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La bandiera di Montanelli

di Marco Francesco De Marco - 02/05/2009

Nel centenario della nascita di Indro Montanelli, con giusta ragione, tanti sono stati i ricordi e le celebrazioni dedicate all’illustre giornalista. La destra italiana, liberale e conservatrice, deve molto a Montanelli, che a lungo fu il suo più qualificato baluardo intellettuale e giornalistico, contrapposto per decenni alle debordanti sinistre degli anni di piombo con coraggio ed ostinazione. Complice lo sprezzante e polemico distacco avvenuto da Berlusconi e la concomitanza con l’attuale questione “censura”, anche la sinistra che Montanelli tanto avversò, oggi lo celebra, con comprensibile opportunismo ma poca coerenza, come un componente del proprio Pantheon. Tanta ecumenica celebrazione non credo lo avrebbe trovato contento, visto che in vita preferì sempre il confronto serrato, fino allo scontro, alle facili condivisioni. Montanelli ebbe tante qualità, e molti insopportabili difetti, come tutte le grandissime personalità. Non sarò io a ricordare le une e gli altri, peraltro noti a tutti, non avendo alcun titolo al riguardo. Mi soffermerò sulla definizione di “uomo libero” per eccellenza, evocata in questo periodo, che non condivido, e spiegherò perchè. Montanelli fu fascista fin dalla adolescenza, in maniera totale e viscerale. Fu un fascista ideologico, culturale, non un cittadino sostenitore del Governo o del Regime. Il suo distacco con l’idea fascista non avvenne per l’articolo sulla Guerra di Spagna o per quello “disfattista” su Panorama. E’ vero che fu espulso dal Partito, ma è anche vero che fu protetto fino al 1943 da Bottai, ministro fascista. Come molti italiani non ebbe il coraggio di presentarsi alla resa dei conti bellica con l’orgoglio dell’appartenenza ed il coraggio della scelta difficile e soccombente. Questa non è la mia opinione, ma è quanto lui stesso scrisse di quel periodo della sua vita. Nel 1955, in un articolo intitolato “Proibito ai minori di anni 40”, pubblicato su “il Borghese” edito da Leo Longanesi, Montanelli scrive: "Credevo di essere diventato antifascista, ma non era vero, ero soltanto un fascista strano e stanco, anticipavo di qualche anno l'Italia di oggi, smaliziata e utilitaria, degli italiani che non credono più. Entrai nella compagnia dei grandi scettici. Mai più mi sentirò come mi sentii allora, accanto a Berto (Ricci, n.d.r.), parte di qualcosa e compagno di qualcuno, voglio dire che mai mi ero sentito e mai mi sentirò giovane come in quegli anni e non solo perché ne avessi venti. Io sono fra i rassegnati, so benissimo che di bandiere non posso averne altre e l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai prima che cadesse. Ora che le commissioni di epurazioni non ci sono più, e quindi più non siamo obbligati a mentire per le solite ragioni di famiglia, forse è venuto il momento di rendere giustizia ai nostri venti anni e di riconoscere che essi furono migliori dei quaranta, e di dare ragione a chi morendo l’ebbe. Fummo giovani soltanto allora, amici miei". Commuove la cosciente ed impietosa autocritica e lo struggente ricordo della gioventù, ideale oltre che anagrafica, ed il pensiero di Berto Ricci, che Montanelli stimò come pochi e che ricambiò sempre il suo affetto, senza però apprezzare le sue scelte: “Indro Montanelli avrebbe dovuto essere con noi. Non c'è perché gli piacciono i luccichii, gli piace vivere nella culla di quella grassa borghesia lombarda che gli dice “quanto sei bravo”. Farne l’uomo libero per eccellenza, anche alla luce del suo giudizio su sé stesso, appare una forzatura che sminuisce i suoi reali meriti e le sue indubbie qualità. Altri furono, in quel fratricida e tragico contesto, gli uomini liberi e gli eroi, dell’una e dell’altra parte, che “morendo ebbero ragione”, ma tra questi non vi fu certo il Grande, per altri meriti, Indro Montanelli. La realtà, alcune volte, è più bella, delicata e commovente della retorica.