipendente, perché privo di risorse economiche e naturali sufficienti, perché sovrappopolato, perché stravolto dalle guerre e impoverito dalle deviazioni dei corsi d’acqua effettuate dagli israeliani, esposto ad una guerra civile latente a causa del moltiplicarsi degli insediamenti israeliani negli ultimi anni. un tale stato palestinese si ridurrebbe a protettorato politico israeliano e colonia economica degli stati arabi del golfo. E Gerusalemme? I palestinesi non possono accettare l’espropriazione israeliana su base teologica, garantita dal muro. “Due popoli e due stati” è una illusoria menzogna, al pari dell’improbabile utopia dello slogan “Due popoli e uno stato” con l’intenazionalizzazione di Gerusalemme.

In una vignetta di Altan il personaggio stralunato che ne fa da protagonista dichiara: “Il trucco c’è, si vede, e non gliene frega niente a nessuno”. È esattamente quanto avviene per la menzogna palese dei “due popoli due stati”, resa impossibile dalla colonizzazione della Cisgiordania sfacciatamente proseguita negli ultimi quaranta anni. Hai dunque perfettamente ragione a rimarcare questa sfacciata menzogna. Del resto, tutti gli esperti, compreso quelli occidentalisti, filoamericani e filoisraeliani lo ammettono apertamente (cfr. Lucio Caracciolo, in “Limes” e recentemente in “La Repubblica”, 27-1-09).
Come studioso di filosofia, uno dei sintomi della corruzione estrema di una cultura è il presentarsi all’aria aperta della manifestazione, oscena e corrotta, della “perdita di interesse verso la verità”. Questa perdita di interesse verso la verità è un sintomo molto peggiore della semplice negazione della verità. La negazione della verità non è ancora una malattia mortale di una cultura, perché le si può opporre la proclamazione motivata e dimostrata della verità stessa. Il cosiddetto “negazionismo”,  ad esempio, di cui parlerò diffusamente nella mia prossima risposta, è una patologia grave, ma non mortale, perché le si può opporre una strategia culturale “affermazionista”, del tipo: “Voi negate che certi fatti siano mai avvenuti, ma vi sbagliate, perché noi vi dimostreremo con abbondanza di documentazione che invece essi sono avvenuti”. Se allora presupponiamo un interesse verso la verità da entrambe le parti, e la disponibilità ad accettare un convincimento razionale (si tratta della teoria dell’argomentazione di Jurgen Habermas, ma prima ancora di Socrate), alla fine si dovrebbe addivenire ad un accordo razionale e veridico.
Ma non è più questo il caso. L’unico vero “negazionismo” che oggi si avvelena, è la negazione dell’evidenza storica per cui Israele vuole tutta la Palestina, tutti lo sanno, tutti fingono di non saperlo, e tutti danno il tempo alla tribù sionista assassina di “svuotare” di arabi la loro “Terra Promessa”.
Finché accetterà questa sporca menzogna l’Europa, per dirla con Metternich, sarà solo una povera e subalterna “espressione geografica”. Speriamo solo che i probabili costi di questa vergogna non ricadano sui nostri figli e che la divinità nei cieli non pratichi il principio idolatrico assiro-babilonese della responsabilità collettiva e salvi invece i “giusti”!

3. L’Europa, con i suoi stati membri, non ha una strategia, un progetto, un ruolo autonomo nel medioriente. La UE è un organismo economico sovranazionale, che come tale, si sovrappone alla politica degli stati orientando i propri interessi nell’ambito dell’Occidente angloamericano. Il filoccidentalismo diffuso tra i popoli europei, si salda con l’isalmofobia scaturita dai problemi dell’immigrazione e dalla criminalizzazione dei media dell’Islam fomentatore di terrorismo. Ma la causa palestinese non coincide, anzi spesso prescinde dalle problematiche dell’Islam. Al filoccidentalismo fa riscontro un generico pacifismo che comunque si riconosce nel modello di società occidentale. Il filoccidentalismo europeo porta ad  identificare la propria scelta di campo con la causa d’Israele, considerata un elemento della stessa area geopolitica europea. Non manca che la vorrebbe membro della Ue. ma tale assimilazione scaturisce dall’assorbimento da parte degli europei di presunti valori occidentali imposti dal dominio Usa sull’Europa, quali il senso di colpa ormai radicato negli europei, che hanno sedimentato la criminalizzazione della propria storia, quali responsabili delle persecuzioni religiose prima e dell’Olocausto poi. Non è un caso che venga riesumato ad hoc in questo periodo il fantasma dell’antisemitismo europeo mediante la condanna apodittica del negazionismo. I fantasmi orrorifici del passato europeo vengono rivitalizzati dai media allo scopo di creare una legittimità morale israeliana per l’invasione di Gaza e comunque per rendere gli europei succubi dei propri sensi di colpa collettivi, che possono essere rimossi solo mediante la sottomissione morale e politica all’Occidente americano e sionista. Perfino la Chiesa Cattolica, per bocca del portavoce vaticano Mons. Lombardi, subordina la fede cristiana al riconoscimento del primato del senso di colpa per le responsabilità europee circa l’Olocausto. Non si tratta oggi nemmeno di auspicare un’Europa filoaraba, in virtù della difesa dei propri interessi economici legati al petrolio. I Paesi esportatori della penisola arabica sono filoccidentali e le fonti di approvvigionamento del greggio sono molteplici nel mondo. La politica non può ridursi ad una somma di interessi. Quello dell’Europa, per essere politicamente rilevante, deve essere un ruolo di natura etica, prima che politica, in quanto l’Europa deve costituire il punto di riferimento di un modello culturale, sociale e politico che può avere la sua rilevanza nella geopolitica mediorientale, suscettibile di creare alleanze politiche e capace di comporre interessi divergenti. Ma chi non ha un modello culturale prima che politico da esportare, è giusto che subisca l’imposizione di sistemi politici estranei, con i relativi sensi di colpa originari.

Ricordo perfettamente la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, quando i sionisti occuparono l’intera Cisgiordania e le colline siriane del Golan. Avevo solo 24 anni, e nonostante mi dichiarassi un seguace di Marx e di Lenin facevo parte di quella “sinistra” eurocentrica, occidentalistica e razzista di cui parla Edward Said nel suo capolavoro Orientalismo. Le mie fonti erano film come Exodus e Lawrence d’Arabia, e nutrivo l’idea colonialista e demenziale che i kibbutz fossero “comunisti” mentre gli arabi fossero religiosi, feudali ed arretrati. Già allora, per fortuna, nutrivo già il sospetto, poi divenuto progressivamente certezza inoppugnabile, che il sionismo fosse uno sporco fenomeno coloniale, ma lo giustificavo in nome dell’espiazione del genocidio ebraico. A poco a poco, cominciai ovviamente a capire che non si può fare “espiare” il genocidio ebraico fatto da europei al popolo palestinese, totalmente e pienamente innocente di questo genocidio. La comprensione di questo dato elementare, accessibile ad un bambino di prima elementare (ma tutte le cose importanti sono anche sempre elementari, alla faccia dell’alibi pomposo-universitario della cosiddetta “complessità”), mi ha permesso di capire il cuore della malattia culturale europea, e cioè la rimozione e l’ipocrisia, per cui il complesso di colpa per avere “permesso Hitler” (e chi lo ha permesso? Non io, certamente, essendo nato nel 1943. Il principio della responsabilità collettiva è un principio bestiale assiro-babilonese, estraneo alla razionalità greca ed al concetto di anima individuale e di persona, cui io cerco di ispirarmi), viene scaricato su di un “capro espiatorio”, e cioè l’innocente popolo palestinese. Dopo aver capito questo, la mia intera vita spirituale è cambiata, e non mi ha più interessato nulla il giudizio del politicamente corretto, l’anonimità, la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco (per dirla con le categorie del primo Heidegger). Ho capito da allora che la piccola Palestina, occupata da una feroce tribù razzista in nome del senso di colpa europeo, era un simbolo di una più generale ingiustizia globale diffusa nel mondo. E con questo, fine di ogni riferimento autobiografico.
Eppure, nel 1967 nessuno ancora osava dire che la critica al sionismo era una forma di antisemitismo mascherato ed addirittura una concessione al cosiddetto “negazionismo” storiografico. L’impazzimento culturale non era ancora giunto a questo punto, credo a causa dell’influenza geopolitica equilibratrice del benemerito e mai abbastanza rimpianto fenomeno politico-militare del comunismo storico novecentesco realmente esistito, al netto delle legittime critiche sulla sua natura dispotica. Il mondo non era ancora impazzito nella autoreferenzialità occidentalistica imperiale politicamente corretta. Non era ancora stato costituito il Ministero della Verità. Non era ancora stata edificata la Religione Olocaustica della Unicità Assoluta di Auschwitz. Si poteva ancora dire che Auschwitz era bensì stato schifoso ed imperdonabile, ma altrettanto schifosi e imperdonabili erano stati Hiroshima e Dresda (vedi in proposito Nicholson Baker, Cenere di Uomo, Bompiani, Milano 2008). Si poteva ancora discutere della natura dei genocidi novecenteschi senza l’obbligo di aderire all’immagine del novecento come secolo delle ideologie assassine e delle utopie totalitarie, ignorando che il novecento fu anche e soprattutto un secolo in cui l’azione politica collettiva cercò di imporsi sul dominio dell’economia incontrollata (cfr. Alain Badiou, Il Secolo, Feltrinelli, Milano 2006). Non esisteva ancora un clero levitico sionista che cercasse di smantellare le identità cristiane e marxista per sostituirle con un complesso di colpa eterno per l’interminabile elaborazione del lutto dell’Unico Genocidio del Novecento, nell’ottica che a suo tempo Domenico Losurdo ha connotato come “giudeocentrismo”, pagando ovviamente questa pacata opinione storiografica con l’accusa infamante di antisemitismo. Tipico delle religioni e delle teologie è appunto quello di impedire una discussione razionale sui loro fondamenti.
Apro una parentesi. Per ragioni culturali e familiari sto finalmente studiando i dettagli del genocidio armeno. Non leggo il turco e l’armeno, e quindi sono costretto a esaminare soltanto testi in italiano ed in lingue occidentali. Per ora sto schedando tre testi principali. Il saggio di Vahakn N. Dadrian (Guerini e Associati), che sostiene ovviamente la tesi del genocidio con ricchissima documentazione bibliografica anche in turco ed in armeno, tesi che io condivido, anche se non con tutti i suoi giudizi (ad esempio, non credo che i Giovani Turchi siano entrati in guerra nel 1914 con il fine di poter sterminare le minoranze – lo hanno fatto perché la Germania si era impegnata a tutelarne l’integrità territoriale, mentre Inghilterra, Francia e Russia volevano distruggerlo e disintegrarlo). Il saggio di Marcello Flores (il Mulino), che sostiene parimenti l’esistenza di un genocidio armeno, pure in presenza di dilettanteschi errori, come quello di attribuire (p. 23) allo Zar russo Nicola I (morto nel 1855) la guerra russo-turca del 1878. Potenza dell’evocazione delle anime dei defunti, cui evidentemente la nuova storiografia italiana è dipendente (si tratta di una nuova fonte). Infine, il saggio di Guenter Lewy (Einaudi), che sostiene che un vero e proprio genocidio armeno non ci fu, ma ci fu soltanto una serie di massacri. Come si vede, Dadrian e Flores sostengono la tesi del genocidio, e Lewy sostiene la tesi ufficiale dello stato turco kemalista e post-kemalista, per cui non ci fu genocidio ma solo una serie di deplorevoli massacri. Personalmente mi permetto di esprimere i miei convincimenti in due punti. Primo, ritengo che Dadrian e Flores abbiano ragione, e Lewy torto, e che gli armeni abbiano subito un genocidio esattamente come gli ebrei, che peraltro lo hanno subito anche loro, ma non hanno diritto a chiederne l’esclusiva o l’eccezionalità, che non è una tesi storiografica, ma semplicemente una tesi teologica di tipo olocaustico. Secondo, ritengo che l’occidente e  particolarmente gli USA, che hanno le mani sporche di sangue, non abbiano alcun diritto morale di imporre alla Turchia una cerimonia di espiazione selettiva. La faccia l’occidente per Hiroshima 1945 e per Gaza 2009, e poi se ne potrà parlare.
Perché ho aperto questa parentesi? Ma perché il caso armeno dimostra che di un insieme di eventi controversi si può e si deve poter parlare liberamente, anche se si tratta di temi “caldi”. Dadrian e Flores dicono che c’è stato il genocidio (anche se Flores si occupa di storia armena senza sapere l’armeno e il turco, e mi sembra una follia del dilettantismo accademico), Lewy dice che non c’è stato. Io penso che ci sia stato, ma ciò che conta è che se ne possa parlare liberamente.
Questo non è consentito per il genocidio ebraico. Ora, io non ho alcun titolo per parlarne, perché ho soltanto letto i libri di altri, e non ho fatto nessuna ricerca in proprio. In vita mia non sono mai entrato in nessun archivio storico, non ho nessuna intenzione di farlo, e non ho nessun complesso di colpa per non averlo fatto. L’arte è lunga, la vita è breve, e l’arte che pratico non comporta la frequentazione di archivi storici. La sola cosa che pretendo, da dilettante e libero lettore, è di poter farmi un libero convincimento in un clima tranquillo e non avvelenato da anatemi e da minacce penali. Chiedo troppo? Non credo.
Passiamo al genocidio ebraico. Sulla base delle correnti definizioni storiche di genocidio (cfr. Wikipedia, eccetera), la mia opinione è che un genocidio ebraico ci sia stato, ed è sicuro che c’è stato, all’interno di una politica “sterminazionistica” che riguardava peraltro anche altri gruppi etnici e religiosi (zingari, slavi, eccetera). Devo ammettere che, avendo una mentalità filosofica e non storica, i dettagli m’interessano poco, mentre m’interessa di più capire chi aveva ragione e chi aveva torto sul piano della “verità universale”. Ora, a mio avviso, Hitler aveva indiscutibilmente torto, ha commesso crimini (peraltro paragonabili ai crimini degli alleati vincitori) ed intendeva anche perseguire un genocidio degli ebrei (e di altri). So bene che esiste un dibattito storiografico fra negazionisti ed “affermazionisti”, che riguarda cose come il numero delle vittime, l’esistenza o meno di camere a gas usate direttamente per uccidere inabili al lavoro e malati, l’esistenza o meno di ordini scritti o soltanto indiretti ed orali, la natura territoriale oppure apertamente sterministica della soluzione finale, eccetera. Bene, ho il diritto, e lo rivendico, di assumere un atteggiamento simile a quello che assumo rispetto al genocidio armeno, e cioè di farmene una libera opinione indipendente, senza essere minacciato di esclusione dal consorzio umano da parte di un orwelliano Ministero della Verità, o meglio dell’unica verità consentita dalla triade manipolatrice del ceto politico, del circo mediatico e del clero universitario degli storiografi di corte. Ho anche il diritto di non occuparmene, se liberamente decido di non occuparmene. Il mio giudizio su Hitler, il nazionalsocialismo, il razzismo, l’antisemitismo, il giudeocentrismo, la giudeofilia e la giudeofobia (due aspetti inscindibili della stessa realtà), me lo sono già fatto da tempo, e non dipende da Thion o da Garaudy, da una parte o da Vidal Naquet o da Hillberg, dall’altra. Praticando una filosofia universalistica ed umanistica, ed essendone fiero, per me il problema della persecuzione collettiva di razze (presunte), popoli, nazioni, religioni, eccetera, non si pone assolutamente ed è per me una impossibilità morale, logica e filosofica.
Passiamo invece alla nuova Religione Olocaustica, che invece mi sembra non un’opinione soggettiva, ma un dato storico fattuale, del tutto indipendente (lo ripeto, indipendente) dalla fattualità storica del genocidio ebraico e delle sue modalità qualitative e quantitative. Nello stesso modo, il giudizio sulla Santa Inquisizione deve essere dato prescindendo completamente dalla predicazione o dalla natura divina e /o umana di Gesù di Nazareth. In proposito, distinguere è la precondizione del capire.
La religione olocaustica, con riti, processioni, memoria selettiva e privilegiata, è un dato relativamente recente, inesistente fra il 1945 e il 1980 circa. Deve quindi essere studiata come una ideologia di legittimazione. Essa, in breve, adempie a due funzioni. Primo, legittima indirettamente i crimini del razzismo territoriale sionista. Secondo, legittima la colpevolizzazione eterna della Germania, giustificando così indirettamente la permanenza ad infinitum di basi militari USA in Europa, e rendendo culturalmente impossibile qualunque asse geopolitico Parigi-Berlino-Mosca (de Grossouvre), unico modo concreto di infrangere il monopolio militare americano nel mondo. In terzo luogo, la religione olocaustica, pura e semplice religione civile dell’elaborazione di un complesso di colpa inestinguibile, è una religione soft e light per senzadio, ed insieme alla moda innocua del Dalai Lama può sostituire le vecchie e fastidiose religioni normative dei comportamenti morali e comunitari (Ratzinger, eccetera).
Come ha chiarito molto bene l’antinegazionista Vidal-Naquet, la trasformazione della religione olocaustica in Ortodossia provoca necessariamente la formazione di una Eresia, e cioè il negazionismo. I negazionisti sanno bene che la loro sorte è quella di essere messi al bando del genere umano come i lebbrosi, ma è statisticamente sicuro che c’è sempre una piccola parte della popolazione disposta a pagare i prezzi dell’eresia (e parlo prescindendo del tutto dal contenzioso storiografico).
Termino citando la coraggiosa giornalista israeliana Amira Hass (cfr. “Internazionale”, n. 582, marzo 2005): “Non ho guardato alla televisione la cerimonia per l’inaugurazione del nuovo museo dell’Olocausto a Gerusalemme… non volevo vedere il modo in cui lo stato di Israele ha sfruttato la storia della mia famiglia e del mio popolo per una campagna di pubbliche relazioni… la morte di sei milioni di ebrei è la più grande risorsa diplomatica di Israele”.
Non si poteva dire meglio. Se Amira Hass è antisemita, anche io lo sono. Ma non credo proprio che né Amira Hass né chi scrive lo siano. Lasciamo che lo urlino la camiciaia nazista Yaffa e la signora Fiamma Nirenstein.

4. L’America vive nell’idillio mediatico della parola profetica di Obama. L’uomo che con la sua parola, in pochi giorni è stato identificato nella speranza messianica globalizzata. Obama in realtà ha abbozzato ipotesi di dialogo con l’Islam, ipotizzato la fine della unilateralità americana (chiusura di Guantanamo, ritiro dall’Iraq), auspicando maggio re coinvolgimento dell’Europa nelle strategie americane, senza tuttavia promettere chiaramente multilateralità nelle decisioni in campo geopolitico. Sul Medioriente invece, al di là di generici proclami pacifisti, non ha esposto una strategia politica per la soluzione del conflitto israelo – palestinese. Che Israele abbia compiuto l’invasione di Gaza approfittando del temporaneo vuoto di potere dovuto alla fine della presidenza Bush, è un fatto. E’ quindi assai problematico per Obama imporre una qualunque strategia per una pace durevole in Medioriente, alla luce di un evidente stato di fatto di supremazia assoluta israeliana nell’area, con Hamas in stato di avanzata decomposizione ed  i palestinesi di Abu Mazen ridotti ad una cronica impotenza. la crisi epocale dell’economia americana fa presagire una riduzione degli impegni politici e militari americani nel mondo a causa dell’impossibilità economica a sostenerli, data la mancanza di risorse sufficienti. Israele dipende economicamente e militarmente dal sostegno americano e pertanto è ipotizzabile che essa abbia operato questa aggressione armata allo scopo di distruggere Hamas ed imporre uno stato di predominio militare nell’area mediorientale, dato che le garanzie di sostegno americano negli anni futuri potrebbero subire riduzioni rilevanti. Inoltre, la riduzione all’impotenza, oltre che all’isolamento internazionale dei palestinesi, potrebbe indurre Israele ad accrescere il proprio ruolo di potenza mediorientale e quindi pregiudicare, col pretesto della sicurezza dello stato ebraico, qualunque tentativo di dialogo degli Usa verso l’Iran, determinando nuove aperte conflittualità, peraltro già latenti, nell’area.                                                                 

Dal momento che mi sono già analiticamente dilungato in alcune risposte precedenti, mi permetterai di essere breve e telegrafico a proposito di Obama, da non confondere per carità con la “obamamania” europea, profilo ideologico per sudditi proconsolati subalterni.
In primo luogo, la successione di Obama a Bush ha certamente una (piccola) importanza storica all’interno degli USA inteso come stato-nazione sovrano, in quanto certamente il gruppo dirigente raccoltosi intorno ad Obama rappresenta interessi diversi da quelli dei gruppi raccoltisi intorno a Bush, come già avvenne nell’impero romano per Mario e Silla e Cesare e Pompeo, e nell’impero vittoriano inglese fra Gladstone e Disraeli.
In secondo luogo, per quanto riguarda gli USA non come stato-nazione ma come potenza imperiale non può cambiare molto, perché gli interessi imperiali sono strutturali, geopolitici e di lungo periodo. Non a caso la classe oligarchica americana, che resta la stessa di prima, ha affiancato ad Obama rappresentanti fidati della strategia imperiale (dal vicepresidente Biden a Hillary Clinton, imperialista riconosciuta e sionista estremista).
In terzo luogo, per quanto riguarda Israele, non può cambiare molto, perché bisogna capire che per quanto riguarda il Medio Oriente il sionismo è completamente sovrano, e non dipende dagli USA. Sulla Palestina, per dirla in modo chiaro, Israele è il cane e gli USA la coda, e non viceversa come credono gli sciocchi, che pensano che gli USA siano il cane ed Israele la coda. Su questo l’economicismo petrolifero della sinistra comunista è stato sempre l’equivalente del modello geocentrico in astronomia. Se vogliamo finalmente diventare copernicani, bisogna capire che per la Palestina gli USA sono la coda ed Israele è il cane, e non viceversa.
In quarto luogo, per finire, la cosiddetta “obamamania” (mi si scusi per la faticosa espressione) non è una cosa seria, ma è solo l’ennesimo episodio di illusione subalterna del multilateralismo diplomatico (del tutto inesistente ed impossibile in una logica imperiale, necessariamente unilaterale). Gli straccioni subalterni alla Veltroni si muovono all’interno della logica della sottomissione, auspicando che ad un Imperatore Bianco Cattivo succeda uno Imperatore Negro Buono, cosi come i miserabili graeculi dell’impero romano speravano che a Caligola e Nerone potesse succedere un imperatore “illuminato” tipo Vespasiano o Traiano. Costoro non meritano che disprezzo storico e politico.