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Latouche e la genesi della décroissance

di Nathan Zippo - 07/05/2009



Parlare di decrescita significa fare riferimento a colui che più di ogni altro ha
contribuito a costruire, sviluppare e diffondere la “provocazione” e l’urgenza di un’inversione
e di un cambiamento radicale negli orientamenti socio-economici contemporanei: Serge
Latouche. La sua riflessione parte dall’evidenza empirica di un sistema orientato alla crescita
continua di produzione e consumi che però non trova riscontro in un effettivo aumento del
benessere sociale. Al contrario, è la stessa sopravvivenza umana ad essere a rischio,
messa a repentaglio da una logica diretta a produrre e consumare più delle reali necessità e
causa tanto del degrado ambientale quanto di quello sociale.
La maturazione scientifica dell’economista francese è una chiara testimonianza di
come la dimensione antropologica sia una componente fondamentale della sua riflessione e
della sua proposta, prendendo molte volte il sopravvento su quella economica che comunque
rappresenta la natura della sua formazione. Quando alla critica allo sviluppo e all’utilitarismo
si aggiunge la questione ecologica e prettamente ambientalista della compatibilità tra il
funzionamento di una società e lo spazio biologico disponibile, allora il risultato di questo
incontro è la necessità di una società che scinda il miglioramento del benessere individuale
dall’aumento quantitativo della produzione e del consumo materiale; in una parola, la
necessità di una società della decrescita.
La co-esistenza di queste due dimensioni – antropologica ed economica – è una delle
caratteristiche fondamentali di Serge Latouche e della stessa proposta di trasformazione, una
“matrice di alternative” che arriva a toccare una varietà di temi che vanno dai valori e dai
concetti umani sino alle strutture e alle istituzioni economiche e sociali, passando per le
misure idonee ad una transazione che attui la decrescita dell’impatto ambientale e del “benavere”
per far aumentare invece il “ben-essere” e la gioia di vivere. Allo stesso tempo però, è
in questo schema marcatamente sbilanciato sulla dimensione antropologica, che vanno
inquadrati i limiti di un approccio non pienamente analitico, soprattutto da un punto di vista
economico. Nonostante questo, l’opera di Serge Latouche costituisce il punto di riferimento e
la base concettuale fondamentale per comprendere ed intraprendere il cammino verso la
decrescita economica.
I “contorni” della decrescita vengono definiti per la prima volta nel settembre 1972
durante la conferenza Energia e Miti Economici tenuta alla Yale University da Nicholas
Georgescu-Roegen. Nell’ambito della critica alla crescita economica infinita all’interno di
una biosfera finita, l’economista rumeno si sofferma sulla concezione dello stato stazionario,
originariamente proposta da John Stuart Mill e successivamente ripresa da Herman Daly,
portando alla luce “il punto, importante ma trascurato, che la necessaria conclusione dei
ragionamenti in favore di quella visione è che lo stato maggiormente desiderabile non è
quello stazionario, ma uno di decrescita. Indubbiamente la crescita attuale deve cessare,
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meglio, deve invertirsi”1. Ventitre anni dopo infatti (1995) sarà proprio La Decrescita il titolo
di una sua raccolta di saggi pubblicata in Francia nella traduzione di Jacques Grinevald, che è
effettivamente il primo ad utilizzare questo termine.
Nel 1999 Vincent Cheynet e Bruno Clémentin danno vita all’associazione Casseurs de
Pub che ha come obiettivo quello di promuovere la riflessione e la creatività verso una critica
della cultura del consumo e in sostegno di possibili alternative. Tre anni più tardi si avranno i
primi segnali evidenti dell’aumento dell’interesse intorno a questa riflessione sugli effetti
ambivalenti e contradditori del progresso. Nel marzo del 2002 infatti, nella cornice del
palazzo dell’UNESCO, si tiene a Parigi il convegno internazionale Défaire le dévelopment,
refaire le monde promosso da Serge Latouche e da La Ligne d’horizon,
contemporaneamente all’uscita sulla rivista ecologica Silence di un numero speciale dedicato
alla decrescita, nato dalla collaborazione tra Cheynet, Clementine, lo stesso Latouche e la
ROCADe.
Sulla scia dell’inatteso successo di quell’evento, con più di cinquecento persone
presenti e centinaia rimaste in lista d’attesa, nel settembre 2003 verrà organizzato a Lione
un secondo convegno internazionale esplicitamente dedicato alla Décroissance soutenable
e promosso dalle riviste Silence, Casseurs de Pub e L’Ecologiste. In quella stessa occasione
verrà presentato il volume Objectif Décroissance. Da sottolineare come, dal convegno e dal
gruppo di ecologisti che ruotava attorno alle riviste organizzatrici, nacque l’esigenza di fare
un giornale esplicitamente dedicato al tema della decrescita che nascerà poi nel marzo del
2004 con il titolo La Décroissance. Per comprendere la vastità e l’intensità del fenomeno, a
un anno e mezzo dal primo numero, il giornale vende 25 mila copie, di cui 14 mila in edicola
e 5 mila in abbonamento. Il bimestrale, interamente finanziato dai lettori, si appoggia su una
rete di intellettuali tra cui Serge Latouche e Majid Rahnema. Solo nel 2005 si inizierà a
parlare di decrescita anche in Italia.
Questo breve excursus storico si rende necessario per sottolineare la centralità della
Francia nell’evoluzione del dibattito che ruota attorno alla decrescita ed in particolare della
figura di Serge Latouche, che più volte è stato chiamato in causa come “teorico della
decrescita”2. Risulterebbe infatti difficile, se non impossibile, inquadrare un dibattito
economico serio ed analitico su questa questione, senza fare riferimento proprio all’autore de
La Scommessa della Decrescita, manifesto teorico e “bibbia”3 della decrescita.
Nato a Vannes, in Bretagna, il 12 gennaio 1940, Serge Latouche è professore emerito
di Scienze Economiche all’Università di Paris-Sud (Orsay) e all’Institut d'études du
développement économique et social (IEDES) di Parigi. Nel tentativo di tracciare un profilo
biografico che delinei il percorso formativo, professionale e culturale, risulta significativa
l’intervista che Serge Latouche ha rilasciato ad Arianne Jossin della rivista Ecorev4, nella
quale viene raccontata la “maturazione” che lo ha portato ad essere uno tra gli avversari più
noti dell’occidentalizzazione del pianeta e a partorire il suo contributo teorico fondato sul
concetto di decrescita conviviale e di localismo.
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Negli anni tra il 1964 e il 1966 scrive la sua tesi sullo Zaire – La pauperistion à
l’echelle mondiale – in cui veniva dato sostegno ad uno sviluppo pianificato da ottenersi
attraverso un’accumulazione di capitale più rapida possibile e la scorciatoia tecnologica. Di
stampo dichiaratamente marxista, questa tesi prendeva a modello l’Algeria di Houari
Boumédienne, quarto presidente dello stato nordafricano in carica dal 19 giugno 1965 al 27
dicembre 1978, dove il recupero verso i paesi avanzati si fondava sull’utilizzo delle tecnologie
più sofisticate. Un suo viaggio in Laos un anno più tardi, gli fa scoprire una società “né
sottosviluppata né sviluppata”, semplicemente al di fuori dello sviluppo, dove “le comunità
di villaggio, che coltivavano un riso appiccicoso e lo ascoltavano crescere, una volta che il
riso era seminato non avevano più nulla da fare e approfittavano così del resto del tempo per
dedicarsi alle feste, alla caccia, ecc…”: una società relativamente sobria ma comunque in
equilibrio con l’ambiente naturale. Da questa esperienza nasce in Latouche una crisi, prima di
tutto come economista, che avvolge la sua fede nell’idea di crescita e sviluppo.
Al ritorno in Francia nel maggio 1968, riesce subito a trovare un posto all’università a
causa dell’esodo di quasi tutti i professori verso Parigi e Lille e a ritrovarsi “a fare ciò che
volevo o quasi”, iniziando corsi di filosofia economica e di epistemologia economica. In
particolare ha insegnato una decostruzione critica dell’economia politica, attraverso anni di
riflessioni fondamentali sull’homo oeconomicus, passando soprattutto per l’antropologia
economica – oggetto dei lavori per i quali è conosciuto – e rifacendosi al pensiero di autori
come Karl Polanyi, Marshall Sahlins e Marcel Mauss. La realtà sociale oggetto
dell’antropologia economica era, a detta di Latouche “totalmente estranea agli economisti e
che perciò doveva riguardarli e interrogarli”, riflessione che conduce alla nascita di Critique
de l’Imperialisme, un primo libro dove teorie marxiste e leniniste dell’imperialismo erano
oggetto di critica, in un’interpretazione dello sviluppo e del sottosviluppo come
“deculturazione”. L’Occidentalisation du Monde e Faut-il Refuser le Développement? seguono
il precedente lavoro, nei quali non è ancora presente nessuna dimensione ecologica,
focalizzando nuovamente l’attenzione su imperialismo occidentale e deculturazione, piuttosto
che sui limiti naturali, ancora “non rientranti nel suo schema”. Malgrado la conoscenza e la
convergenza con i lavori e le conclusioni del Club di Roma, solo con La Planète des Naufragés
avviene una vera e propria integrazione.
Importante resta sempre il riferimento all’ambiente culturale ed in particolare a
quella “piccola massoneria internazionale” che andava formandosi in quel periodo, collegata
direttamente o indirettamente alla figura di Ivan Illich e ai suoi “discepoli o studenti” come
Majid Rahnema o Wolfgang Sachs, che facevano dell’ecologia la loro cultura e dell’impostura
dello sviluppo la loro denuncia fondamentale. Il quadro di riferimento del concetto di
“sviluppo” di quell’epoca “era sempre in rapporto al sud del mondo, perché era il nord che
sviluppava il sud”, da qui le riflessioni sulla possibilità di queste società di poter sopravvivere
allo sviluppo subito e le descrizioni di come gli “esclusi” si auto-organizzano e sopravvivono
in L’Altra Africa, tra Dono e Mercato. Parallelismi con il Laos ritornano proprio
dall’osservazione diretta di come queste persone sopravvivessero al di fuori dell’economia
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riconoscendo “una ricchezza di creatività e di auto-organizzazione a tutti i livelli: societario,
d’immaginario, tecnico e produttivo che corrisponde più o meno alla nebulosa dell’economia
informale” e la capacità di produrre ricchezza attraverso una grande ricchezza relazionale:
“questo dovrebbe fornirci degli orientamenti su ciò che potrebbe essere un’altra idea di
crescita o una via di uscita da essa, con meno beni materiali e più beni capaci di portare gioia
di vivere. Ecco quindi come il percorso di Latouche non sia passato da Marx a Georgescu-
Roegen ma piuttosto da Marx a Illich.
E’ lo stesso professore francese a riconoscere come, quando nel 1979 Jacques
Grinevald aveva tradotto e pubblicato un insieme di saggi dell’economista rumeno sotto il
titolo Demain la Décroissance. Entropie, Ecologie, Economie, questo approccio critico
dell’economia attraverso l’ecologia non entrasse nei suoi schemi di pensiero. E’ piuttosto la
corrente “anti-sviluppo” o del “doposviluppo”, formata da esperti che come lo stesso
Latouche avevano vissuto nel terzo mondo, a maturare la svolta nel suo pensiero e
l’abbandono delle posizioni marxiste tradizionali verso una critica radicale delle ideologie del
“progresso” e dello “sviluppo” anche nella loro versione di sinistra. La riflessione di questa
“piccola internazionale”, ispirata come detto alla figura emblematica di Illich, ma anche a
Jacques Ellul e Francois Partant, si è concentrata sulle forme di auto-organizzazione delle
società-economie vernacolari, senza però porre la prospettiva di un’alternativa economicosociale
complessiva.
Saranno la crisi dell’ambiente e la globalizzazione economica che porteranno ad
approfondire le implicazioni di tale critica sull’economia e le società dei paesi sviluppati, ed in
particolare ad affrontare la problematica perfettamente ecologista della “compatibilità tra il
funzionamento di una civiltà e lo spazio biologico disponibile” nella convinzione
dell’esistenza di limiti esterni all’economia e del fatto che “il modo di produzione capitalista e
la crescita economica sono distruttori dell’ambiente”. Inizialmente interessanti a progetti
come quelli di José Bové o delle cooperative come Ambiance Bois e Ardelaine, e criticati per
questo a causa della non serietà e della mancanza di una vera alternativa, la riflessione
assume questo significato: “se si rigetta lo sviluppo e la crescita che vi è dietro, allora è
necessario pensare a una società di decrescita. La decrescita non è un’alternativa, ma è una
matrice di alternative: sintetizza in una sola parola d’ordine un insieme di aspirazioni”. Da
segnalare infine come Serge Latouche, oltre a presiedere l’associazione La Ligne d’Horizon,
sia tra i fondatori, nel 1981 insieme ad Alain Caillè, del Movimento Anti-Utilitarista nelle
Scienze Sociali (MAUSS) esplicitamente ispirato ai lavori dell’etnologo, sociologo e storico
delle religioni Marcel Mauss e alla sua critica dell’economicismo.

Note
1 N. GEORGESCU-ROEGEN, Energia e miti economici, conferenza alla Yale University, 8 novembre 1972.
2 J.-M. HARRIBEY, Sviluppo e crescita non sono necessariamente appaiati, “Le Monde diplomatique – il manifesto”,
luglio 2004.
3“L’Ecologiste”, n. 20, settembre-novembre 2006.
4 A. JOSSIN, De Marx à la décroissance, entretien avec Serge Latouche, “Ecorev”, gennaio 2006,
www.ecorev.org/spip.php?article446; trad. it. di Manuel Antonini.