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La politica nascosta di Hollywood: gli interessi dei suo padroni

di Matthew Alford e Robbie Graham - 21/04/2009

Tom Cruise, “la celebrità più influente del mondo” secondo la rivista Forbes, è stato licenziato senza tante cerimonie nel 2006. Il suo allentamento è stato particolarmente shockante, perché non è avvenuto per mano del suo diretto datore di lavoro, la Paramount Studios, ma dall’azienda proprietaria della Paramount, la Viacom. Sumner Redstone, l’amministratore delegato della Viacom, noto per la sua irascibilità, e proprietario di una lunga lista di mass media, tra i quali CBS, Nickelodeon, MTV, e VH1, ha dichiarato che Cruise ha commesso un “suicidio creativo” tramite una serie di iniziative pubbliche folli. Si tratta di un caso degno della serie tv “The Practice”(1).

La vicenda che ha coinvolte Ton Cruise fa capire che i meccanismo che dirigono Hollywood non sono determinate completamente dai desideri del pubblico, come ci si potrebbe aspettare, e nemmeno indirizzati a soddisfare le esigenze dei creativi degli “studios”, nemmeno quando questi ultimi ne sono i proprietari. Nel 2000, l’Hollywood Reporter ha pubblicato una lista delle 100 personalità più influenti del settore degli ultimi 70 anni. Rupert Murdoch, capo della News Corporation, che controlla la Twentieth Century Fox, risultava la figura vivente più potente. Con la sola eccezione di Steven Spielberg (al terzo posto), nessun artista compare nella lista.
Ogni compagnia influente di Hollywood (gli “studios”) attualmente sono di proprietà di multinazionali più grandi; quindi, non sono aziende indipendenti o che conducano affari in modo separato dagli settori, ma sono solamente una fonte di guadagno facente parte dell’attività della casa madre che ne sono proprietarie. Gli “studios” e le sue proprietarie sono: Twentieth Century Fox (News Corp), Paramount Pictures (Viacom), Universal (General Electric/Vivendi), Disney (The Walt Disney Company), Columbia TriStar (Sony), e Warner Brothers (Time Warner).
Le multinazionali proprietarie sono tra le più ricche e potenti del mondo, e sono normalmente dirette da avvocati e da dirigenti di banche di investimento(2). Molto spesso, i loro interessi economici coinvolgono settori legati al mondo della politica, come l’industria delle armi, e quindi tendono a schierarsi dalla parte del governo in carica al momento, per ottenere favorevoli provvedimenti legislativi e finanziari.
Come evidenziato da Ben Bagdikian, un giornalista vincitore del premio Pulitzer, in passato, gli uomini e le donne, che possedevano i media potevano essere contenuti in una “sala da ballo di un modesto albergo”; oggi, i proprietari (tutti maschi) possono tranquillamente essere contenuti in una “grande cabina telefonica”. In realtà, avrebbe potuto aggiungere che personaggi come Rupert Murdock o Sumner Redstone, non sceglierebbero mai una “grande cabina telefonica” per incontrarsi; ma, preferiscono scegliere lussuosissimi posti come il “Sun Valley” nell’Idaho per riunirsi e stabilire e perseguire i propri interessi collettivi.
Ovviamente, non si può dire che i contenuti di ogni film degli “studios” siano interamente determinati dagli interessi economici e politici delle multinazionali loro padrone. Normalmente, un amministratore degli studios gode di una certa libertà nel realizzare un film come ritiene più opportuno, senza subire le ingerenze dei suoi veri padroni; però, in generale, i contenuti dei film prodotti a Hollywwod rispecchiano gli interessi corporativi più ampi delle multinazionali padrone degli “studios”, le quali, alcune volte, incidono direttamente sulla realizzazione di alcune pellicole. E’ in corso una battaglia tra forze che vanno “dall’alto verso il basso” e altre che vanno “dal basso verso l’alto”; il problema è che i mass media e il mondo accademico si occupano solo di queste ultime, tacendo delle prime.

Consideriamo il successo dell’anno scorso, “Australia” , di Baz Luhrmann. Due dei suoi aspetti salienti sono il sottovalutare il dramma degli Aborigeni, e, in secondo luogo, presentare l’Australia come un posto favoloso dove andare in vacanza. Non dovrebbe essere particolarmente sorprendente, visto che la proprietaria della  Twentieth Century Fox, la News Corp di Rupert Murdoch, ha lavorato insieme al governo australiano, per la realizzazione del film, perseguendo interessi comuni. Il governo ha goduto della ingente campagna promozionale turistica messa in piedi da Luhrmann, che ha compreso non solo la semplice realizzazione della pellicola, ma anche una serie di stravaganti iniziative promozionali, allo scopo propagandistico apparente, di favorire il programma di conciliazione con gli Aborigeni. In cambio, il governo australiano ha concesso al suo “figlio preferito” benefici fiscali per decine di milioni di dollari. Il giornale “West Australian” avanzava il sospetto che esista un “esercito giornalistico”, agli ordini di Murdoch, il quale ha il compito di assicurare che ogni recensione, pubblicata sugli organi del suo impero, abbia lo stesso tenore di quella apparsa su “The Sun”: “un raro esempio di intrattenimento vecchio stile”, talmente ben fatto che il giornalista è stato tentato di “andare subito nella più vicina agenzia di viaggi”.

Ci sono precedenti storici di siffatte interferenze. Nel 1969, Haskell Wexler- direttore della fotografia del film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”-  ha avuto non poche difficoltà a far produrre il suo film “America, America, dove vai?”, a causa della sua partecipazione alla manifestazione contro la guerra, durante la Convention dei Democratici, l’anno precedente. Wexler afferma di possedere documenti di “Libertà di informazione”, secondo i quali, la sera della prima del film, il Sindaco di Chicago, Richard J. Daley, insieme a alte personalità del Partito Democratico, hanno avvertito la “Gulf and Western”, allora proprietaria della Paramount, che se “America, America, dove vai?” fosse uscito nelle sale, alcuni benefici fiscali concessi alla società sarebbero stati annullati. “Solamente un pene duro non ha coscienza”, ha dichiarato infuriato Wexler, riferendosi ai capi del sistema di Hollywood, “ e questi signori non ne hanno”.
Wexler ha spiegato come questo piano dei poteri forti fu messo in atto senza attirare l’attenzione dell’opinione pubblica: “La Paramount mi chiamò e mi disse che mi sarei dovuto dissociare dalle persone nel parco (i contestatori), cosa che rifiutai di fare. Dissero che se la gente, dopo aver visto il mio film, uscendo dai cinema, si fossero lasciati andare a forme di violenza, la Paramount sarebbe stata ritenuto responsabile”. Nonostante la Paramount decise di mettere il film sul mercato, si ottenne che venisse riservato a un pubblico maggiorenne, che venisse poco pubblicizzato, e venne vietato a Wexley di partecipare ai festivals. Queste strategie difficilmente fanno guadagnare soldi con un film, ma sono molto efficaci nel preservare gli interessi occulti dei poteri forti.

Poi c’è stato un caso ancora più famoso, riguardo il film “Fahrenheit 9/11”(2004), il blockbuster di Michael Moore, del quale la Walt Disney ha cercato di ostacolare l’uscita nelle sale, nonostante il grande successo che ottenne tra un pubblico campione. La Miramax, controllata dalla Disney, ha insistito sul fatto che la compagnia madre non avesse il diritto di impedirne l’uscita, dal momento che il costo di produzione era nettamente inferiore ai limiti imposti dalla Disney stessa. I legali di quest’ultima risposero che avevano il diritto di porre il veto su qualunque film della Miramax la cui distribuzione fosse palesemente contrario ai suoi interessi. L’agente di Moore, Ari Emanuel, ha affermato che il boss della Disney, Michael Eisner, disse che doveva intervenire a causa di forti pressioni politiche da parte dei conservatori, i quali minacciavano di tagliare le agevolazioni fiscali a favore della Disny in Florida, nello specifico quelle a favore del Walt Disney World, dove il Governatore era il fratello del Presidente degli Stati Uniti, Jeb Bush.
La Disney è anche legata alla Famiglia Reale Saudita, che veniva descritta sfavorevolmente dalla pellicola: un importante membro della famiglia, Al-Walid bin Talal, possiede molte azioni di Eurodisney, ed è stato fondamentale nel salvataggio del parco di divertimenti in grave crisi finanziaria. La Disney ha sempre negato pressioni politiche dall’alto, affermando di essere unicamente preoccupata di essere coinvolta in “processi per risarcimenti danno”, che avrebbero allontanato il pubblico dalle sale.

La Disney ha costantemente infarcito i suoi film di messaggi a favore dell’establishment, in particolar modo in quelli prodotti dalla Hollywood Pictures e dalla Touchstone Pictures, anche se la biografia di Nixon, girata da Oliver Stone nel 1995, rappresenta una notevole eccezione. Molte pellicole hanno goduto di generosi aiuti da parte del governo degli Stati Uniti: i film “In the Army now”(1994), “Allarme rosso”(1995) e “Armageddon”(1998), godevano dell’appoggio del Pentagono; così come “Bad company”(2002) e “La regola del sospetto”(2003) usufruivano di quello della CIA. Nel 2006, la Disney lanciava il serial televisivo “11 Settembre- Tragedia annunciata”, che mirava a scagionare completamente l’amministrazione Bush, accusando quella di Clinton, per gli attacchi terroristici, tanto da causare lettere di protesta da parte del Segretario di Stato, Madeline Albright, e del Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Sandy Berger, del governo Clinton. Si capiscono le posizioni della Disney, una volta che si considerano gli interessi degli alti dirigenti della multinazionale. Storicamente. La Disney ha sempre avuto stretti rapporti con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, e lo stesso Walt era un feroce anti-comunista (stando ai documenti su di lui si può dire che fosse un informatore della FBI, mentre la teoria che lo definisce un fascista è basata più su supposizioni). Negli anni ’50, le multinazionali e gli sponsor governativi aiutarono la Disney a realizzare films che promuovessero la politica del Presidente Eisenhower, “Atomi per la pace”, come il famigerato documentario “Duck and Cover”, che insegnava alle scolaresche a proteggersi da un attacco nucleare nascondendosi sotto i banchi di scuola. Anche oggi, uno dei membri anziani del Consiglio di amministrazione della Disney è John E. Bryson, che è anche un dirigente della compagnia Boeing, una delle aziende di aeronautica e di difesa del mondo. La Boeing ha ottenuto appalti, da parte del Pentagono, per 16.6 miliardi di dollari, per forniture necessarie in seguito all’invasione dell’Afghanistan(3). Questo è una motivazione abbastanza convincente per far sì che la Disney non produca film critici verso la politica estera di Bush, come “Fahrenheit 9/11”.

Visti i precedenti, difficilmente si rimane sorpresi di fronte al fatto che la Disney abbia prodotto un film come “Pearl Harbour”, nel 2001, un semplicistico film dal budget spaventoso, realizzato con la totale cooperazione del Pentagono, volto a celebrare il nazionalismo americano, risorto dopo il “giorno dell’infamia”, infatti, è stato accolto con una certa dose di freddezza dai critici. Inaspettatamente, nonostante le critiche poco lusinghiere, la Disney, nell’agosto 2001, decise di ampliare il periodo di lancio del film, dai 2-4 mesi a 7 mesi, facendo sì che questo film pensato per il periodo estivo, rimase nelle sale fino a dicembre; inoltre, la Disney decise di aumentare il numero di cinema dove proiettare la pellicola, passando da 116 a 1.036. A seguito dell’ 11 settembre, i guadagni di Pearl Harbour salirono vertiginosamente.

Mentre film come “Australia” e “Pearl Harbour” hanno ricevuto questi trattamenti di favore, altri film maggiormente “pericolosi” sono stati spesso gettati nel dimenticatoio cinematografico. E’ questo il caso di “Salvador”(1986) di Oliver Stone, un’esposizione cinematografica della guerra civile avvenuta in Salvador, attraverso l’esposizione sincopata in cui venivano mostrate le gesta dei guerriglieri comunisti e contemporaneamente venivano lanciate esplicite critiche alla politica estera degli Stati Uniti, condannando l’appoggio statunitense alla giunta militare salvadoregna, famosa per i suoi squadroni della morte. La pellicola di Stone fu rifiutata dai maggiori studios di Hollywood, uno dei quali l’ha definita “un lavoro odioso”, nonostante i lusinghieri giudizi della critica. Alla fine, il film venne finanziato da investitori messicani e britannici, riuscendo però a godere di una distribuzione limitata. Altri documentari controversi recenti, come “Loose Change”(2006/2007)(*), che definiva l’11 Settembre come un “affare interno”, oppure “Zeitgeist”(*1)(2007), che fornisce uno scenario terrificante dell’economia globale, sono stati visti da milioni di persone nel mondo, grazie a Internet, unica realtà dove non possono essere modificati o bloccati(4).

Le posizioni della Universal Studios, ultimamente, sono state di forte sostegno all’impero statunitense, come dimostrano film come “I figli degli uomini”(2006), “Jarhead”(2005), e “The Good Shepherd (2006); inoltre, con film del genere di “U-571”(2000), o “La guerra di Charlie Wilson”(2007), risulta evidente la tutela degli interessi della proprietaria della Universal, la General Electric(GE), la quale fa affari d’oro nel settore degli armamenti e nella produzione di elementi fondamentali per le armi altamente tecnologiche, così come nella tecnologia per la vigilanza, e nella realizzazione di hardware utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, settori che hanno guadagnato moltissimo nell’Iraq post-Saddam. Il consiglio di amministrazione della GE ha rapporti molto stretti con organizzazioni liberiste, come la Rockefeller Foundation. Se “liberiste” potrebbe suonare come termine positivo, in rapporto al conservatorismo di Bush, in realtà queste organizzazioni servono a tutelare gli interessi delle elites di potere, le quali sono spesso state le menti grigie dell’interventismo in politica estera, compreso il caso della guerra in Vietnam. Questi gruppi si sono spesso alleati con i conservatori su alcuni temi specifici, soprattutto per la sicurezza nazionale; quindi, non deve sorprendere il fatto che la GE sia stata vicina all’amministrazione Bush, sia tramite il precedente consiglio di amministrazione, sia con quello attuale. Jack Welch (amministratore delegate dal 1981 al 2001) dichiara apertamente il suo disprezzo verso “il protocollo, la diplomazia e la mediazione”, ed è stato accusato dal Deputato della California, Henry Waxman, di indebite pressioni nei confronti della sua rete televisiva, la NBC, affinché proclamasse prematuramente vincitore Bush, nelle “elezioni truccate” del 2000, giungendo in sala stampa e dandone l’annuncio, quando era ancora in corso lo spoglio delle schede. Il successore di Welch, e attuale amministratore delegato, Jeff Immelt, è un noto neocon ed è stato un generoso finanziatore della campagna per la ri-elezione di Bush.

Il caso più eclatante che riguarda la GE/Universal è quello relativo al film “United 93”(2006), spacciato per il “vero racconto” di come i passeggeri di quel volo “fecero naufragare i piani dei terroristi” l’11 Settembre, facendo abbattere il veivolo nelle campagne della Pennsylvania. Anche se il film ha avuto un ritorno economico, soprattutto in confronto al piccolo investimento richiesto, è stato accolto dal pubblico con apatia e ostilità, ancor prima della sua uscita nazionale. All’epoca, la versione ufficiale di Bush sull’11 Settembre cominciava a sollevare parecchi dubbi presso i mass media indipendenti: secondo il risultato di un sondaggio effettuato da Zogby, nel 2004, metà dei newyorchesi ritenevano che “i leaders statunitensi avevano tutte le possibilità di evitare gli attacchi terroristi, ma hanno volutamente evitato di intervenire”, e, appena un mese prima dell’uscita del film, l’83% degli intervistati dalla CNN affermavano il loro convincimento che “il governo degli Stati Uniti stava coprendo la verità sugli attacchi dell’11 Settembre”. Con la versione ufficiale sotto il fuoco della critica, l’amministrazione Bush ha accolto l’uscita di “United 93” a braccia aperte: il film rappresenta la trasposizione cinematografica della versione fornita dal “Documento della Commissione sull’11 Settembre”, con “sentiti ringraziamenti” all’uomo di collegamento tra Hollywwod e il Pentagono, Phil Strub, citando con discrezione nei titoli di coda. Poco dopo la prima nazionale del film, avvenne un fatto, che può essere interpretato come una cinica strategia di promozione del film, oppure come un gesto di approvazione ufficiale: il Presidente Bush organizzò una visione privata con i famigliari di alcune vittime, alla Casa Bianca(5).

Il film “Munich”(2005) della GE/Universal- il racconto di Steven Spielberg della vendetta israeliana in seguito all’attentato palestinese, avvenuto alle Olimpiadi di Monaco del 1972- ha avuto una storia simile. Nonostante che la “Organizzazione Sionista Americana” avesse chiesto di boicottare il film, perché metterebbe sullo stesso piano Israele e i terroristi, questa lettura risulta poco convincente. Di fatto, al momento in cui il film uscì nelle sale, alcune frasi della propaganda si vennero stampate nella mente della gente, grazie al lavoro delle “Forse Speciali” israeliane: “Ogni civiltà ha sempre dovuto scendere a patti con i propri valori”, “Uccidiamo per il nostro futuro, uccidiamo per la pace”, “Non rompete i coglioni agli Ebrei”. Probabilmente, Israele è uno dei clienti più fedeli della GE, visto che ha comprato da lei i missili laser “Hellfire II”, i sistemi di propulsione per i caccia “F-16 Falcon”, i caccia “F-4 Phantom”, gli elicotteri da guerra “H-64 Apache”, e l’elicottero “UH-60 Black Hawk”. Per la tutta la durata di “Munich”, ben 167 minuti, la voce della causa palestinese, è ridotta a due minuti di un dialogo semplicistico. Piuttosto che come “un accorato grido di pace”, come lo ha definito il Los Angeles Times, “Munich” della General Electric è più semplicemente interpretabile come un subdolo film di propaganda prodotto da una multinazionale per appoggiare gli interessi di un suo fedele cliente.

La major più “liberal” di questi ultimi anni è stata la Warner Bros., la quale ha prodotto: “JFK”(1991), “Il gigante di ferro”(1999), “South Park: Bigger, Longer and Uncut (1999), “Good Night and Good Luck” (2005), “V per Vendetta”(2005), “A Scanner Darkly, un oscuro scrutare” (2006), “Redention, detenzione illegale”(2007), “Nella valle di Elah”(2007). E’ indicativo che dopo le accuse di utilizzare stereotipi razzisti, nel film d’avventura “Decisione critica”(1996), realizzato con Pentagono, la compagnia abbia preso la decisione di servirsi del lavoro di Jack Shaheen, come consulente sulle tematiche razziali, per quello che è stato giudicato il film migliore del suo genere, “Three Kings”(1999)(6). Sarà una coincidenza, ma la proprietaria della Warner Bros., la Time Warner, è meno legata all’industria delle armi e agli ambienti conservatori.

Per avere un’idea di cosa succede ai film, quando non ci sono di mezzo gli interessi delle multinazionali, consideriamo il caso del distributore indipendente “Lions Gate Films”, che pur facendo parte del sistema capitalista (si è costituito in Canada coi soldi di banche di investimento), non è di proprietà di multimiliardarie multinazionali con interessi nei settori più variegati. Oltre a una serie di pellicole di azione e politicamente vaghe, la “Lions Gate” ha anche messo sul mercato un gruppo di film tra i più coraggiosi e originali del panorama del cinema americano degli ultimi dieci anni, in cui viene criticato il peso delle multinazionali negli Stati Uniti (“American Psycho”, 2000), la politica estera di Washington (“Hotel Rwanda”, 2004), il mercato delle armi (“Lord of War”, 2005), il sistema sanitario statunitense (“Sicko” di Michael Moore, 2007) e il sistema politico statunitense in generale (“USA contro John Lennon”, 2006).

In conclusione, risulta evidente che Hollywood è guidata dal desiderio di guadagnare denaro, piuttosto che da intenzioni artistiche. In considerazione di questo, sempre più spesso nei film vengono pubblicizzate merci di vario genere: giocattoli, automobili, sigarette, armi (si pensi alla citazione della Boeing in “Iron Man” del 2008). L’aspetto che risulta meno evidente, e che solitamente viene meno indagato, è quello relativo all’influenza che le multinazionali padrone degli studios esercitano sul cinema, sia a livello sistemico che delle singole pellicole. La nostra speranza è che la critica sposti la sua attenzione sui veri produttori di questi film, per spiegarne il contenuto e, alla fin fine, rendere possibile al pubblico di prendere decisioni informate su quali pellicole andare a vedere. Mentre mangiucchiamo i nostri popcorn, sarebbe meglio che tenessimo a mente che dietro la magia del cinema, ci sono i maghi delle multinazionali.

Matthew Alford è l’autore del libro di prossima pubblicazione “Projecting Power: American Foreign Policy and the Hollywood Propaganda System”.

Robbie Graham è Professore associato di Storia del cinema allo Stafford College

Note:
1) Da ricordare che Tom Cruise ha dichiarato il suo amore per Katie Holmes, mentre rimbalzava su e giù da Oprah (il talk show, non la persona)
2) La classica delle società più ricche, stilata dalla rivista Fortune nel 2008, vedeva la General Electric al 12°  posto, con un fatturato di 176 miliardi di dollari. La Sony era alla posizione 75, la Time Warner alla 150, la Walt Disney Company alla 207, e la News Corp alla 280. Per avere un termine di paragone, la Coca Cola era alla posizione 403.
3) Cosa interessante, secondo Mark Crispin Miller su “The Nation”, l’amministratore delegato della Disney, Michael Eisner, in prima persona, allo show “Bill Maher's Politically Incorrect”, dopo che un ospite commise il “peccato mortale” di affermare che l’utilizzo che gli Stati Uniti fanno dei missili “Cruise” è più vile degli attacchi dell’11 Settembre, convocò “Maher per una riunione riservata, nel suo ufficio”.
4) Un caso meno evidente, ma non per questo meno intrigante, è quello dell’influenza politica/economica sulla distribuzione del film fantascientifico “Essi vivono”(1988) di John Carpenter, che avvertiva il mondo sui pericoli di un’invasione da parte di alieni alleati col sistema politico americano. Il film fu ben accolto dalla critica (tranne le rilevanti eccezioni del New York Times e del Washington Post) e balzò in testa alle classifiche del botteghino. Rientrò del modesto investimento richiesto (4 milioni di dollari) già nel primo weekend di programmazione, e, anche se dopo la seconda settimana era sceso al quarto posto, incassava altri 2.7 milioni di dollari. La casa di distribuzione, la Universal Pictures, pubblicò un inserzione pubblicitaria, durante la programmazione, che mostrava un alieno scheletrico sopra un palco, con giacca e cravatta, con un ciuffo di capelli, simile a quello di Dan Quayle, l’appena eletto Vice-Presidente degli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali si erano tenute pochi giorni prima, l’8 novembre. Il co-protagonista del film, Keith David, osservò a riguardo: “Non per essere paranoici, ma da quel momento, non lo si poteva vedere (il film) più da nessuna parte- era come se fosse stato cancellato”.
5) Altrove abbiamo affermato che esponenti della Universal avevano partecipato alla proiezione; ma non è vero.
6) Shaheen, in seguito, ha lavorato anche alla realizzazione di “Syriana”(2005) della Warner Bros.