Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Considerazioni politiche: trenta tesi per la discussione

Considerazioni politiche: trenta tesi per la discussione

di Costanzo Preve - 05/05/2009


1. Con il caso di Eluana Englaro del febbraio 2009 anche la morte in Italia è divenuta di
destra e di sinistra. La cosiddetta “bioetica”, che peraltro è una cosa serissima, ma che
onestamente non ho mai studiato ed approfondito e pertanto non ritengo di poter avere nulla di
serio da dire, è uno degli infiniti argomenti “diagonali” che sfuggono alla simulazione mediaticopolitica
Destra/Sinistra, ed il suo approfondimento implica il 50% di medico-biologico ed un 50%
di filosofico. Pensare che la bioetica possa diventare una scienza priva di premesse filosofiche o
di cosiddetti “valori non negoziabili” è un incubo di positivisti ottusi e di tifosi ideologici.
In proposito, non ho nulla da dire, e quello che avevo da dire l’ho riservato alla sfera privata
dei familiari e di amici. Non siamo obbligati a sapere tutto e ad avere un’opinione su tutto,
persino su argomenti che non controlliamo empiricamente e concettualmente. E tuttavia, anche la
morte in Italia è diventata di destra e di sinistra. A destra hanno cominciato ad urlare “assassini”,
a sinistra hanno cominciato ad urlare “sciacalli”. A sinistra hanno cominciato a strillare che la
costituzione era in pericolo, dimenticando che un certo cinico baffetto era stato responsabile di
una Bicamerale fatta apposta per cambiare la costituzione. In quanto alla costituzione pochi sanno
che una certa senatrice Donatella Poretti, eletta dalla “gente” identitaria PCI-PDS-DS-PD, ha
presentato un ddl per chiedere la sostituzione dell’articolo 1 (L’Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro) con un altro che recita: “La repubblica italiana è uno stato
democratico di diritto fondato sulla libertà e sul rispetto della persona”.
Eppure la signora Poretti non è stata eletta da Berlusconi, Bossi o Fini. E’ stata eletta dalla
“gente” veltroniana. Possibile che non si riesca più nemmeno a fare 2+2, ed a chiedersi da quale
cloaca ideologica è uscita questa feccia?
2. Il fatto che con il caso Englaro anche la morte è diventata di destra e di sinistra segna il
coronamento della riflessione del politologo francese Marx Lazar (cfr. L’Italia sul filo del rasoio,
Rizzoli, Milano, 2008). Secondo Lazar, le due categorie politologiche principali per comprendere
l’Italia dopo il 1945 sono quelle di “guerra civile” e di demonizzazione dell’avversario politico
come costanti della storia italiana del secondo novecento.
Lazar non è affatto un seguace spirituale di Preve o di de Benoist sulla obsolescenza storica
della dicotoma Destra/Sinistra. E’ anzi un politologo moderato del socialismo francese, fautore
del veltronismo politico occidentalistico. Eppure, anche un politologo moderato capisce che c’è
qualcosa di marcio in un paese in cui persino la morte diventa di destra e di sinistra, con una parte
dell’orripilante ceto politico che urla “assassini” ed una parte che grida “sciacalli”.
Arrivati a questo punto, ritengo che la posizione che ho sviluppato in questi anni sulla
obsolescenza storica ed ideologica della dicotomia Destra/Sinistra, e che mi è costata
diffamazione ed insulti dal circo internettaro e silenzio imbarazzato e complice da parte dei
membri del ceto politico di “sinistra” che avrebbero dovuto conoscermi bene e difendermi (e non
li perdonerò mai per non averlo fatto quando potevano farlo!), era ancora al di sotto della realtà.
Quando anche la morte diventa di destra e di sinistra c’è qualcosa di profondamente corrotto nel
profilo culturale di una nazione che ha permesso questa immonda deriva.
3. Mentre la ripugnante marmaglia della triade ceto politico-circo mediatico-clero
universitario trasformava anche la morte in morte di destra e morte di sinistra, si svolgeva nel
silenzio generale la strage di Gaza da parte dell’apparato ideologico-militare della tribù del
razzismo sionista. La bestialità della tribù sionista va avanti da decenni nel silenzio-assenso del


mondo occidentale, ma questa volta a mio avviso si è verificato un salto di qualità nella
complicità e nell’abiezione, che vale la pena di segnalare, sia pure brevemente.
In primo luogo, non bisogna dimenticare che i sionisti hanno con tutta probabilità assassinato
con il veleno Arafat (cfr. Amnon Kapeliouk, in Le Monde Diplomatique, novembre 2005). In
genere, non credo molto ai complotti ed alle leggende metropolitane, tipo l’autoattentato delle
torri gemelle fatto da Bush, dalla CIA e dal MOSSAD. In questo caso, però, gli indizi sono
schiaccianti, e non è un caso che un giornale serio come Le Monde Diplomatique vi abbia portato
la ricca documentazione in proposito. Già una volta i sionisti cercarono di avvelenare un
resistente palestinese in Giordania, gli assassini furono presi in tempo e le belve dovettero fornire
l’antidoto.
In secondo luogo, il circo mediatico ha diffuso la menzogna per cui Hamas avrebbe violato
la tregua con i suoi continui razzetti a Sderot. Nulla di più falso. Israele ha sempre violato per
primo la tregua con il blocco di Gaza e con le cosiddette “uccisioni mirate”. Insomma, le
uccisioni mirate non sono violazioni, i razzi di risposta sono violazione. Si vorrebbe che le
vittime si facciano uccidere senza risposta. Da un lato, Hitler, dall’altro un Gandhi belante.
In terzo luogo, tutti coloro che conoscono i sionisti ed hanno parlato con loro senza la
simulazione per l’esportazione della triade Yeoshua-Oz-Grossman sanno perfettamente che essi
ragionano in questo modo: “Gli arabi hanno perduto, devono finalmente riconoscerlo, e finché
non lo faranno bisognerà ricordarglielo, a brevi scadenze temporali”. Così si esprime l’elettrice
israeliana cinquantenne Yaffa: “Abbiamo bisogno di finire il lavoro a Gaza. Milletrecento morti
non bastano. Devono uscire tutti con la bandiera bianca” (cfr. La Stampa, 11-2-09). Ha ragione la
nazista ripugnante Yaffa. In effetti, nei venti giorni di massacri di Gaza ci sono stati soltanto 1330
morti, di cui 437 bambini sotto i sedici anni, e soltanto 5.890 feriti, di cui 1890 bambini sotto i
sedici anni. Hitler ha fatto di meglio ad Auschwitz e Truman ha fatto di meglio a Hiroshima.
Yaffa ha ragione bisogna ancora finire il lavoro. Solo l’opinione pubblica manipolata occidentale
finge di non sapere che la grande maggioranza della ripugnante tribù sionista la pensa
esattamente come Yaffa.
In quarto luogo, le leggi della propaganda politica vogliono che si creino delle “diversioni “ e
delle cortine fumogene in modo che la labile attenzione della plebe televisiva venga spostata
altrove. E così, per dimenticare i crimini attuali di Gaza ed i loro “negazionisti” (e cioè quelli che
negano che si tratti di crimini) si sono rispolverati due preti conservatori accusati di negazionismo
del genocidio hitleriano. Da notare che questi due preti non sono negazionisti veri e propri, cioè
persone che hanno scritto saggi storici negazionistici su alcuni punti controversi, ma
semplicemente persone che dicono di aver trovata convincente la lettura di questi saggi. Almeno
nel medioevo venivano bruciati vivi soltanto gli eretici, non coloro che si erano limitati a leggere
libri ereticali. In proposito, io non sono affatto negazionista, e ritengo che sia ampiamente provato
il fatto che Hitler voleva il genocidio degli ebrei, anche se non solo degli ebrei (zingari, slavi,
eccetera). In quanto ai dettagli controversi, ritengo che se ne debba parlare liberamente come in
tutti i casi di tesi storiografiche contrapposte. Faccio solo un esempio. A proposito del genocidio
degli armeni, c’è uno storico che afferma che il genocidio è veramente avvenuto (Vahakn
Dadrian per Guerini & Associati), ed uno storico che afferma invece che non c’è mai stato, e c’è
soltanto stata una serie di massacri scoordinati (Guenther Lewy per Einaudi). Bene , io sono
completamente d’accordo con Dadrian ed in disaccordo con Lewy, ma non mi sognerei mai di
chiedere l’incarcerazione e la maledizione biblio-mediatica su Lewy.
Così, c’è stata prima una morte di destra ed una morte di sinistra per Eluana, poi una guerra
di sinistra (D’Alema in Kosovo 1999) ed una guerra di destra (Berlusconi in Iraq 2003). Per
fortuna, il massacro di Gaza è stato bipartisan, perché ha avuto l’approvazione di Fini e di
Veltroni, di Fassino e di Berlusconi, di Napolitano e di Casini.
E tuttavia, io continuo ad avere il passaporto di questo paese.


4. Molti anni fa, appena passati i vent’anni (1963), ho fondato un partito comunista nella mia
coscienza di cui sono sempre stato l’unico iscritto. E’ ovvio che fondando un partito comunista
nella propria coscienza di cui si è il solo ed unico iscritto non si può risolvere il problema di
Marx, che è quello dell’unità tra teoria e prassi. La teoria si fa da soli, e si fa anzi sempre da soli
(Marx ha elaborato da solo la sua mirabile teoria della società e della storia), ma la prassi si fa
sempre con altri, ed in generale con una comunità di gruppo e di partito. Ed è per questo che
anche chi fonda un partito comunista nella propria coscienza di cui resta l’unico iscritto deve
porsi i il problema della cultura politica e della linea politica collettiva cui aderire.
In vita mia (fino al 1991, poi non più) ho aderito, in Italia, in Francia ed in Grecia a diverse
organizzazioni politiche “comuniste”, che ho sempre preso come si prende un treno, per andare
da un luogo ad un altro, senza mai appartenervi. Soprattutto, senza mai entrare in quella nota
dialettica distruttiva che consiste nel trasformare un mezzo in un fine, e far diventare
l’autorafforzamento di un partito il fine del comunismo. E’ questa la dialettica che ha portato da
Gramsci e Bordiga fino a Veltroni ed a D’Alema. Milioni di persone, che considero le più
miserevoli d’Italia, hanno incarnato nella loro vita questa dialettica. Hanno aderito in gioventù al
cosiddetto “comunismo”, lo hanno identificato con il rafforzamento di un partito, ed hanno finito
per percorrere l’intero tracciato PCI-PDS-DS-PD da Gramsci a Veltroni.
Ovviamente il “clero” burocratico ha sempre cercato di instillare un senso di colpa in chi
fondava un partito comunista nella propria coscienza di cui restava l’unico iscritto, con l’accusa
di individualismo piccolo borghese. In realtà il mantenimento assoluto della sovranità del
giudizio della propria coscienza individuale non ha alcun rapporto con l’individualismo
narcisistico piccolo-borghese (ammesso che questo incubo collettivistico deresponsabilizzante
esista), ma è il derivato del famoso libero esame di Martin Lutero, messo da Hegel agli inizi della
costituzione della coscienza moderna. Se posso tuttora dichiararmi “comunista” oggi (2009), è
soltanto perché più di quarant’anni fa ho fondato un partito comunista nella mia coscienza, di cui
sono rimasto sempre l’unico iscritto, ed ho partecipato ad imprese collettive mantenendo sempre
la più piena libertà di coscienza.
5. Avere fatto tutto questo, e cioè fondare un partito comunista nella propria coscienza di cui
si resta l’unico iscritto, mi ha permesso di non essere travolto dal crollo delle strutture
organizzative ed ideologiche del comunismo storico novecentesco, avvenuto nel triennio 1989-
1991. Tutto ciò implica una sorta di sganciamento dal treno in fiamme, che definirò rifugio
nell’universale. Naturalmente, non ho inventato niente, perché simili tecniche di sopravvivenza
“comunista” sono state comuni nel novecento (Gramsci in carcere, Benjamin a Parigi, Lukács e
Bloch sotto lo stalinismo, eccetera). Nel mio caso, il problema poteva formularsi così: come
restare comunisti, se le due forme organizzate di comunismo più diffuse nel mio paese (il picismo
e l’operaismo) mi erano entrambe per ragioni diverse non solo estranee, ma addirittura per molti
versi assolutamente ripugnanti?
6. Questo comporta un fenomeno specifico della seconda metà del novecento, che definirei
l’unione di marxismo in solitudine e di comunismo minoritario, laddove il marxismo dovrebbe
essere vissuto all’interno di grandi raggruppamenti sociali rivoluzionari. E tuttavia non scegliamo
noi le congiunture storiche in cui nasciamo, viviamo, moriamo.
Ho fatto questa premessa nello spirito che Hans Jurgen Krahl chiama dati personali. E’ bene
esplicitare i propri dati personali perché si sappia come autopercepiamo la nostra collocazione
critica nel contesto storico. Detto questo, passiamo ai commenti politici propriamente detti.


7. A proposito del problema della ricostruzione credibile di un profilo comunista ed
anticapitalista mi riconosco nell’essenziale del documento firmato Di Vito-Neri delle Comunità
Comuniste intitolato Uscire dal Recinto, ma non per entrare in un imbuto, e questo per una serie
di ragioni che sintetizzerò qui.
In primo luogo, cerco di evitare le antipatie personali e le polemiche ad personam. Vi sono
persone per cui nutro sfiducia e disprezzo, umano e politico, e persone che invece stimo anche
umanamente, ma in casi come questi bisogna respirare profondamente e contare fino a cento e
trenta, e prestare attenzione solo al merito delle posizioni teoriche e politiche.
In secondo luogo, soltanto uno scorpione velenoso potrebbe dire che i compagni della rivista
“Comunismo e Comunità” non hanno mai portato contributi teorici. Ci vedo in questo anche un
odioso attacco personale, e ricordo qui il mio saggio sistematico Elogio del Comunitarismo,
Controcorrente, Napoli, 2006. I fanatici gruppettari violano così l’etica elementare del dibattito e
della comunicazione, che consiste nel respingere ciò che si ritiene di dover respingere, ma di
prenderlo prima in esame, e di portare l’argomentazione adeguata. Ma chi è zero in teoria, ed
ignorante come una capra in filosofia, dovrà supplire a queste mancanze con insulti, parole
meschine ed altro armamentario da fanatismo gruppettaro.
In terzo luogo, i compagni di Comunismo e Comunità hanno tutto il diritto di non aderire ad
una prospettiva politica (in questo caso l’Associazione per la Rivoluzione Democratica), se
ritengono politicamente di non volerlo fare. Ma su questo ritornerò nello specifico. Il punto
fondamentale sta altrove.
8. Il punto fondamentale sta in ciò, che questi compagni sono praticamente i soli in Italia che
hanno capito il nocciolo della questione anticapitalista e comunista in Italia, nocciolo che sfugge
invece completamente agli altri, dal gruppo politico Ferrero-Diliberto ai compagni ed amici
dell’ARD (associazione rivoluzionaria democratica).
E dove sta questo cuore del problema?
Questo cuore del problema sta nel fatto (cito) “che la sinistra, in tutte le sue versioni, si rivela
il vero cavallo di Troia del capitalismo, in quanto portatrice di una cultura segnata fra l’altro da
un progressismo autoreferenziale, che si traduce in atteggiamenti snob da laicismo da salotto”.
Questo non è uno dei tanti problemi marginali da affrontare. Questo è il cuore del problema.
E’ inutile infatti dissertare sul marxismo, anticapitalismo, bene comune, decrescita, comunismo,
eccetera, fino a che non sarà stato messo a fuoco questo problema, che sunteggerò così: il nemico
principale resta il capitalismo neoliberale globalizzato, sotto la direzione militare dell’impero
americano, eccetera, ma questo nemico principale non potrà mai essere affrontato con una (lunga,
lunghissima) prospettiva di successo se prima non sarà stato isolato, affrontato e sconfitto
l’avversario tattico principale, e cioè il profilo progressivo della cultura di sinistra degradata e
degenerata (non parlo certamente dell’India o del Venezuela, ma dell’Italia in cui viviamo).
I vari Donato, Di Vito e Neri lo hanno capito. Se permettete, anche Preve lo ha capito, ed ha
anzi fornito alcuni contributi per mettere a fuoco il problema. Altri non solo non lo hanno capito,
ma a mio avviso non hanno neppure concettualizzato gli elementi preliminari del problema.
9. E non lo hanno capito per un insieme di ragioni che qui cercherò di sintetizzare.
In primo luogo, per il loro dilettantismo ideologico conservatore. Continuiamo a definire la
“borghesia” in modo economicistico, come l’insieme statistico e catastale dei proprietari
giuridici privati dei mezzi di produzione, ed il “proletariato” come l’insieme statistico e catastale
dei venditori di forza-lavoro sul mercato. Non hanno capito che stiamo entrando da tempo in un
ipercapitalismo postborghese e postproletario. Non hanno capito che il mitico Sessantotto (da
non confondere con gli eventi storici disparati dell’anno del signore 1968) ha segnato la fine della
fragile alleanza fra lavoratori ed intellettuali (Luk Boltanski), che aveva stabilito una convergenza


tra la critica economico-pauperistica al capitalismo e la critica letteraria e di costume alla
borghesia. Non hanno capito praticamente nulla del funzionamento riproduttivo del capitalismo
contemporaneo, sono geocentrici in un’epoca eliocentrica, e suppliscono la loro ignoranza con
insulti e parolacce desunte dal loro patrimonio di gruppuscolarismo trotzskisteggiante, malamente
dipinto con termini come bene comune, decrescita o critica della casta. Sono studenti di medicina
che non hanno mai aperto un libro di anatomia, fisiologia e patologia.
In secondo luogo, continuano a ragionare secondo la modalità sociologica del gruppettarismo
operaista, per cui ci sarebbe da individuare un fantomatico (e del tutto inesistente) soggetto
sociale di riferimento. Negli ultimi cinquanta anni, in Italia, il marxismo politico è
completamente fallito proprio perché ha adottato il paradigma ideologico del soggetto sociologico
veramente rivoluzionario (l’operaio massa, il popolo Pci, le donne, i disoccupati, i marginali, i
nuovi tecnici informatici, eccetera) anziché porsi il problema non del soggetto sociale
privilegiato, ma della cultura politica con cui rivolgersi non tanto ad un singolo soggetto
sociologico, quanto all’insieme potenzialmente maggioritario della popolazione. Si può anche
essere lo 0,1 organizzato della popolazione, ma si deve ragionare come se ci si rivolgesse all’80
per cento di essa. Chi ha in testa il modello di Caruso, Luxuria, Sansonetti, Bertinotti, eccetera,
oppure il modello militante estremista ed ideologizzato alla Ricci o alla Ferrando, non coglie il
cuore del problema. Si rivolgerà sempre a due tipi marginali, o il nobile marginale ideologizzato
(Ferrando), o i titolari della degenerazione sociale ipercapitalistica (Caruso, Luxuria). Oppure,
lavorerà per organizzare una nicchia elettorale ed una guardia plebea “radicale” perennemente
disposta a fare da mercenariato di “sinistra” per D’Alema contro Veltroni oppure per Prodi
contro Berlusconi (Ferrero, Diliberto, eccetera).
In questo panorama, il gruppo di Comunismo e Comunità ha almeno inquadrato il cuore della
questione, che riformulo ancora una volta: senza respingere il profilo complessivo della cultura
politica di sinistra è del tutto impossibile parlare di bene comune, anticapitalismo e comunismo,
ed il resto viene dopo.
10. Nonostante alcune differenze di tono e di sensibilità, a mio avviso marginali, tratterò
insieme i due documenti politici Per Una Rivoluzione Democratica (d’ora in poi ARD) e Per
salvare la vita. 28 tesi contro la barbarie di Marino Badiale e Massimo Bontempelli (d’ora in poi
B&B). Le tratterò insieme, al di là delle differenze di sensibilità, perché ritengo il testo di B&B la
vera premessa teorica del più impegnativo testo dell’ARD. Per chiarezza, discuterò i vari punti
analiticamente uno dopo l’altro.
11. Il documento politico della ARD ed il testo teorico di B&B cercano di respingere sia la
destra che la sinistra partitico-istituzionali, e nello stesso tempo cercano di individuare la
specifica patologia della sinistra culturale e politica.
Però non ci riescono, e questo per un doppio errore. Per quanto riguarda il minimo comun
denominatore della sinistra e della destra partitico-politico-istituzionali lo individuano nella
cosiddetta Corruzione della Casta, e da questa connotazione (a mio avviso superficiale e
moralistica) ne deducono la necessità di una tattica astensionistica anziché di una tattica del
“votare il meno peggiore” (fiancheggiamento di Ferrero e Diliberto, eccetera). Per quanto
riguarda la specifica patologia culturale della sinistra la individuano nel progressismo, nel
produttivismo, nel rifiuto della decrescita, e su questo insistono.
Si tratta di un doppio errore di valutazione. La cosiddetta Corruzione della Casta è un
fenomeno sopravvalutato, manipolato e storicamente irrilevante, da abbandonare alla triade
mefitica e ripugnante Antonio Di Pietro-Beppe Grillo-Marco Travaglio. In quanto alla patologia
culturale della sinistra, essa è orribile, ma non sta affatto nel produttivismo, nell’industrialismo e


nel progressismo, ma sta nel modello Luxuria, e cioè nell’avere deciso di fare un’apologia della
marginalità e della degenerazione umana e sociale come centralità della critica al capitalismo.
Trattiamo le due cose separatamente.
12. Che il ceto politico professionale (la cosiddetta Casta) sia ipertrofica, invasiva e corrotta
è una ovvietà nota a tutti, e Kant l’avrebbe definito un giudizio analitico, in cui l’attributo è
concettualmente contenuto nel soggetto. La questione sta invece altrove: oggi la polemica contro
la casta e cioè contro il ceto politico-sindacale prevalentemente di sinistra, composto da straccioni
arrampicatori con le pezze al culo, mentre il ceto di centro-destra ha meno bisogno di rubare
semplicemente perché più ricco di famiglia (Silvio Berlusconi) è a tutti gli effetti una componente
ideologica amministrata e gestita dal neoliberalismo ultracapitalistico, indipendentemente da cosa
possono pensare in privato i tre pagliacci mediatici che difendono questa causa, e cioè il
demagogo dialettofono scamiciato Antonio Di Pietro, l’attore milionario Beppe Grillo ed il
sionista ultraliberale Marco Travaglio. Cerchiamo per favore di capire che cosa ci sta sotto.
La cosiddetta casta politico-sindacale adempie ad una funzione sociale assolutamente
positiva, quella della difesa collettiva degli interessi di tutti coloro che stanno sotto i duemila euro
al mese. Essendo però costituita in genere di miserabili (cattivi medici, cattivi insegnanti, cattivi
ingegneri, eccetera), in generale reclutati tra coloro che non avevano passione per la propria
professione, e non cercavano in essa il proprio profilo sociale (vedi Hegel, o anche Primo Levi in
La Chiave a Stella), questi poveri straccioni devono fare da mediatori fra il popolo a mille euro
al mese e l’oligarchia a trentamila euro al mese, con la sua corte di veline, attrici, calciatori, aerei
privati, barche a Portofino ed appartamenti a Parigi, Londra, New York.
A questo punto, questi miserabili straccioni cercano di farsi pagare un po’ di più i loro
servizi, ed intascano prebende che li possano portare da redditi di duemila euro al mese a redditi
di ottomila euro al mese, e cioè in ogni caso molto meno di quanto intasca il guitto milionario
Beppe Grillo.
Questo è certo moralmente negativo. Ma sul piano strutturale è del tutto secondario,
superficiale e sovrastrutturale. Dal momento che in Italia il termine “comunismo” significa
soprattutto invidia plebea verso i ricchi, saccheggio delle loro ville, costrizione a passare dai
ristoranti di lusso alle pizzerie maleodoranti, ed espropriazione delle loro attrici e veline di lusso
perché come tutti i poveracci siano costretti a ripiegare sulla masturbazione, è del tutto normale
che le urla scomposte di Beppe Grillo e le frasi allucinate di Antonio Di Pietro (Berlusconi è un
nazista peggiore di Hitler) piacciono a questa plebe invidiosa, subalterna e decerebrata.
Chi mi conosce sa bene che non sto affatto facendo la cinica apologia della furberia e della
disonestà dei poveri straccioni della intermediazione politica e sindacale. Per quanto possano
rubare, si tratta sempre di poco più della “cresta alla spesa” che possono eventualmente fare le
badanti moldave povere inviate dalle pensionate italiane a comprare la mortadella. Chi invece
focalizza l’attività politica contro la cosiddetta casta è invece un mutante (nel senso di Asimov),
perché incrocia nel suo laboratorio alla Frankenstein la tradizionale invidia plebea verso i ricchi
ed i corrotti (il plebeo medio in genere non è corrotto solo perché non ha trovato nessuno che
abbia avuto l’interesse a corromperlo) con l’interesse delle oligarchie economiche neoliberali a
ridurre il ceto politico magna-magna ed arraffa-arraffa, in modo che intascando trentamila euro
al mese non debba dividerli con i botoli affamati del ceto medio straccione della
intermediazione partitica, le cui briciole alla fine cadranno pur sempre sui cassaintegrati ed altri
plebei disoccupati.
Dunque, nessuna lotta alla casta. Lasciamo lo scamiciato dialettofono Di Pietro, il pagliaccio
milionario genovese Beppe Grillo e l’esangue sionista Marco Travaglio al loro pubblico, il
pubblico più stupido di un popolo che non ha mai saputo troppo distinguersi (Dante, Machiavelli,


Leopardi, eccetera) per la sua intelligenza collettiva (non parlo qui delle sue individualità, quelle
ci sono anche in Nuova Guinea).
13. L’errata individuazione degli irrilevanti ladruncoli straccioni della cosiddetta “casta”
come nemico politico se non proprio principale almeno rilevante comporta nel testo di B & B, ed
anche nel documento della ARD, due errori culturali molto importanti, e che rendono impossibile
l’adesione ad individui e gruppi sensati, come lo scrivente e come i Comunisti Comunitari cui lo
scrivente è oggi molto vicino (ricordando peraltro sempre al lettore che lo scrivente non
“appartiene” a nessuno, avendo fondato un partito comunista nella è propria coscienza di cui resta
sempre l’unico iscritto).
Il primo errore è quello del manipulitismo moralistico, con connessa incapacità di
comprendere i tratti fondamentali della storia italiana degli ultimi venti anni. Il secondo errore sta
nel giustificare la tattica astensionistica non con i veri argomenti portanti (e cioè corruzione
incurabile della loro cultura politica Caruso-Luxuria e subalternità mercenaria alla “sinistra”
D’Alema-Fassino-Veltroni) ma con l’irrilevante argomento della eventuale corruzione di questi
poveri “forchettoni”.
Esaminiamo i due aspetti separatamente.
14. Mani Pulite è stato il fenomeno storico-politico più sporco ed abbietto della storia italiana
dopo il 1945. I giudici che lo hanno messo in atto non hanno certo violato la costituzione formale
italiana, ed hanno probabilmente agito secondo le cosiddette “regole” (regola = meccanismo
formale il cui scopo è la legittimazione della legittimazione del potere materiale delle oligarchie
capitalistiche), ma sul piano storico-politico hanno distrutto la costituzione materiale italiana, che
si basava non sull’irrilevante corruzione dei poveri straccioni del ceto politico professionale, ma
sulla rappresentatività espressa dalla maggioranza elettorale conseguita dai partiti stessi,
indipendentemente dal fatto poco rilevante che essi ci piacessero o no (ad esempio a me facevano
schifo, il che non impediva alla maggioranza degli italiani, unici titolari della sovranità
costituzionale, di eleggerli con voto diretto e segreto). Per quanto mi riguarda, la giunta golpista
“informale” dei giudici avrebbe dovuto essere processata per alto tradimento. Un ergastolo con
arresti domiciliari agli anziani e malati, e lavoro all’aria aperta alla Capraia e all’Asinara per i più
giovani sarebbe stata una pena sufficiente.
Mani pulite fu un colpo di stato giudiziario extra-parlamentare, paragonabile storicamente a
Gladio, alle Brigare Rosse ed agli attentati probabilmente messi in opera dai gruppi eterodiretti
della CIA. Il suo scopo, coperto dall’ideologia (direbbe Marx, mentre Pareto parlerebbe di
“residui” e di “derivazioni”) della spontanea onestà di incorrotti magistrati, era quello di mettere
fine ad un sistema politico partitico, keynesiano-corrotto, da sostituire con un sistema politico
bipolare ed integralmente neoliberale-globalizzato. Fine della sovranità monetaria dello stato,
concentrazione del potere in oligarchie transnazionali svincolate dal “pizzo” da pagare al povero
ceto politico straccione di intermediazione, questo fu lo scopo di Mani Pulite. Il fatto che Di
Pietro, Borrelli o colui che definì in modo folle l’aver gettato Pinelli dalla finestra (D’Ambrosio),
distruggessero il sistema politico italiano (ricordiamoci il “malore attivo” di Pinelli, se per caso
qualcuno crede nella “buona fede”) per onestà cristallina oppure dietro mandato diretto di gruppi
oligarchici, è un fatto da appurare dagli storici, un po’ come è da appurare se ci fu un ordine
scritto o soltanto orale di Hitler per uccidere gli ebrei. E’ certo interessante, ma non tocca
l’essenza storica della questione: e cioè che nel primo caso ci fu comunque un genocidio degli
ebrei, con ordine scritto o con camera gas oppure solo mitragliatrice; che nel secondo caso, ci fu
un colpo di stato giudiziario extra parlamentare e giudiziario.
I giudici non si mossero affatto contro Berlusconi come ripete continuamente l’Oligarca
Nano, anche perché nel 1992 Berlusconi era del tutto fuori dalla politica. Senza la giunta


giudiziaria golpista Berlusconi non sarebbe mai andato al potere e pertanto l’Oligarca Nano
dovrebbe accendere dei ceri a Borrelli, D’Ambrosio, Di Pietro. Il colpo di stato extraparlamentare
ed extra-costituzionale spazzò via la parte più rilevante del ceto politico PSI-DC, e rimase
soltanto a disposizione il mercenariato politico disoccupato PCI (poi metamorfosato
progressivamente in PDS, DS, PD). Fatti fuori Craxi, Martelli, De Mita, Forlani, Andreotti, La
Malfa, eccetera, restava però il loro elettorato, che non aveva nessuna intenzione di farsi
golpizzare dal blocco storico (uso qui un concetto del venerabile Gramsci) costituito dal
mercenariato politico nichilista PCI-PDS-DS-PD, dal circolo mediatico-moralistico di Umberto
Eco e dall’azionismo piemontese ed infine dalla giunta golpista dei giudici. Queste tre
componenti volevano arrivare al potere senza passare prima dalla legittimazione elettorale. Visto
in prospettiva storica, la figura di Silvio Berlusconi, dal 1993 a tutt’oggi (2009) appare
inspiegabile se non come reazione dell’elettorato italiano al colpo di stato giudiziario extraparlamentare
ed extra-costituzionale. Spero che il lettore duro di comprendonio ed invasato
dall’antiberlusconismo mistico-identitario di sinistra capisca che non sto affatto lodando
l’Oligarca Nano e la sua concezione aziendalistica del mondo (barzellette, ottimismo del
venditore, veline, calciatori, eccetera), ma sto soltanto cercando di capire la logica strutturale di
ciò che è successo. La dialettofonia di Di Pietro, l’equitazione e l’amore per la lirica di Borrelli, il
malore attivo di D’Ambrosio, le urla moralistiche della feccia intellettuale italiana, i sogghigni
golpisti del mercenariato nichilista PCI-PDS Occhetto e D’Alema, il linciaggio e la lapidazione
con monetine del cinghialone Craxi (equivalente in forma di farsa della tragedia della gente che
incrudeliva sui cadaveri di Mussolini e della Petacci), e così continuando, sono soltanto aspetti di
un dramma storico strutturale, come le brioches di Maria Antonietta o la pedofilia di Giulio
Cesare. I documenti di B&B e la proclamazione ARD sono intrisi di questa concezione
moralistica della storia. Di tutte le numerose (ma non superiori a dieci) interpretazioni della
storia, l’approccio moralistico è il peggiore ed il più insulso. E’ possibile che Carlo Magno
sodomizzasse le pecore ma ciò che conta è che abbia fatto il Sacro Romano Impero. Alessandro
Magno si faceva certamente i bambini persiani, ma ha anche fatto il più grande impero della
storia. Luigi XIV si portava certamente a letto le cameriere, ma era il Re Sole. Eccetera, eccetera.
La concezione moralistica della storia è una patologia distruttiva, che riesce a rovinare
persino persone sincere ed intelligenti. Tanto per non fare nomi, Massimo Bontempelli, che pure
si era guadagnato grandi meriti per una storia universale in cinque volumi scolastici basati sulla
nozione strutturale di modo di produzione, si è autodistrutto scientificamente con una deriva
psicologica (la storia ricostruita attraverso i profili psicopatologici dei personaggi storici divisi in
narcisisti, paranoici, schizofrenici, eccetera) e con un continuo asfissiante moralismo. Sono stato
costretto a fare un riferimento nominativo, perché questo processo di distruzione del metodo dei
modi di produzione e di moralismo asfissiante anti-ladroni ed anti-casta sta anche alla base di
documenti tipo ARD e consimili.
Sostituire Marx e Lenin, sia pure con tutti i loro difetti di economicismo, determinismo,
teleologia e meccanicismo con Borrelli e Beppe Grillo può essere inteso come una tragedia (se
siamo di cattivo umore) o come una commedia (se siamo di buon umore). In un giudizio
moderato e centrista, lo potremo definire una tragicommedia. In termini da antichi greci, un
dramma satiresco. Nei termini di Lukács (cfr. La Distruzione della Ragione), un fenomeno di
decadenza ideologica. Manipulitismo, concezione moralistica della storia, ossessione giudiziaria,
incapacità di analisi strutturale dei fenomeni, urla grilliste-dipietriste, assunzione del terreno del
sionista liberale Travaglio, bontempellismo, eccetera, sono tutti sintomi di un solo ed unico
fenomeno: la decadenza ideologica.
Basare la propria tattica astensionistica sul fatto che il ceto politico eletto rubacchierà e farà
la cresta alla spesa è proprio un fenomeno da plebe invidiosa dei ricchi e segnala una decadenza
 

ideologica spaventosa. Ma c’è addirittura di peggio, e lo discuterò nel prossimo strategico
paragrafo.
15. A proposito dell’astensionismo, che è una cosa serissima e meritevole di dibattito
(personalmente, ho votato l’ultima volta nel 1992, e da allora sono un astensionista sistematico,
meditato e consapevole), ho sostenuto nel paragrafo precedente che non ha senso astenersi per
dispetto verso l’immoralità della cosiddetta “casta”, dovuta al fatto che una parte dei poveri
straccioni del ceto politico professionale ruba una parte delle briciole che cadono dal tavolo delle
oligarchie finanziarie dominanti, sollevando così l’indignazione vendicativa ed invidiosa della
plebe urlante di “sinistra”, di cui la casta in generale fa gli interessi di rappresentanza, senza i
quali questa povera plebe non potrebbe neppure gestire un mercatino rionale o una drogheria.
Prego il lettore di credere se affermo che in me non c’è nessun aristocraticismo superuomistico.
Personalmente, mi considero anch’io membro a tutti gli effetti della plebe subalterna, in quanto la
categoria “plebe” indica soltanto per me un processo storico di plebeizzazione del precedente
proletariato. Il proletariato è uscito dalla precedente condizione di plebe nell’ottocento attraverso
l’organizzazione politica con prospettiva anticapitalistica ed attraverso la coscienza di classe
antagonistica (di cui il pensiero di Marx è stato l’aspetto ideologico-sovrastrutturale principale), e
ci sta ricadendo oggi (si tratta cioè di una riplebeizzazione, per usare un termine più esatto di
semplice plebeizzazione), cosa inevitabile quando le classi subalterne smettono di pensare e di
agire in modo che sia possibile una società senza classi dominanti e dominate. Oggi la classe
dominante è una oligarchia postborghese, e la classe dominata è un aggregato riplebeizzato. Fine
dell’intermezzo linguistico.
Passando all’astensionismo politico, e non moralistico, esaminiamo nell’ordine i tre
astensionismi: anarchico, bordighista e trotzkista.
L’anarchismo strategico (parlo del vero anarchismo, non della sua variante degradata ed
analfabeta dei “cosiddetti centri sociali”, pura e semplice guardia plebea urlante al servizio della
sinistra antifascista contro la destra fascista, e cioè Veltroni contro Alemanno, e molto spesso
indicatori di degrado antropologico e culturale) è astensionista sulla base della sua dottrina
politica di riferimento. Dal punto di vista del suo codice teorico-filosofico (il solo che mi interessi
perché non sono uno storico) l’anarchismo fonde creativamente l’utopismo comunista (estinzione
dello stato) e l’individualismo borghese del rifiuto di ogni istituzionalizzazione statuale.
Individualismo borghese antistatale ed utopismo comunista parimenti antistatale si fondono
armonicamente nel codice concettuale anarchico. L’anarchismo intende il comunismo come
abolizione della famiglia, della società civile e dello stato, sostituiti da liberi rapporti temporanei
basati sull’accidentalità morale contingente e da una sorta di mano invisibile del mercato
autogestito senza alcuna mediazione istituzionale. Non esiste nulla che mi sia politicamente e
concettualmente più alieno. Nella mia concezione il comunismo è una sorta di federazione
mondiale di stati nazionali sovrani, in presenza di una famiglia monogamica democratizzata, di
una società civile professionale estesa e democratizzata, e di uno stato democratizzato e niente
affatto “estinto”. Non ci può essere nulla di più lontano dal mio pensiero dell’anarchismo, di cui
però rispetto molte nobili figure storiche. In quanto all’anarchismo dei centri sociali e della loro
cultura della droga e del continuo “scontro fisico”, non mi occupo di “riciclaggio dei rifiuti”.
Quando i centri sociali torneranno ad essere centri di libera aggregazione giovanile, e
smetteranno di fornire teppisti allo scontro drogato e manipolato Destra/Sinistra, ne riparleremo,
e diventerò addirittura un loro fautore.
Il bordighismo astensionista è una setta di fondamentalismo marxista, che interpreta il
marxismo come proletarizzazione sociologica pura, come determinismo economicistico, al cui
confronto persino Gianfranco La Grassa diventa un intellettuale idealista ed umanista (orrore!
orrore!), e come crollismo prevedibile con estrapolazioni matematiche. In quanto metafisica



parallela alla realtà, il bordighismo è una logica manicomiale, perfettamente coerente e rigorosa
al suo interno, purché non si voglia metterla in rapporto con la realtà storica esterna. E tuttavia,
pur non condividendone una sola parola (se non parzialmente le virgole e la punteggiatura),
continuo a ritenere Amadeo Bordiga uno dei più grandi marxisti del novecento, inferiore a
Gramsci ed a La Grassa , ma superiore a Panzieri ed a Toni Negri, e rimprovero amichevolmente
la stimata e cara amica Cristina Corradi per non averlo inserito nella sua storia del marxismo
(grandi assenti: Amadeo Bordiga e Ludovico Geymonat). Detto questo, chiedermi di giudicare
l’astensionismo bordighista o la concezione bordighiana del capitalismo equivale a chiedermi
cosa penso della teoria della terra piatta o del disegno cosmico intelligente. Posso farlo, ma
soltanto a pagamento o quando sono di buon umore.
Un discorso un po’ diverso bisogna farlo per il trotzkismo, che in generale non è
astensionista, ma piuttosto “votazionista”, nelle due forme apparentemente opposte ma
convergenti del votazionismo testimoniale minoritario a prefisso telefonico e del votazionismo
“entrista” subalterno ai pachidermi mastodontici del sistema politico capitalistico sfacciatamente
integrale. Ma chiariamo meglio il punto.
Mentre il codice teorico anarchico è il frutto creativo dell’unione fra l’utopismo comunista
dell’estinzione dello stato e dell’individualismo borghese del rifiuto di qualsiasi
istituzionalizzazione politica (convivenze e non matrimoni, livellamento e non riconoscimento
dei meriti professionali, rete di autogestioni in correlazione mercantile reciproca e non statonazione),
la teologia politica trotzkista è strutturata come una demonologia monoteistica classica.
E così come il mondo provvidenziale di Dio sarebbe meraviglioso se non ci fosse il diavolo
tentatore, nello stesso modo per la demonologia trotzkista il socialismo sarebbe meraviglioso,
magnifico e stupendo, se non ci fosse il demonio burocratico a corromperlo. La burocrazia
certamente esiste come aggregato empirico di politicanti rubacchiatori (Michels) e di impiegati
fancazzisti (Brunetta), ma non esiste assolutamente come categoria storico-politica strutturale.
Perché se esistesse veramente, e la si potesse eliminare, bisognerebbe prima dimostrare che la
mitica e salvifica classe operaia, salariata e proletaria sarebbe in grado da sola e senza strutture
partitiche e statuali di intermediazione di attuare la mano invisibile e l’armonia prestabilita (Smith
+ Leibniz) della rete benefica di autogestioni economiche e di autogoverni politici. Certo, è
possibile credere a tutto, persino al Grande Cocomero. E tuttavia, questa metafisica trotzkista
(socialismo meraviglioso, se non ci fosse stata la burocrazia termidoriana del compagno Stalin a
rifiutare la rivoluzione permanente ed a costruire l’orrido socialismo in un solo paese) non
terrebbe una sola settimana, se i trotzkisti, anziché fare i grilli parlanti deresponsabilizzati dal loro
minoritarismo testimonial-saccente permanente, andassero al potere in uno stato-nazione
qualsivoglia. Dopo pochi mesi, si creerebbe sistematicamente una burocrazia trotzkista verbosa e
pedante, magari senza baffi caucasici ma con barbetta ed occhialini ebraici, e la storia
riprenderebbe da capo.
Esiste un trotzkismo puro e duro (Ferrando) , che si presenterà alle elezioni senza alcuna
speranza di andare oltre un prefisso telefonico, e che inevitabilmente subirà scissioni
fondamentaliste (Ricci, eccetera), in quanto ogni teologia secerne eresie come la seppia secerne
inchiostro. E non mancheranno trotzkisti (Turigliatto, Cannavò, eccetera) miscelati con
femministe pazze, che chiamano il loro femminismo autoreferenziale disgregativo
“anticapitalismo”. Ed infine avremo degli “entristi” (il gruppo Falcemartello, eccetera) che
daranno il voto al sistema politico complessivo delle oligarchie capitalistiche in nome dei
“candidati operai”.
Non vorrei che il lettore pensasse che io sia anti-trotzkista. Al contrario, la mia educazione
politica si è svolta a Parigi negli anni sessanta in un contesto di dibattiti accesi e proficui tra le
due eresie maoista e trotzkista in lotta contro l’ortodossia stalinista del Partito Comunista
Francese. Considero il trotzkismo una sorta di coscienza infelice e di anima bella (due categorie




hegeliane) del comunismo storico novecentesco staliniano, l’unico ed il solo veramente esistito
(ed infatti non ce ne sono mai stati altri, se non come testimonianze parallele impotenti, ad
esempio Lukács, Bloch, Gramsci; e nel suo piccolo-piccolissimo anche Costanzo Preve).
Tutti i tre astensionismi politici (moralismo anti-casta, anarchismo, comunismo bordighista),
insieme al micro-votazionismo trotzkisteggiante restano fenomeni pittoreschi, che arricchiscono
il meraviglioso mondo della natura ma che non sono storicamente rilevanti. E’ invece molto più
rilevante il votazionismo partitico Diliberto-Ferrero, che merita un esame a parte molto più serio
e dettagliato. Personalmente, non li voterei neppure se il mio voto fosse decisivo per far scattare il
loro quorum (che però a mio avviso è alla loro portata, anche se non del tutto sicuro e garantito).
Incidentalmente, considero benefico e provvidenziale l’obbligo a superare la soglia di
sbarramento del quattro per cento. Questa soglia non renderà possibile alla banda Bertinotti-
Vendola-Migliore-Sansonetti-Caruso-Luxuria di passare il quorum, li frega e li costringerà ad
accelerare la loro incorporazione subalterna nel mercenariato D’Alema contro Veltroni tramite
Bersani, incorporazione subalterna coperta da invocazioni antistaliniste del tipo “Io Sogno. Io
Amo. Io non ho Paura” (slogan demenziale della loro autocostituzione politica in Armata
Brancaleone ed in Corte dei Miracoli del ceto politico di “sinistra”). Questa soglia renderà invece
necessario, per la semplice ragione di dover passare il quorum, un percorso politico di
avvicinamento dei due ceti politici di Oliviero Diliberto e di Paolo Ferrero. E di questi vorrei
parlare, in termini di cultura politica, e solo di cultura politica. Da questa analisi deriverà che non
ci possiamo aspettare da loro né una costituente identitaria di comunisti (Diliberto), né una
rifondazione panzieriano-libertaria di Democrazia Proletaria (Ferrero), ma soltanto una ennesima
riproposizione, sterile ed inutile, di una nicchia identitaria elettorale al servizio,
gravitazionalmente prevedibile, di D’Alema contro Veltroni o meglio del PD contro il PDL.
Ma vediamo meglio, anche se non né varrebbe neppure la pena.
16. Trascurando la fondazione storica del comunismo italiano nel 1921 (Bordiga, Gramsci,
Terracini, Tasca, Fortichiari, eccetera), in una situazione storica lontanissima da oggi come il
Risorgimento, il comunismo italiano dal 1943 al 1991 si è sviluppato unicamente come picismo
istituzionale, con ai lati eresie interessanti, ma puramente minoritarie e testimoniali.
Il picismo è un fatto sociale totale (Durkheim), perché ha dato luogo soprattutto alla
produzione storica e psicologica di un profilo antropologico di massa, che ha toccato in più di
mezzo secolo milioni di persone. Chi si ferma alle linee politiche (Togliatti, Longo, Berlinguer,
Ingrao, Amendola, eccetera) o ai numeri dei confronti elettorali, non è in grado di affrontare il
problema del picismo. Il picismo è la forma storica assunta dal comunismo come fenomeno
internazionale in un paese caratterizzato da una controriforma in assenza di precedente riforma e
da un Risorgimento vinto da forze oligarchiche, minoritarie ed antirisorgimentali (dinastia
reazionaria dei Savoia, eccetera). Questa ha dato al picismo italiano un aspetto carismatico (prima
Togliatti, poi Berlinguer) e ha costruito un mostro politico (una “giraffa”, diceva Togliatti)
costituito da un partito populista e socialdemocratico moderato e consociativo, organizzato in
modo bolscevico e staliniano. Questo mostro fallito interamente nel 1989, viene oggi rivalutato
dalla casta corrotta degli storiografi contemporalisti universitari (fra cui il veltronismo è
ipermaggioritario) come la grande forza progressista che ha permesso l’uscita degli italiani dal
massimalismo populista antistatuale e l’entrata della modernità, intesa soprattutto come divorzio,
aborto, relativismo, nichilismo, laicismo e visione postmoderna del mondo. E non mancano i
Diliberto a farne tuttora l’elogio. Il miglioramento delle condizioni dei lavoratori italiani non è
stato dovuto al PCI, ma semplicemente ai trenta anni gloriosi del periodo fordista-keynesiano. I
lavoratori italiani oggi non starebbero né meglio né peggio se il PCI non fosse mai esistito.
Starebbero esattamente come stanno adesso, e cioè come salariati passati dal posto fisso al lavoro
flessibile e precario. Cancellate il picismo dalla storia italiana e non sarebbe cambiato niente. La



diminuzione della frequenza domenicale alla messa non è dovuta al picismo, ma alla
secolarizzazione consumistica del passaggio da una società agricola ad una società terziaria dei
servizi. La distruzione della scuola non è dovuta al mercenariato sindacale-pedagogico picista,
ma alla fine del grande liceo borghese illuministico-idealistico.
Il segreto filosofico del profilo antropologico picista sta nella trasformazione dialettica del
comunismo da fine a mezzo, per cui il mezzo del comunismo (il partito picista, appunto) è
diventato un fine in sé, e cioè l’autorafforzamento elettorale ed organizzativo del partito picista
stesso. Come spiegare altrimenti il passaggio da Togliatti a Veltroni, e da Longo a D’Alema?
Come spiegare il passaggio dal Moderno Principe (Gramsci) al mercenariato bellico dalemiano
del 1999 (guerra geopolitica USA alla Jugoslavia)? La dialettica hegeliana della trasformazione
del Mezzo (il partito) in Fine in Sé ha dato luogo in Italia alle centinaia di migliaia di mostri
sociologici i quali, senza la minima coscienza infelice ed il minimo imbarazzo di coerenza
ideologica, sono passati dalle urla sportive di appoggio all’eurocomunismo di Berlinguer ed alla
sua oscena presunzione di “diversità morale” (Andreotti mafioso! Craxi ladrone! Almirante
fascista! Solo Noi siamo buoni e diversi!) alle urla antiberlusconiane di appoggio al Signor
Chiunque (Rutelli, Prodi, Veltroni, Scalfaro, Fassino, eccetera).
La valutazione della catastrofe antropologica di massa del picismo, con la sua prassi di
diffamazione demonizzante del dissenziente e di pretesa di superiorità morale (qualcuno gli
chieda in che modo sono state fatte le assunzioni in Rai Tre e quanto vengono pagati i suoi
pagliacci tipo Benigni) non è purtroppo un fatto soltanto storiografico, da lasciare alla pacata
considerazione storica sul novecento. Il tipo umano medio lasciato da questo baraccone immorale
ha coinvolto in Italia un numero enorme di persone. Prima di sciogliere questo scandalo
antropologico, e ricollocarlo nelle sue coordinate storiche, che permettono in parte (ma solo in
parte) di giustificarlo contestualizzandolo, non è possibile costituire una nuova cultura politica.
Tutto questo è totalmente al di fuori della prospettiva ARD-B&B, da un lato, e dalla
prospettiva Ferrero-Diliberto, dall’altro. Costoro non capiscono che non si può fare fuoco con
fango secco e non si può “rifondare” il comunismo (o il semplice bene comune anticapitalistico
filo-decrescita ed anti-casta) se non si gira pagina da un profilo culturale che ha trasformato una
finalità universale (il comunismo, appunto) in autoaffermazione organizzativa di un ripugnante
baraccone feroce con i dissenzienti interni (caso Manifesto, eccetera) e servile verso la cosiddetta
“borghesia di stato” (Prodi, eccetera).
Il lettore mi scusi per la mia eccessiva moderazione nella valutazione storica del PCI. Dal
momento che ho purtroppo vissuto gran parte della mia vita cosciente in parallelo con questi
cialtroni, e li ho visti infangare la nobile idea comunista anno dopo anno, le mie opinioni
“emotive” sul PCI sono ancora peggiori.
17. La scuola psicologica californiana di Palo Alto, una costola eretica della psicoanalisi
freudiana classica, sostiene che la maggior parte delle nevrosi e delle psicosi infantili deriva da
ordini contraddittori ed ineseguibili ricevuti dagli adulti, in particolare dai propri genitori. Ed in
effetti un adulto, ricevuto un ordine contraddittorio ed ineseguibile, non lo esegue, perché è
consapevole che non può essere eseguito. Il bambino invece non lo sa, ed allora si colpevolizza, e
prende la strada della schizofrenia e della paranoia.
La lotta armata, o terrorismo italiano, è un fenomeno incomprensibile (non c’è infatti stato in
questa misura quantitativa in nessuna altra parte d’Europa) alla luce di Marx, ma diventa
comprensibile alla luce di Palo Alto. Il picismo ha drogato un’intera generazione con l’allarme
antifascista (in assenza completa di fascismo), e lo ha fatto perché la simulazione continua ed
ossessiva della guerra civile (si ricordi l’analisi di Lazar) era un mezzo di pressione per
l’incorporazione dei suoi apparati avidi e famelici negli apparati capitalistici italiani. Inoltre,
diceva ai bambini fanatizzati che aveva cresciuto che il solo modo per arrivare al socialismo, anzi



l’unico socialismo, quello emiliano-municipale, perché tutto il resto, dalla Cina alla Russia, era
merda dispotica asiatica) era appunto la totale incorporazione nel capitalismo. Questo provocò un
impazzimento generale generalizzato, inesistente in tutti gli altri paesi d’Europa, e si giunse in
certi momenti a cinquemila persone in carcere ed a migliaia di “esuli” politici. Dopo di che, in
piena linea Palo Alto e Controriforma Italiana, si sostenne da un lato che si trattava solo di
crimini comuni e non politici, e si diede avvio dall’altro alla procedura gesuitico-tartufesca del
cosiddetto “pentimento”.
Che cosa dire? Paese di m…
18. I film western ci dicono che ad un certo punto arriva il momento della verità, quello in
cui i coraggiosi ed i vili rivelano la loro vera natura. Carl Schmitt, che ha applicato alla
politologia questo principio western, ci dice che la sola sovranità esiste nel momento
dell’emergenza e dello stato di eccezione, laddove la normalità permette di sviluppare ipocrite
finzioni per deficienti.
Per il picismo, il momento della verità e lo stato di eccezione arrivò dal 1989 al 1991 con il
crollo del muro di Berlino e con lo scioglimento della casa madre. Ma come si spiega che partiti
comunisti come quelli portoghese e greco, ed in parte anche francese, non si sciolsero in tempo
reale, mentre il bestione picista si riconvertì subito in mercenariato USA, NATO ed in apparato
golpistico di appoggio ai giudici golpisti di Mani Pulite (vedi guerra D’Alema-NATO-USA del
1999, eccetera)?
Segreto di pulcinella. I partiti comunisti greco e portoghese erano piccole tribù minoritarie di
operai e di intellettuali marxisti classici, mentre il baraccone picista era un apparato già
ideologizzato nel quindicennio 1976-1991 (pensiero debole, figurine Panini annesse all’Unità,
postmoderno, emergere di personaggi come Veltroni e Occhetto, eccetera), totalmente integrato
negli apparati mediatici (TG3) e produttivi (cooperative emiliane) del capitalismo. Inoltre, il
partito meno filo-sovietico d’Europa era strutturalmente il partito più simil-sovietico (partito di
gestione deideologizzata del potere).
Se produci scarpe, ed un cataclisma naturale come un’alluvione ti costringe a vivere in mare,
il passaggio dalla produzione di scarpe alla produzione di pinne non è affatto ideologico o
filosofico, ma un fatto commerciale e merceologico. L’apparato picista, improvvisamente
disoccupato, entrò nella logica economica della globalizzazione, e cioè nella logica della
cosiddetta riconversione industriale. E per questo era già pronto l’anno dopo, il difensore della
Costituzione, a mettersi a servizio come mercenariato politico di riserva e di intermediazione
sociale dei golpisti “oggettivi” di Mani Pulite.
Ma non aveva fatto i conti con il grande Berlusca, l’Oligarca Nano. Come direbbe un
personaggio manzoniano: “Là c’è la provvidenza!”.
19. La riconversione sistemica e funzionale del gigantesco bisonte socio-politico picista
lasciava però un residuo militante-identitario di “credenti nel comunismo”. Trattandosi di un
residuo per cui il comunismo si fondava soprattutto sui simboli (tipo falce e martello),
sull’identità e sul senso di appartenenza, e non su di una razionale e spietata riconsiderazione
globale delle cause della sconfitta strategica (il comunismo, che aveva resistito a Hitler, muore
per cause interne sulla base di un blocco storico fra burocrati corrotti, mafiosi dell’economia
parallela, ceti medi drogati dall’occidentalismo e totale indifferenza operaia), era facile pensare
che fosse facilmente manipolabile. I pensanti non sono manipolabili, perché pensano. Gli
identitari urlanti attaccati ai simboli come Linus alla sua copertina sono la massa di manovra più
manipolabile del mondo.
Nel 1991 la dissoluzione del bisonte picista fece pensare che ci fosse il pericolo di una deriva
massimalistico-anarcoide di massa, e fu pertanto necessario impedirla. Tutta la storia del



miserabile partito della Rifondazione Comunista (1991-2008) è la storia di un bacino di
decompressione per palombari risaliti dalle profondità del comunismo, che devono essere
appunto decompressi ideologicamente prima di tornare alla “normalita”, che è appunto il
bipolarismo manipolato Veltroni-Berlusconi, e cioè Figurine Panini contro l’Oligarca Nano.
Per impedire questa deriva massimalistica potenziale, che creando un partito comunista di
tipo greco o portoghese avrebbe reso questa nicchia identitario-elettorale di urlanti simbolici del
tutto inutilizzabile per il bipolarismo sistemico Destra/Sinistra, scesero in campo anziani
marpioni del ceto politico-sindacale (Cossutta, Garavini, Magri, la Castellina, la Salvato, Sandri,
Libertini, e poi il mutante asimoviano Bertinotti). Tutti costoro si odiavano cordialmente l’un
l’altro, perché il comunismo è caratterizzato dalla autofagia, e l’autofagia consiste nel mangiarsi
l’un l’altro con il pretesto di incompatibilità caratteriali e/o ideologiche che in qualunque altro
ambiente meno settario e malato sarebbero facilmente componibili.
Sotto queste grottesche antipatie (Garavini contro Magri, Cossutta contro Bertinotti,
eccetera) ci stava però una costante strutturale di tipo sistemico. Bisognava sempre che il parcobuoi
elettorale di Rifondazione fosse sempre a disposizione del bipolarismo, e votasse sempre per
Prodi e Veltroni contro Bossi, Fini e Berlusconi. La guerra civile simbolica simulata fra Destra
(fascisti, fascisti!) e la sinistra (comunisti! comunisti!) doveva idealmente continuare fino
all’estinzione del sistema solare.
20. Trattandosi di feccia antropologica (che ho avuto modo di conoscere personalmente, e
quindi so cosa dico), è evidente che il gruppo dirigente di Rifondazione si muoveva su due binari
stabili. Primo, una totale indifferenza per la ricerca marxista, la sola che avrebbe forse potuto
individuare le cause strutturali della ignobile dissoluzione del comunismo storico novecentesco. E
tuttavia, sarebbe stupido pensare che Al Capone possa finanziare borse di studio sulle cause della
mafia. Secondo, una concezione proprietaria del partito, per cui Cossutta sistema i familiari ed i
cortigiani, e Bertinotti decide con un golpe pre-elettorale 2008, senza congresso precedente, di
sostituire la ragion d’essere del partito, (il comunismo, appunto) con un arcobaleno per deficienti.
Alla fine, però, dopo la decompressione ideologica ventennale della base identitaria urlante,
dopo il vuoto totale di riflessione razionale marxista, dopo gli scandali derivati dalla gestione
familistica del partito, il tutto si è sciolto come un gelato al sole.
E su Rifondazione avrei finito, ma per completezza dedicherò ancora tre paragrafi a tre
personaggi, il signor Bertinotti, la signora Luxuria, e l’attuale coppia politica più presentabile e
meno ripugnante antropologicamente Diliberto-Ferrero.
21. La caratteristica principale di Bertinotti è l’unione di narcisismo caratteriale e di
dilettantis