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Iraq, Gli Usa verso il ritiro dalle città

di Ornella Sangiovanni - 28/04/2009


Non tutte le “truppe da combattimento” Usa lasceranno le città e i centri abitati dell’Iraq entro il 30 giugno: starebbero infatti per prendere avvio negoziati fra il governo di Baghdad e gli americani per definire possibili eccezioni: Mosul innanzitutto.

La notizia arriva dal New York Times, che cita fonti militari, sia statunitensi che irachene.

I negoziati dovrebbero iniziare oggi, ma il loro esito non è scontato. Si parla di un eventuale slittamento della scadenza del ritiro per Mosul, nel nord, dove la situazione non è affatto sotto controllo, e i livelli di violenza rimangono alti. Nel resto del Paese, invece, tutto procederebbe secondo il calendario, e in molti casi i soldati statunitensi dovrebbero lasciare i centri abitati, ritirandosi nelle loro basi, anche prima di fine giugno.

“Mosul è una delle zone in cui si potrebbero vedere le forze da combattimento Usa operare in città”, dopo il 30 giugno, anticipa al quotidiano statunitense il portavoce militare americano in Iraq, generale David Perkins.

Baghdad: Camp Victory e non solo

Ma dalle informazioni riferite dal giornale è chiaro che il ritiro Usa non sarà totale neppure a Baghdad. Qui infatti non ci sarebbero piani per chiudere il complesso di Camp Victory – cinque basi che ospitano oltre 20.000 uomini, molti dei quali fanno parte delle cosiddette “truppe da combattimento”, una definizione che già di per sé è tutt’altro che chiara.

Il motivo? Anche se dista solo un quarto d’ora d’auto dal centro della capitale irachena, e ne lambisce la periferia, funzionari del governo di Baghdad riferiscono che si è convenuto di considerarlo fuori dalla città.

E non basta. Dopo il 30 giugno resterà pure la “Base Falcon”, che di “truppe da combattimento” può ospitarne fino a 5.000. Anche questa gli iracheni l’hanno classificata come “esterna”, anche se in effetti si trova all’interno dei confini sud della città. Così non saranno necessarie eccezioni all’“accordo di sicurezza” – il cosiddetto SOFA - che Washington e Baghdad hanno firmato a fine 2008.

Se quanto riferisce il quotidiano Usa corrisponde a verità, questo significa che il ritiro degli americani da Baghdad sarà parziale. Truppe “da combattimento” del Settimo Reggimento di artiglieria da campo resteranno a Camp Prosperity, nel cuore della capitale, all’interno della cosiddetta Green Zone (nominalmente
passata sotto controllo iracheno agli inizi di quest’anno), nei pressi dell’enorme complesso della nuova ambasciata statunitense.

I loro compiti: oltre a fornire una “forza di reazione rapida”, proteggere l’ambasciata e le truppe non “da combattimento” dagli attacchi, questi soldati dovrebbero continuare a dare un supporto ai militari iracheni, che adesso hanno – nominalmente appunto – la responsabilità della sicurezza nella Green Zone.

Ad ogni modo, a negoziare i dettagli delle operazioni di ritiro e del trasferimento di basi, avamposti, etc. sarà uno dei numerosi comitati congiunti previsti dal SOFA: in questo caso il  Joint Military Operations Coordinating Committee, co-presieduto dal comandante in capo delle forze Usa in Iraq, generale Raymond Odierno, e dal ministro della Difesa iracheno, Abdul Qadir al-Obaidi.

A Maliki la parola finale

Il comitato dovrebbe riunirsi oggi, uscendo con una serie di raccomandazioni per il premier Nuri al Maliki – a cui spetta la decisione finale.

Secondo il portavoce delle forze armate irachene, generale Muhammad al-Askari, che è pure segretario della parte irachena del comitato congiunto, oggi si dovrebbe decidere anche su Mosul – una decisione che ha definito “di importanza decisiva”.

Askari ha detto al quotidiano Usa di ritenere, personalmente, che gli americani debbano ritirarsi anche da questa città, ma “è una decisione che spetta al governo iracheno e al Primo Ministro”.

Quanto a Camp Victory, secondo il generale iracheno, il complesso - del quale fanno parte le basi di Camp Victory, Camp Liberty, Camp Striker, e Camp Slayer, oltre alla struttura di detenzione nota come Camp Cropper, che ospita fra l’altro i “detenuti eccellenti” iracheni, come l’ex vice premier Tariq Aziz, e alla zona militare dell’aeroporto internazionale di Baghdad – si troverebbe a tutti gli effetti fuori città, e dunque non ricade nelle disposizioni del SOFA.

Anche la presenza di “truppe da combattimento” Usa a Camp Prosperity non rappresenterebbe un problema, “se c’è un piccolo gruppo che resterà in quella base per proteggere l’ambasciata americana”, dice Askari.

“Il significato del SOFA”- sottolinea – “è che i loro veicoli non possono andare per le strade di Baghdad e interferire col nostro lavoro”.

Contento lui. A Camp Prosperity, oltre ai militari statunitensi, ci saranno anche molti contractor e altro personale americano. Accanto, nella base chiamata Camp Union III, si stanno approntando alloggi per diverse migliaia di soldati, addetti all’addestramento, e consiglieri che lavorano per il Multi-National Security Transition Command, il comando Usa che la responsabilità dell’addestramento delle forze irachene – il cui quartier generale si trova all’interno della Green Zone.

Un cambiamento “di dottrina, non di numeri”

Per il resto, le numerose basi, avamposti, e “stazioni di sicurezza congiunte” installati nella capitale - quasi 100 al culmine della cosiddetta “surge” (la strategia dell’allora presidente Usa George W. Bush, basata sull’aumento delle truppe) - verranno tutti consegnati agli iracheni entro il 30 giugno. Anzi, per molti è già stato fatto, a sentire il generale Perkins.

Così, nelle province del nord e del centro del Paese, secondo il New York Times, i soldati statunitensi si sarebbero già praticamente ritirati da tutte le basi nel centro delle città – l’eccezione, appunto, è Mosul.

Ma la sostanza sta tutta in una frase pronunciata da un militare americano: il primo sergente David Moore, della Guardia Nazionale del New Jersey, che fa parte del gruppo che ha la supervisione della Green Zone.
 
“Quello che state vedendo non è un cambiamento nei numeri, è un cambiamento di dottrina”, ha detto Moore al giornale. “Ci saranno ancora combattenti. Ogni soldato statunitense è addestrato a combattere”.

Fonte: New York Times