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La giustizia internazionale post-bipolare: uno strumento nelle mani di Israele e dei suoi alleati

di Claudio Moffa - 09/04/2009

Fonte: claudio moffa


L’accusa di Gheddafi contro la Corte Penale Internazionale è sacrosanta:
un processo a chi faziosamente processa solo i nemici di Israele?

Gheddafi ha ragione, la Corte Penale Internazionale è un’organizzazione terrorista a fini di
dominio planetario. Del resto in tempi recenti, chi scrive aveva denunciato la assoluta
parzialità della CPI in un paio di convegni internazionali. Dominio di chi? Non so cosa
pensino i leaders della nuova “internazionale” che si va affermando giorno dopo giorno
sulle rovine del vecchio campo socialista, e che solo la iperlaica sinistra marxleninista
occidentale sembra - a forza di distinguo scolastici - rifiutarsi di vedere, ma il sottoscritto,
da semplice osservatore di fatti internazionali, un’idea se l’è fatta da anni: primo,
contrariamente alle belle speranze di tanti giuristi internazionalisti, e nonostante la non
presenza di Israele e Stati Uniti fra i sottoscrittori del Tribunale fattivamente fondato nel
2002, sono proprio questi due paesi, o per meglio dire il primo di questi due paesi, se non
a indirizzare i magistrati che ne fanno parte, quanto meno a giovarsi dal loro operato
fazioso 1.
Secondo, nessuna sostanziale differenza esiste, almeno fino ad oggi, fra l’iniziativa
giudiziaria della CPI e quella dei famigerati Tribunali ad hoc degli anni Novanta: Il TPI
contro la Jugoslavia, culminato con la morte in carcere di Milosevic; quello contro il
popolo ruandese hutu, un obbrobrio su cui persino Carla Del Ponte ha sollevato dubbi fino
ad essere licenziata dal suo incarico di Procuratore da Kofi Annan 2; e quello sulla Sierra
Leone, che a fronte delle indubitabili efferatezze della guerra civile, ha portato alla
condanna dei soli oppositori all’odierno regime anglo-americano di Freetown.
Le mani di Israele sul Darfur: un’offensiva “totale” e martellante coperta dal
silenzio assordante della “libera” stampa occidentale, e dalla solita solfa
complottarda del “complottismo”
Nell’uno e negli altri casi, non è esagerato dire che non c’è foglia che si sia mossa nella
“giustizia internazionale” negli ultimi vent’anni – ivi compresa la selezione dei “casi
urgenti”: perché la Jugoslavia, la Sierra Leone e il Ruanda hutu sì, e non Israele? - che non
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1 La composizione della Corte la si trova nel sito ufficiale
http://www.icc-cpi.int/.
2 La Del Ponte lamentò l’eccessiva interferenza del governo di Kigali nelle attività del Tribunale di Arusha, del
resto codificate per Statuto. Ciò portò, su pressioni di Kagame, al suo dimissionamento da parte di Kofi
Annan nel 2003. Rimase comunque Procuratore generale del TPI per la Yugoslavia.
abbia riflesso gli interessi e le strategie del sionismo internazionale e dei suoi alleati in
Inghilterra e negli Stati Uniti. Complottismo antisemita? Idiota e servile battuta, basta
guardare ai fatti: in Sudan la crisi del Darfur è partita nel momento in cui, tramite la tela
diplomatica di Colin Powell, veniva chiusa la pluridecennale guerra civile sudista 3. Chi
aveva interesse a fomentare subito dopo la guerra civile nel Darfur? E’ difficile pensare
appunto a Powell, che vedeva così vanificare gli sforzi di pace sul fronte sud e perciò
favorire la concorrente Cina come principale partner economico di Karthum: non a caso gli
Stati Uniti avrebbero co-firmato il 5 maggio 2006 l’accordo di pace di Abuja fra il governo
sudanese e una parte della guerriglia darfuriana, dentro una rosa di sottoscrittori
significativa delle intenzioni della “comunità internazionale” costituita da ben 13 firmatari
fra cui Sudan, Libia e Nigeria, Francia, Gran Bretagna, Nazioni Unite, Unione Europea,
Unione Africana 4.
Era ed è invece Israele, e solo Israele, interessato a destabilizzare il Sudan, e non date retta
ai silenzi delle “grandi firme” del giornalismo, paginate sul Darfur in cui mai viene
nemmeno citato lo Stato ebraico come componente attivo della partita in gioco. Un silenzio
omertoso e servile: è stato infatti il sito del Museo dell’Olocausto di New York a gridare al
genocidio nel Darfur, fin dal 2004; fin dal 2004 sono stati i giornali USA in mano alla
lobby a rilanciare l’indecente “je accuse”, anche contro un Colin Powell “negazionista”
sempre più all’angolo, oltretutto perché colpevole di aver cercato di voler ridurre le
sanzioni all’Iraq nei primi mesi della presidenza Bush jr. E’ stato Elie Wiesel nel suo
discorso all’ONU del 2005, un intervento con cui il sionismo e Israele speravano di aver
affossato definitivamente – ennesimo utile frutto dell’11 settembre – lo storico intervento
di Arafat alle Nazioni Unite del ‘74, a elencare in testa ai “genocidi” dei nostri tempi
proprio il Darfur. E’ Israele che accoglie i fuggiaschi sudanesi trascinandoli in visita al
Sacrario dell’Olocausto a Gerusalemme. E’ stata la radio israeliana ad accogliere le
interviste e dichiarazioni delle presunte “vittime” presuntamente scampate al presunto
“genocidio”, e la voce tragicomica di una scrittrice sudanese che lamentava gli orrori non
della guerriglia, non della guerra civile, ma solo e unicamente del regime sudanese e delle
“sue” milizie a cavallo, gli ormai noti janjawid 5.
E’ Israele infine ad armare le bande secessioniste del JEM, sostenute a loro volta da Bin
Laden 6, che come tutti gli estremismi islamici – in Bosnia, Cecenia, Kosovo – sono utili a
destabilizzare e dividere la grande Ummah musulmana e a contrapporre i “gojm” l’uno
contro l’altro: i musulmani darfuriani contro gli altri musulmani sudanesi; gli afroarabi
contro gli africani neri; la comunità internazionale contro il mondo islamico e arabo.
Durban alla rovescia: il mandato di cattura di Moreno Ocampo, dopo il lungo braccio di
ferro fra un Sudan geloso custode della della propria sovranità e i tentativi illegali di
imporgli una “missione internazionale” per quella che è una crisi interna, soggiacente alla
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3 Il testo integrale della deposizione di Colin Powel al Congresso, è sul sito (non pro-governativo)
www.sudantribune.com, 9 settembre 2004.
4 La lista completa comprendeva oltre al Sudan e a una parte della guerriglia, l’Unione Africana (3 firme),
Libia, Nigeria, Stati Uniti, Gran Bretagna, ONU, Unione Europea, Lega Araba, Egitto, Canada, Norvegia,
Francia, Olanda (
www.claudiomoffa.it, pagina “Africa”)
5 Documenti e notizie circa la presenza israeliana nel Darfur in
www.claudiomoffa.it, pagina “Africa”.
6 Video attribuito a Bin Laden dell’ottobre 2006, citato in Claudio Moffa, La campagna sul Darfur continua:
con quali scopi? , in
www.claudiomoffa.it/africa
giurisdizione e sovranità di Khartum, non è altro che la “conclusione” formale di una trama
destabilizzatrice ordita da anni, con la complicità della solita stampa “libera” occidentale:
contro il Sudan e dunque contro il mondo arabo e islamico.
Il segno pro-israeliano dei Tribunali ad hoc degli anni Novanta
Ma come dicevo, il Darfur non è una eccezione alla “giustizia internazionale” postbipolare:
che i Tribunali ad hoc siano stati non solo uno strumento dei vincitori sui vinti nello
specifico scenario statuale-territoriale in cui illegalmente7 esercitavano la propria
giurisdizione, ma anche, spesso, la proiezione giuridica del tracimamento planetario di
Israele dopo la fine del bipolarismo (in Russia la famiglia finanziaria di Eltsin, negli USA
l’ascesa neocons, in Italia la svolta copernicana occhettiana della fine degli anni Ottanta e
l’effetto Tangentopoli sul duo di Sigonella Craxi e Andreotti; in Africa il grande ritorno
dopo la raffica di rotture diplomatiche del 1973; all’ONU l’emarginazione del mondo arabo
iniziata, nonostante Boutros Ghali, con Perez de Cuellar; nell’economia mondiale la
finanziarizzazione dell’economia …) è evidente o quanto meno intuibile: evidentissimo in
Ruanda, con il Tribunale di Arusha finanziato da George Soros (!)8, impegnatosi a
processare per il grande massacro del ‘94 i soli dirigenti hutu del governo Habyarimana:
un Tribunale dunque al servizio di Kagame, leader di un regime tutsi non solo tirannico e
razzista ma anche alleato organico di Israele per affinità ideologiche – i Tutsi si sentono gli
“ebrei” della Regione dei Grandi Laghi, e il loro “genocidio” e connessa “reazione” ripetono
pari pari il modello mediatico sionista del ’48 – per collocazione geopolitica – l’alleanza
con gli USA e lo scontro con la Francia di Chirac e i suoi alleati africani – e per interessi
economici, il mercato dei diamanti attivato grazie alla decennale invasione e rapina
mineraria del Congo orientale da parte delle truppe ruandesi e ugandesi.
A questo marcato segno pro-sionista della guerra civile dei Grandi Laghi africani,
corrispondono poi quelli meno netti ma pur sempre visibili degli altri due Tribunali ad hoc
degli anni Novanta: il primo è quello sulla Sierra Leone, stampella giudiziaria di un regime
oggi in ottimi affari con Tel Aviv e un cui Procuratore, l’ex funzionario del Pentagono David
Crane, è arrivato persino a spiccare nel 2004 un mandato di cattura contro l’allora capo di
stato liberiano Charles Taylor: un presidente già eletto nel 1997 con votazioni riconosciute
unanimemente come regolari, ma sgradito agli USA neocons del dopo 11 settembre e a
Israele per i suoi rapporti con la Francia di Chirac e con la Libia, e per la sua intromissione
nel mercato di diamanti regionale a fianco dei ribelli del RUF.
Geopolitica e retroterra economico sono dunque qui molto simili a quelle della Regione dei
Grandi Laghi: colpire il RUF, defenestrare con un atto arbitrario anticipazione di quello
che oggi si tenta contro Al-Bashir, il “war lord” Taylor uscito vincitore anche per consenso
popolare dalla lunga guerra civile liberiana, è stata una mossa giudiziaria tutta interna al
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7 Per una critica radicale dell’illegittimità dei Tribunali ad hoc vedi il giurista internazionalista italiano
Gaetano Arangio-Ruiz, “The Establishment of the International Criminal Tribunal for the former territories
of Yugoslavia and the doctrine of implied powers of the United Nations”, in Autori Vari, Dai Tribunali penali
internazionali ad hoc ad una Corte permanente, Atti del Convegno – Roma 1995, Editoriale Scientifica,
Napoli 1996; e Gaetano Arangio-Ruiz, “On the Security Council’s ‘Law-making’, in Rivista di Diritto
Internazionale, 2000, 3, estratto, Giuffré, Milano 2000, in particolare pp. 615 e segg..
8 In particolare la Fondazione Soros, assieme a quella Rockfeller, finanzia una parte del Tribunale, la
Procura: il che la dice lunga sia sulle intenzioni giustizialiste degli sponsor, sia sul degrado delle Nazioni
Unite dopo la fine del bipolarismo.
nuovo “scramble” per l’Africa postbipolare fra USA-Israele, Francia e in anni più recenti la
Cina. Oggi uno dei padroni della Sierra Leone è l’israeliano Beny Steinmez, proprietario
della più ricca miniera di diamanti del paese. In tutta l’Africa occidentale vivono centinaia
di famiglie israeliane, e già i soliti noti cominciano a parlare di un “pericolo hezbollah”
nell’area, erede di quello imputato anni fa a Charles Taylor.
Ma questi scenari giudiziario-economici africani hanno qualcosa a che fare con il primo
Tribunale ad hoc postbipolare, quello contro la Jugoslavia? Secondo “il dubbio” di un
giornalista di Radio Citta’ aperta – Sergio Cararo, autore di un omonimo saggio
prudentemente pubblicato su una rivista palestinese 9 – sì: i protagonisti “americani” e
“europei” della tragedia jugoslava degli anni Novanta vantavano tutti curricula e rapporti
familiari o ideologici di marca ebraico-sionista, a cominciare dall’Albright fino a George
Soros, finanziatore della guerriglia kosovara. I musulmani bosniaci da cui prendeva
significativamente le distanze Gheddafi alla metà degli anni Novanta (così come Saddam
Hussein avrebbe preso le distanze nel 2002 dal terrorismo islamico ceceno), sono stati del
resto sostenuti attivamente da Tel Aviv, che ne ha accolti a decine in Israele 10.
E dall’altra parte la Jugoslavia di Milosevic – il presidente che per far fronte alla
pesantissima crisi economica tentò di opporsi alla strategia della Banca centrale della
Federazione diretta da Abramovic 11 - era erede della non allineata e pro palestinese
Jugoslavia di Tito. Un paese da annientare, per il tramite di quella balcanizzazione che
costituisce, sia in senso territoriale-geografico che in quello etno-sociale, uno dei pilastri
della weltanschauung sionista: che si tratti del Medio Oriente profetizzato da Oded Ynon
sulla rivista sionista Kivunim del 1982 12, o dell’ex Unione sovietica, dei Balcani o
dell’Africa multietnica.
Il mandato di cattura contro Al-Bashir: una mossa contraria a Diritto e
Giustizia e tutta politica, a fini di difesa di Israele dopo il massacro di Gaza
Eccoci dunque arrivati alla presunta “novità” della Corte Penale Internazionale. Una
mezza novità: il triste scenario di un Tribunale che - per essere stato discusso a lungo e poi
varato non dal Consiglio di Sicurezza (come i Tribunali ad hoc) ma dall’Assemblea generale
- sembrò a molti la versione penale della storica Corte Internazionale di Giustizia, è ben
simboleggiato dalla figura del Procuratore Moreno Ocampo: è lui il principale responsabile
dell’incriminazione del presidente sudanese Omar Al Bashir, una mossa assolutamente
politica, che nulla ha a che vedere con il Diritto e la Giustizia, sia che la si legga nel
contesto continentale sia che la si inserisca nel momento specifico in cui la Corte ha
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9 Citato in Claudio Moffa, 11 settembre, Palestina radice dela guerra: la co-regia israeliana dello “scontro di
cviltà”, Quaderni di Contropiano, Roma 2002.
10 Cfr. Janiki Cingoli su il Giorno del 13 febbraio 1993, e Massimo Nava su il Corriere della Sera del 5 marzo
dello stesso anno: due servizi su musulmani bosniaci emigrati in Israele. Sul sostegno sionista al terrorismo
islamico ceceno vedi F. Dr.,Berezovsky è il burattinaio. Offensiva di stampa e opposizione: finanzia
l’estremismo islamico, sul Corriere della Sera del 15 settembre 1999.
11 Danilo Taino, L’Occidente ha scelto l’anti-Milosevic: “Ci fidiamo dell’economista Avramovic …”, Corriere
della Sera del 31 luglio 1999, p. 2.
12 Citato in vari scritti di chi scrive, a cominciare da Claudio Moffa (a cura di), Quaderni Internazionali, 2-3,
1988, “La questione nazionale dopo la decolonizzazione: per una rilettura del principio di autodecisione dei
popoli”, in particolare p. 182.
emesso il suo ridicolo e tragico mandato di cattura, sia che la si legga in chiave meramente
giuridico-procedurale.
Il contesto africano è evidente e si caratterizza secondo il classico “due pesi due misure”:
nel Congo Orientale – nonostante il perdurare dell’occupazione ruandese iniziata nel 1998
13 – Moreno Ocampo ha attivato procedimenti solo nei confronti di leaders di gruppi di
guerriglia, uno solo dei quali pro ruandese – Bosco Ntaganda – evitando di svolgere
almeno una indagine nei confronti del presidente tutsi Kagame se non per l’attentato
contro l’aereo presidenziale che diede via ai massacri del 1994 (nulla poena sine lege),
quanto meno per le stragi dei soldati di Kigali, spesso mascherati da “falsi interhamwe
(cioè soldati hutu)”, contro le popolazioni civili 14.
Invece nel Sudan e nel Darfur – il cui genocidio, come chi scrive ha sempre ripetuto negli
ultimi anni, è una invenzione mediatica, tanto che persino il mandato di cattura contro
Bashir evita di elencarlo fra i capi di imputazione – lo stesso Procuratore generale della
ICC non solo non ha mosso un dito contro la guerriglia finanziata da Israele, nonostante i
rapimenti e uccisioni di operatori ONG, gli assalti ai convogli dell’ONU e la rivendicazione
di attentati antigovernativi con centinaia di soldati uccisi, ma inoltre è giunto ad
incriminare il Presidente di uno Stato sovrano, membro delle Nazioni Unite, con il plauso
dei ribelli del JEM che ne hanno promesso, loro, la cattura e consegna alla Corte. Uno
scandalo, seguito appena una settimana dopo l’arrest warrant, dalla elezione secondo
Statuto dei nuovi Presidente e due vicepresidenti della ICC 15 .
Ma quando è rimbalzata dai cassetti della CPI sullo scenario internazionale, la mossa furba
del Moreno Ocampo? Tempi di scadenza del mandato a parte, il contesto cronologico è
chiarissimo: è evidente anche ai ciechi che l’iniziativa della CPI, datata 4 marzo, ha a che
fare con la reazione mondiale ai crimini di genocidio, contro l’umanità e di guerra compiuti
da Israele nei 22 giorni di Gaza. Da una parte la mossa, proprio in coincidenza della
Conferenza di Teheran, ha puntato e punta a spostare l’attenzione mediatica internazionale
su un scenario altro che quello del sado-colonialismo israeliano, con l’Islam arabo sul
banco degli accusati; dall’altra è servita e serve a creare un pendant utile il giorno in cui
alla CPI dovessero veramente arrivare i ricorsi che centinaia di avvocati e ONG in tutto il
mondo hanno dichiarato di voler inoltrare a denuncia e auspicata condanna della
leadership sionista.
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13 “Zaire, la politica dello sterminio: Kofi Annan accusa i ribelli”, Corriere della sera 24 aprile 1997, citato in
Claudio Moffa, Guerre vere e paci finte: un modello neocoloniale per i Grandi Laghi?, in Limes, 3, 2003,
pp.259-272. In particolare p.262, nota. Emma Bonino fu all’epoca ancora più dura e parlò di “genocidio”.
14 E questo nonostante l’inchiesta della magistratura francese e delle numerose testimonianze, a partire dal
2000, che indicano proprio in Kagame il mandante dell’atto terroristico ce scatenò la tragedia del ‘94.
Se si vuole avere un’idea dell’attività della ICC, i casi trattati dal 2002 ad oggi si trovano sul sito ufficiale
http://www.icc-cpi.int/Menus/ICC/Situations+and+Cases/): cinque sono attualmente i detenuti della ICC:
nel Congo sono finiti sotto processo, oltre al già citato Bosco Ntaganda, i nazionalisti congolesi antiruandesi
Germain Katanga e Mathieu Ngudjolo Chui; in Centro Africa Jean Pierre Bermba e dalla Liberia lo stesso
Charles Taylor, “trasmesso” dal Tribunale penale internazionale per la Sierra Leone alla ICC in base ad una
logica procedurale quanto meno dubbia.
15 Il canadese Philippe Kirsch è stato eletto la prima volta Presidente del Tribunale il 13 marzo 2003. L’11
marzo 2009, dopo un presumibile rinnovo della carica (I Giudici della Presidenza possono essere rieletti per
un secondo mandato) è stato sostituito dal sudcoreano Sang-hyun Song.
Di più, anche se fallisse preventivamente per addotti motivi procedurali, l’incriminazione
del Presidente sudanese potrebbe rivelarsi utile: perché attenzione, se venisse accolto come
motivo di opposizione alla procedibilità contro Omar Al-Bashir il fatto che il Sudan non è
fra i paesi sottoscrittori della ICC, questo “precedente” potrebbe risultare vantaggioso –
visto che Israele non ha aderito alla ICC - anche per Olmert o qualsiasi altro responsabile
israeliano dei massacri di Gaza. Un trucchetto procedurale, che ricorda quello che salvò a
Bruxelles Sharon dall’incriminazione su ricorso di centinaia di avvocati siriani, per essere
stato poco prima dichiarato non passibile di procedimento giudiziario un altro indagato (se
ricordiamo bene, un ruandese hutu).
Un mandato di cattura dunque “a orologeria”, pregiudizialmente antiarabo, anti islamico e
pro sionista quello di Luis Moreno Ocampo: del resto, a salvaguardia di Israele le manovre
dentro la CPI rischiano di essere molteplici, alcune forse persino interne al movimento di
protesta “giuridico”. Ci sarà chi, in modo più o meno evidente, proporrà come pendant per
la condanna dello Stato-belva israeliano, una qualche sanzione anche a Hamas, così tanto
integralista, così “incurante” dei civili palestinesi da aver sparato e continuato a sparare
missili Kassem contro il territorio della potenza occupante? Staremo a vedere: comunque
questa eventuale opzione nei gruppi che si stanno attivizzando per far rinviare a giudizio
Israele, sarebbe un elemento utile a far chiarezza nel coro delle sin qui unanimi proteste
per la guerra di Gaza.
La reazione arabo-islamica, le sue prospettive e i suoi ostacoli:
l’antistatualismo del pacifismo occidentale.
La reazione-denuncia di Gheddafi è dunque sacrosanta: essa è un nuovo segnale, dopo il
vertice del Qatar del gennaio scorso in cui i tre quarti dei paesi della Lega Araba e l’Iran si
sono trovati uniti assieme al delegato di Hamas nel condannare Tel Aviv, di una nuova
salutare reattività del mondo islamico ai crimini israeliani e allo strapotere e arroganza
planetari del sionismo. Un fenomeno di resistenza diplomatica che ha alle spalle la
resistenza di popolo (che non è retorico definire eroica) in Iraq, Libano e Palestina, e che a
sua volta induce ad almeno tre riflessioni.
La prima, telegrafica, è che questo processo non si rafforzerà se non si rinsalderà l’unità fra
i leader arabi e islamici. Il rischio è la tentazione al primato unilaterale sul nuovo
fenomeno di protesta internazionale contro il sionismo e le sue guerre. Esistono
dimensioni psicologiche che investono tutti gli esseri umani e dunque anche i leaders di
altissimo livello. Ci sono ormai le avvisaglie concrete di un possibile attacco “tattico”
all’Iran 16: se così fosse, non si dovrebbe ripetere l’errore compiuto con Saddam Hussein,
lasciato solo nel momento in cui le Nazioni Unite lo pugnalavano alle spalle. Purtroppo il
sionismo sfrutta tutti i contrasti possibili, è pronto a sostenere entrambi i fronti di una
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16 Vedi le notizie di metà marzo, su un attacco israeliano in Sudan contro un convoglio di armi “iraniano”
destinato a Gaza, le voci su un possibile uso di armi nucleari “tattiche” contro le centrali di Teheran, e le
dichiarazioni che la stessa stampa israeliana ha attribuito a fonti governative, circa la determinazione del
nuovo governo Nethanyau di voler colpire i nemici “vicini e lontani” dello Stato ebraico. Lo stesso governo
come noto ha giurato “fedeltà” alla “pace” di Oslo: ma al di là della promessa assai poco credibile, l’Iran è
fuori di quella mai realizzata “road map”.
guerra (ad es. nella guerra civile del Congo-Brazzaville) pur di indebolire i suoi nemici, ed è
capace di seminare o sfruttare odi profondi e pluridecennali fra le comunità religiose e
etno-nazionali, pur di dominare. Ma la risposta dovrebbe essere una sola: la politica e la
solidarietà innanzitutto.
La seconda riflessione riguarda il raccordo possibile della nuova “internazionale”
interstatuale (che giunge a proiettarsi ormai fin nell’America latina: tanti erano i delegati
sudamericani a Beirut e a Teheran) con i movimenti di opinione antisionisti e pro
palestinesi diffusi in tutto il mondo, secondo quanto abbozzato già nella conferenza di
Beirut. Ma esistono su questa strada diversi problemi, il principale dei quali è la
superficialità ideologistica di una parte della protesta anti israeliana nel mondo
occidentale: l’ostacolo è il “movimentismo” fuori tempo e fuori luogo che disprezza il
momento statuale della conflittualità internazionale, per rifugiarsi solo nelle “masse” e nei
“popoli” senza altra leadership “legittima” che quella identica a all’identikit ideologicoculturale
del militante pacifista occidentale. Fra tutti, prendo un esempio proprio dai
giorni di Beirut, l’intervento di Moreno Pasquinelli del Campo antiimperialista, il quale se
ne è uscito con una battuta folle e reazionaria allo stesso tempo: “They are ready to fight”
ha detto. Chi sarebbero “pronti a combattere”? Gli immigrati musulmani in Occidente.
Pasquinelli da intelligentissimo furbo-cretino qual è non ha posto dei paletti precisi alla
volontà “to fight” degli immigrati, né ha voluto specificare le modalità di tale “battaglia”,
probabilmente per solleticare le aspettative di chi, nel vasto pubblico, aveva ragione di mal
sopportare il “libero” e “democratico” Occidente che bombarda e fa bombardare senza
pudore il Medio Oriente almeno dal 1991. Ma così facendo ha cominciato a danneggiare
alla radice la solidarietà internazionalista attorno ai combattenti (veri) di Hezbollah,
Hamas o iracheni, esattamente come ha fatto anni fa nei confronti della resistenza
baathista irachena: con il suo stupido e depistante “antiamericanismo” post- 2003, con il
rifiuto di difendere veramente Saddam Hussein come legittimo Presidente dell’Iraq
occupato, e con il lavorìo ai fianchi della stessa resistenza baathista a vantaggio di un tal
Al-Kubaysy, in tutta Italia scorazzato leader del movimento del 2 di briscola
“antiimperialista”. Semplicemente fessa fu quella linea di Pasquinelli, vero e proprio
pendant “rivoluzionario” dell’aggressione angloamericana e sionista all’Iraq del 2003 17,
non a caso amplificata a dismisura da Magdi Allam e da Feltri, che mai si sarebbero
aspettati simili gustosi piatti pacifisti da offrire in pasto alla loro ringhiosa e razzistoide
“opinione pubblica”.
Oggi il Nostro si ripete: mentre ancora pensa da marxleninista doc che Israele è solo una
“pedina” dell’imperialismo americano in Medio Oriente a fini di controllo delle risorse
petrolifere, il leader del Campo vorrebbe scatenare un conflitto in Europa fra musulmani
islamici e paesi ospiti: lui pensa “leninisticamente” ai governi occidentali (i “comitati
d’affari” di una “borghesia” tutta eguale e monocorde: tranne quel banchiere “intellettuale”
che pubblicò sulla rivista del “Campo”, un articolo pro-noglobal, vero Moreno?) ma nei
fatti, se non lo ha capito speriamo che ci rifletta su e comprenda bene, lo scontro sarebbe
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
17 A parte il ruolo evidentissimo dei neocons e del Mossad nello spingere il debole Bush jr., fin dal 2001,
verso la guerra del 2003, fu Saddam Hussein a accusare nella conferenza stampa improvvisata del 20 marzo
di quell’anno, teletrasmessa in Italia dal TG1 con traduzione simultanea, “americani, inglesi, e dietro di loro il
maledetto sionismo” dell’invasione subita dal suo paese.
con i proletariati europei: i quali non credono più da tempo alle belle favole dei sociologi
dell’ “immigrazione facile” e alle dabbenaggini buoniste di Prodi, Veltroni e Ferrero, e
pensano giustamente che l’immigrato con la sua disperazione e il suo bisogno di sfamarsi
ha ridotto i loro spazi di occupazione e di salario dignitoso, per di più gravando sulle loro
tasche anche per quel che riguarda la case e i servizi sociali. Ma Pasquinelli a questo
evidentemente non pensa: si diverte piuttosto a inalberare principi astratti di solidarietà
che finiscono per essere vere e proprie bombe destabilizzanti l’unità delle “masse” dei paesi
che vorrebbe “rivoluzionare”. So quel che adesso dico: è stato probabilmente assai più
rivoluzionario l’agente dei servizi segreti italiani Calipari, assassinato dal soldato
“israeliano” Lozano forse per i suoi contatti con la stessa resistenza baathista e con la Siria,
che non Moreno Pasquinelli, promotore di manifestazioni “antiimperialiste” comprensive
di sigle alternativamente iperbombarole e per i “diritti civili” (è il caso di una delle
organizzazioni siriane aderenti a una dimostrazione del Campo, anno 2004).
La Corte Penale Internazionale e il meccanismo di elezione dei giudici
Questo va detto, per quel che mi riguarda, anche per definire i confini della sacrosanta
solidarietà italiana con i movimenti di liberazione iracheno, afghano, libanese e
palestinese: nessun governo e leader politico del mondo arabo e islamico può pensare che
sia giusto e utile alla causa comune, spalancare le porte dell’Italia e dell’Europa a una
immigrazione senza regole, islamica e non. La vera solidarietà e la vera soluzione del
fenomeno migratorio postbipolare consiste nel bloccare le guerre criminali
dell’imperialismo e del sionismo in tutto il Mediterraneo – a ogni guerra sono seguite
ondate migratorie verso l’Italia e l’Europa dalle zone colpite dal conflitto – e rilanciare un
ordine economico internazionale (quello proposto nel lontano 73, in tutt’altra epoca, dal
vertice non allineato di Algeri del 73) e una cooperazione internazionale equa, atta a
rilanciare lo sviluppo nelle regioni più emarginate dell’Africa, del Medioriente e dell’area
mediterranea. In q uesto senso va peraltro l’accordo storico fra Italia e Libia, siglato da
Berlusconi ne Gheddafi.
Infine la terza considerazione, quella più importante, riguarda il caso specifico della Corte
Penale Internazionale sollevato da Gheddafi: la dottrina giuridico-internazionalista ha
rovesciato fiumi di inchiostro per commentare lo storico evento del 2002, ed è impossibile
sviscerare in questa sede tutte le questioni sollevate. Ma c’è un dato sicuramente
importante che non mi pare sia mai stato sollevato dagli esperti: e cioè le modalità di
nomina dei giudici della Corte Penale Internazionale, indicate dall’art. 36 del suo Statuto:
“art. 36. La Corte non può annoverare più di un cittadino dello stesso Stato. A tale
riguardo una
persona che può essere considerata come cittadina di più di uno Stato sarà considerata
cittadino dello Stato in cui esercita abitualmente i suoi diritti civili e politici.
8.a) Nella scelta dei giudici gli Stati parti tengono conto della necessità di assicurare
nella
composizione della Corte:
i) la rappresentanza dei principali ordinamenti giuridici del mondo;
ii) un'equa rappresentanza geografica;
iii) un'equa rappresentanza di uomini e donne” …”
L’esperienza pratica della “giustizia internazionale” postbipolare insegna che questi criteri
di selezione fondati sulle sole nazionalità e appartenenza statale non bastano più, né
bastano i correttivi solamente geografici, o di genere o per ordinamenti giuridici di
provenienza. C’è un ulteriore criterio da prendere in considerazione, più importante che
mai nella fase storica della cosidetta globalizzazione: quella dell’appartenenza religiosaculturale,
di cui la “rappresentanza geografica” costituisce un rimedio solo parziale.
E’ evidente infatti che una sovraesposizione del continente europeo o della regione
mediorientale come aree geografiche di provenienza comporterebbe in modo quasi
meccanico, soprattutto nel secondo caso, una Corte composta da giudici di origini religiose
(che siano o no praticanti) consimili, musulmane o cristiane. Ma questo filtro non è utile
per la terza religione del Libro, l’ebraismo, per il semplice motivo che attraverso le
comunità della cosidetta diaspora gli ebrei sono presenti nella gran parte dei paesi del
pianeta e oltretutto sono più adusi storicamente – a causa delle persecuzioni subite e/o
delle loro strategie di dominazione sui paesi ospiti – a celare con il laicismo, col cristianosionismo,
o con il giudeocristianesimo, la loro identità culturale profonda.
Dunque è ben possibile il caso di una Corte costituita nel pieno rispetto dell’art. 36 (18
giudici provenienti da 18 stati, a loro volta ponderati proporzionalmente secondo
provenienza “geografica”, di genere o di ordinamento giuridico) che sia ben fornita di
magistrati culturalmente legati all’ebraismo sionista e alle sue molteplici sfaccettature. E’
quello che sembra essere accaduto a tutta la giustizia internazionale postbipolare: è
“finlandese” Mose, il Presidente del Tribunale per il Ruanda: perché il suo Tribunale si è
accanito solamente contro i nemici del filoisraeliano Kagame? Si chiama David Crane il
procuratore “americano” del Tribunale della Sierra Leone, che ha spiccato il mandato di
cattura contro Charles Taylor: perché questa espansione (di dubbia legittimità dentro i
confini già dubbi dello stesso Tribunale ad hoc) della giurisdizione della Corte per la Sierra
Leone, fino a colpire un altro nemico di fatto di Israele e del sionismo? Si chiama Philippe
Kirsch il Presidente della Corte che ha accolto l’istanza di warrant arrest del suo compare
(anche lui ebreo?) Luis Moreno-Ocampo, proprio il 4 marzo, mentre a Teheran, nella
conferenza già citata, si discuteva degli orrori di Gaza e della richiesta di incriminazione di
Israele per crimini di genocidio. Si potrebbe continuare con la lista della lobby della
giustizia internazionale postbipolare: non c’è uno dei grandi nomi che sono circolati per le
aule dell’Aja o di Arusha dagli anni Novanta ad oggi che non sia in odore di pseudolaicismo
e “diritti umani” in salsa israeliana, vale a dire, per fare un esempio: si agli espliciti moniti
contro il governo italiano che giustamente vuole bloccare l’immigrazione clandestina, ma
silenzio assordante nei confronti di Israele, lo stato più razzista e violatore del diritto
internazionale dai tempi di Hugo Grotius in poi.
Solo ora, la macchina dell’inchiesta contro Israele sembrerebbe essere in procinto di
attivarsi: troppo tardi per dare credibilità a questa Corte Penale Internazionale, un
Tribunale che in Africa rappresenta appena 30 stati su 56 e il cui Procuratore generale ha
un mandato lungo ben 9 anni secondo Statuto. Ha ragione Gheddafi. E forse bisognerebbe
pensare, in un Tribunale simbolico, a processare non solo Israele ed il suo esercito
aguzzino (le sado-talmudiche dello Tshalal) ma anche quei magistrati faziosi e silenti che
ne hanno coperto le nefandezze dal 2002 ad oggi.