Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le previsioni d'azzardo

Le previsioni d'azzardo

di Giovanni Petrosillo - 29/04/2009

 

 

Gli economisti sono sempre stati dei gran smemorati. Da ciò deriva, come sosteneva Marx, il loro immenso “buon senso” e quella sconfinata saggezza aliena alla storia con la quale essi possono affermare, senza necessità di dimostrazione, l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti.

Quando però questa armonia si interrompe e la crisi celebra le contraddizioni di tale presunto sistema naturale ogni precedente convinzione va a finire a carte quarantotto.

Di fronte a tutto ciò, gli insigni esperti della scienza economica abbandonano gli strumenti della ricerca per celebrar messa, lamentando il tradimento, da parte degli uomini indegni, di tutti i sacri ed inviolabili principi del liberismo. Dall’ideologia alla religione il passo è sempre piuttosto breve.

A turno, la colpa dello squilibrio che ha invaso i mercati deve necessariamente essere:

  1. degli speculatori senza scrupoli che truffano tanto i capitalisti laboriosi che i poveri risparmiatori,
  2. dei consumatori i quali, presi dal panico, fanno nascere la sfiducia e lasciano che la stessa si propaghi in ogni dove.

 

Eppure, al tavolo imbandito degli "approfittatori", quando della crisi non vi era sentore, erano seduti in molti e ciascuno di essi aveva parole di lode per i benefattori che dal nulla moltiplicavano pani e pesci a maggior splendor della civiltà futura.  D’improvviso, giunge il default e la scienza esatta si spappola. Con essa cadono, come fichi secchi al sole, i modelli matematici ed econometrici grazie ai quali era stata pronosticata una lunga e inarrestabile prosperità.

Orsù, è solo questione di psicologia umana. Da parte i sapienti padri dell’economia ed anche i loro figli renitenti ed un po’ oltranzisti, avanti, invece, con Freud e Martin Lutero. L’umore altalenante degli attori economici e la caduta di moralità degli uomini hanno ingracilito il sistema, ragion per cui occorre tornare sui propri passi, magari proponendo una nuova etica degli affari ed elaborando regole meno aleatorie. Passata la buriana, si bestemmierà nuovamente contro i freni inibitori delle leggi e contro lo Stato invasore che mortifica libera intrapresa e vivacità degli spiriti animali del capitale.

Insomma, la chance di tacere di fronte ai propri errori viene costantemente mancata dai professoroni che aggiungono assurdità su assurdità alle loro previsioni da strapazzo. La recensione che riporto sotto dipinge un quadro impietoso di questi economisti, i quali, in primo luogo dovrebbero imparare a tenere i conti della spesa prima di fornire ricette sull'avvenire al Paese.

 

 

QUEI BRAVI ECONOMISTI CHE NON LE AZZECCANO MAI (di Luigi Santambrogio, Fonte Libero)

 

La tesi del libro è semplice e spiccia: non fidatevi degli economisti che vi spacciano per infallibili i loro modelli matematici ma sbagliano pure i conti della spesa. Figuriamoci se erano in grado di prevenire la crisi che ha squassato prima la finanza mondiale, poi le banche e le imprese di tutto il mondo. Già dal titolo, si capisce di che parlerà li libro: "Bluff. Perché gli economisti non hanno previsto la crisi e continuano a non capirci niente". Lo edita la casa milanese Orme (126 pagina, euro 12), l'autore è Marco Cobianchi, brillante giornalista economico del settimanale Panorama. Il testo, scritto secondo uno stile easy e scoppiettante, e un’ impietosa galleria di stupidaggini (col senno di poi) dei più prestigiosi economisti italiani. Quelli che per un anno intero ci hanno rassicurato, in cima alle colonne dei grandi giornali, che potevamo stare tranquilli: la crisi era solo una fata morgana dovuta ai colpi di sole dei subprime americani. Robetta, sarebbe presto passata. Anzi, qualcuno di questi sacerdoti giunse persino a esaltare la nuova finanza dei debiti comprati e venduti a catena: così il pericolo di insolvenza veniva ripartito. Il grande vantaggio. dicevano con supponenza, è la diffusione del rischio.

Già, s’è visto come il contagio s‘e diffuso con una velocità che nemmeno il virus dell'aids in Africa ha avuto. E comunque, questi professoroni non giunsero a prevedere che questi divennero ben presto una montagna, anzi mille montagne di titoli tossici.

Per la verità, ci fu qualcuno che già nel 2007 avvertì della catastrofe incombente, venne però subissato dai fischi.

Era l’economista turco americano Nouriel Rubini, in Italia Marco Vitale, il governatore di Bankitalia Draghi e il ministro Tremonti. Gli allegri fischiatori, invece, erano nel club delle firme nobili dei giornaloni Giavazzi, Boeri, Guiso, Onado, Alesina, Vaciago e compagnia contabile. Economisti extra-strong, maître à penser, stakanovisti sopraffini, tra una cattedra in Usa e

contratti garantiti nei primi quotidiani d'Ita1ia. Sul Corriere della Sera, il Sole 24 Ore, la Repubblica raccomandavano al popolo calma e serenità. Semmai, se qualcosa non andava, se la prendessero con la politica. Sbagliarono pure questo consiglio fu Bush, infatti, a salvare le banche americane dal default.

 

CONTINUEREMOACRESCERE

Sentite cosa scriveva Francesco Giavazzi sul Corriere del4/8/2007: “La crisi del mercato ipotecario americana è seria ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata. Nel mondo l’economia continuerà a crescere rapidamente Mago Zurlì non l’avrebbe sparata così grossa. Anche gli altri non erano da meno. Luigi Zingales: “i derivati permettono di ripartire i rischi con maggiore precisione”. Alberto Alesina: “finora non è avvenuto nulla di catastrofico, né a mio parere accadrà» (Sole 24Ore 27/ 09/ 2007). Ancora un po'? Massì “Si sentono tanti allarmi, tanti bla-bla. Ma se I nostri fondamentali sono buoni, e sono buoni, che importa se per un anno ci sarà crescita zero?» (La Repubblica, 28/02/2008). Basta, per carità. Evidentemente i fondamentali mica erano tanto buoni, visto com'é andata. Facile, direte voi, dirlo adesso. Già, ma che ci stanno a fare in cattedra tanti professori di economia se dicono il contrario di quello che succede? E che dovrebbero fare quando cosi clamorosamente non ci prendono? In politica esiste la pratica delle dimissioni, poi il partito farlocco viene azzerato nelle urne. Ma gli economisti? No. loro, non si dimettono, hanno sempre una spiegazione (sbagliata) alle loro spiegazioni sbagliate.

Qualcuno, pero. ha trovato la chiave dell'inghippo. Sentite l'esimio Tito Boeri, docenza in qualche university made in Usa: per lui la colpa è “della bassa alfabetizzazione delle famiglie. Solo due terzi degli americani conosce le leggi della capitalizzazione composta, dunque sa calcolare i costi dell’indebitamento» (La Repubblica22-23/08/2007).

Giusto prof. Forse in Italia quelli che conoscono la "capitalizzazione composta" sono meno dello 0,5% della popolazione. Ma ci chiediamo: gli altri perché dovrebbero continuare a comprare il giornale dove lei scrive se non l’ha mai spiegata ‘sta accidenti di combinato-composto?

Lasciamo al lettore la malvagia e sacrosanta soddisfazione di leggere per intero tutte le stralunate uscite di questi eoonomisti d'alta caratura, il libro di Cobianchi ne offre a iosa. Forse ha ragione quel diabolico di Giovanni Sartori che nell'ottobre scorso, sul Corriere scriveva, “Crisi impossibile da prevedere? Balle. Non solo era prevedibilissima, ma il punto é che una scienza economica che non sa prevedere è una scienza da poco". Beh, neppure Sartori ci ha avvertito, però può sempre dire

che lui economista non è. E allora meglio seguire Tremonti che consigliò agli economisti “un pudico silenzio".

RISCHIO SPALMATO SU TUTI'I

Il libro, nella seconda parte, ne dice ancora altre e di belle. Insieme a qualche idea per la ripartenza. Soprattutto una: le autorità di controllo e le regole sono decisive. La crisi e cominciata negli Usa, Paese con il sistema legislativo più avanzato nel mondo e con più di 100 authority. E allora? Allora, suggerisce Cobianchi, “occorre ripensare alla funzione sociale del proprio mestiere, in questo caso del banchiere”. Che è venuto meno quando questi non si è più assunto il rischio insito nel prestare

soldi ma lo ha trasferito ad altri. “Così è diventato un intermediario che guadagna non più sugli interessi dei soldi prestati, ma sulla quantità di prestiti erogati".

Questione complicata, certo. Che riguarda non solo banchieri e finanzieri: la morale del bel libro di Cobianchi è concentrata qui. E non é solo una morale. Leggere per capire.