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Quel che verrà dalla crisi

di Giovanni Petrosillo - 09/04/2009

 

 

Dal vertice del G20 di Londra sono emerse due sole certezze sulla crisi sistemica globale:

La vera natura della stessa resta sconosciuta ai Grandi della Terra
Quest’ultimi non sanno assolutamente come venirne fuori
Detto altrimenti, la crisi farà il suo corso, contro di essa verranno alzate barricate di provvedimenti inutili, almeno fino a quando il “crollo dell’edificio” non costringerà i diversi paesi ad agire ciascuno di testa propria.

Il fatto che da questi vertici si esca con una quasi unanimità d’intenti costituisce un dato assolutamente negativo, poiché, com’è noto, laddove mancano le contraddizioni mancano anche le idee e il coraggio. E la concordia ostentata dai leaders mondiali conferma la generale assenza di audacia che ha pervaso il G20, soprattutto da parte di chi dovrebbe mobilitarsi, sin da ora, per un necessario mutamento di rotta. 

Ma il cambio di passo non viene perseguito proprio perché ad esso si associa un inevitabile incremento delle tensioni geopolitiche che metterà senz'altro in discussione i rapporti di forza sui quali è attualmente fondato l’impianto egemonico globale.

Fare la voce grossa contro gli Usa non è cosa semplice, in primo luogo perché questi restano un polo di influenza (economica, culturale, politica) intatto; in secondo luogo perché gli statunitensi detengono un’indiscussa supremazia militare con la quale sono in grado di far saltare qualsiasi piano di ridefinizione delle relazioni geopolitiche tra nazioni senza doverle colpire direttamente (cosa del tutto impensabile in questo momento storico), semplicemente seminando il caos alle loro porte (Russia docet).

Tutto ciò ostacola i progetti dei paesi che aspirano a rinquadrare la propria posizione strategica in un contesto globale che li vedrebbe meglio collocati. Innanzitutto, alcuni tra i principali Stati europei dovrebbero iniziare a gettare le basi del cambiamento, raccogliendo le forze necessarie allo scopo. Non affrontare in tempi rapidi il problema equivale ad accettare un preventivo suicidio politico. Considerato che la crisi si scatenerà dapprima negli anelli più deboli della catena occidentale, per poi toccare tutti gli altri, dovrebbero essere proprio nazioni come l'Italia ad accelerare il processo. Chi prevede che la crisi travolgerà in primis gli Usa non ha capito un granché della dinamiche che l’hanno attivata. Quando entreremo nella fase più acuta della debacle sistemica mondiale le nazioni meno preparate si troveranno a fronteggiare un pericolo gravissimo di scollamento sociale, un bellum omnium contra omnes, che metterà a serio repentaglio la tenuta della loro unità nazionale. A questo punto i tempi per correre ai ripari si saranno esauriti.

Chi si trastulla accarezzando balzane idee di rivoluzione planetaria, quale prodotto del disfacimento degli attuali assetti capitalistici, si renderà presto conto di quanto ferale possa essere il risveglio dai propri sogni. Bisogna, invece, essere ben vigili e realisti guardandosi anche indietro (a quel che è già successo in altre epoche) al fine di evitarsi ulteriori brutte sorprese. I sognatori utopistici, i messaggeri della calda comunità umana e tutti gli altri inquinatori del pensiero critico siano presto banditi dal consesso di chi vuol mettersi al lavoro seriamente per anticipare le “trazioni” alle quali la storia si sta nuovamente predisponendo.

Siamo di certo ad un tornante della stessa, quello della formazione sociale occidentale a dominanza americana che è entrata in pieno declino. Ciò che accadrà non è deterministicamente scritto nel destino, e questo vale tanto per i dominanti che per i dominati.