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USA-Russia: disarmo a metà

di Eugenio Roscini Vitali - 02/05/2009

 

Sono le 18:57 del 9 novembre 1989 quando, nel corso di una conferenza stampa, Gunter Schabowski, funzionario della Germania Est e da poco portavoce del governo, pronuncia in diretta le parole “Von jetzt”, “da adesso”. E’ all’applicazione del decreto sui viaggi che si riferisce, quello sui permessi che permette di attraversare il Muro senza paura, quello che ordina ai soldati di non puntare le armi contro i connazionali. Decine di migliaia di berlinesi si riversano lungo le strade mentre le guardie di frontiera sono costrette ad aprire i varchi lungo il confine che per 28 anni ha diviso la città; sono gli effetti della glasnost ad abbattere la barriera eretta nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, la politica della trasparenza promossa da Gorbaciov e condivisa dal presidente del paese satellite, Egon Krenz. E’ l’inizio di una nuova era, quella del disarmo, quella che chiude con la dottrina della sovranità limitata, la stessa che da una parte e dall’altra aveva legittimato i numerosi interventi militari, armati e non, che dall’America Latina all’Europa orientale avevano cambiato la vita di milioni di persone.

Un’era che è entrata a far parte della storia di molti paesi, che ha visto la trasformazione di interi sistemi socio economici e che per qualche anno ha reso gli Stati Uniti l’unica vera potenza militare mondiale, ma che alla fine non ha modificato il corso degli eventi. Il vertice del G20 tenutosi lo scorso 2 aprile all'Excel Center di Londra sarebbe dovuto passare alla storia non solo perché le grandi potenze hanno dovuto finalmente ammettere che per contenere i danni della più grande crisi economica mondiale dei nostri tempi sarebbe stato necessario l’intervento dei paesi emergenti.

Ma anche per l’accordo tra Barack Obama e Dmitrij Medvedev su un nuovo negoziato per tagliare gli arsenali nucleari, un impegno comune per mettere definitivamente fine ad una corsa agli armamenti che in realtà non si è mai fermata, evidente segno di una volontà cambiata. Un’apertura che sicuramente ricuce lo strappo consumato nel 2007 dall'allora presidente russo Vladimir Putin, che parlando della Casa Bianca denunciò una “mentalità da guerra fredda dominante”; un passaggio diplomatico che cerca di risolvere la spinosa questione sullo scudo antimissile che Washington ha intenzione di installare in Polonia e Repubblica Ceca e per il quale il Cremlino ha sempre dimostrato la sua più ferma opposizione.

Almeno per il momento l’intenzione di portare avanti questa nuova fase di dialogo sembra essere condivisa sia da Washington che da Mosca: il presidente Barck Obama ha dichiarato infatti che per gli Stati Uniti combattere la minaccia atomica è diventata una responsabilità morale alla quale è necessario rispondere con un piano che, oltre ai negoziati diretti con la Russia, includa la ratifica Americana sul bando di ogni tipo di test nucleari ed summit globale sulla sicurezza. Questo mentre il Cremlino spinge per arrivare entro dicembre alla firma di un nuovo Strategic Arms Reduction Treaty (Start), un accordo che oltre a limitare il possesso di armi di distruzione di massa includa anche i vettori strategici e i sistemi anti-missili. Ma preparare un piano condiviso non è certo facile e di questo ne è convinto l’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, che parla di potere militare americano come freno al disarmo.

Secondo Gorbaciov è proprio lo squilibrio delle forze in campo che potrebbe indurre gli altri paesi a mantenere il possesso di ordigni nucleari, oggi per il 95% in mano ad Usa e Federazione Russia e per il restante 5% a Cina, Regno Unito, Francia, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Un fatto frustrante che senza dubbio mina la nuova politica intrapresa dalla Casa Bianca, ma che non può non tenere in considerazione l’enorme budget che ogni anno gli americani spendono per la “sicurezza nazionale”, una cifra che è quasi pari a quella spesa nello stesso periodo dal resto del mondo: circa 600 miliardi di dollari che anche quest’anno Washington avrebbe messo a disposizione della Difesa. Una superiorità militare che, secondo Gorbaciov, diventa un ostacolo insormontabile e trasforma ogni discussione sul nucleare e sui vettori strategici in pura retorica.

Questo a meno che non si inizi a parlare di smilitarizzazione in termini di riduzione di budget, cosa alquanto improbabile vista la posizione americana che insiste sul fatto che disarmo nucleare e riduzione degli armamenti convenzionali sono due materie completamente separate. Secondo Washington é infatti impossibile trovare al momento una soluzione ai problemi relativi al terrorismo internazionale e a quei paesi che gli americani considerano una minaccia alla pace mondiale. Per la Casa Bianca è quindi necessario cercare di portare avanti negoziati che per ora prendano in esame le sole armi di distruzione di massa: una politica in linea con l’era Reagan e con le dichiarazioni dell’allora Segretario di Stato, George Shultz, che riguardo al disarmo disse: “E’ un’idea per cui è giunto il momento, ma il tempo non è dalla nostra parte”.

L’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov non è l’unico ad avere dubbi sulle reali possibilità di un accordo Usa-Russia sul nucleare che comprenda al suo interno una significativa diminuzione degli armamenti convenzionali. Un’altra voce importante è quella del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che pone l’accento su due questioni fondamentali: il ruolo della Nato nella crisi Russia-Georgia e il Partenariato per l'Est promosso dall’Unione Europea. Circa il recente raffreddamento delle relazioni diplomatiche con l’Alleanza Atlantica, Lavrov parla senza mezzi termini di una pressante ostilità della Nato nei riguardi del Cremlino e di un’immutata “logica da Guerra fredda”, una posizione unilaterale che non ha neanche consentito di aprire un dibattito sulle ragioni del conflitto georgiano dell’agosto scorso. Per quanto riguarda la seconda questione il ministro è convinto che Bruxelles stia cercando di estendere la propria sfera di influenza sul suo vicinato post-sovietico: Ucraina, Georgia, Moldova, Bielorussia, Azerbaigian e Armenia.

Problemi innegabili che potrebbero pesare sull’incontro che il prossimo 7 maggio vedrà di fronte Lavrov e il capo della diplomazia Usa, Hillary Clinton, in una riunione preliminare al Trattato Star che Barack Obama vorrebbe chiudere durante la visita programmata a Mosca per il prossimo luglio, e sul summit con la Nato che si svolgerà a Bruxelles il 19 maggio, vertice al quale la Russia si prepara evitando di prendere parte alle prossime esercitazioni in Georgia che l’Alleanza Atlantica ha in programma per i primi di maggio.