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La guerra civile Iugoslava e a dieci anni da quella in Kosovo.

di Stefano Vernole - 11/05/2009

Fonte: il paroliere

Stefano Vernole, autore de “La questione serba e la crisi del Kosovo”, rivede in chiave critica verso la NATO e l’Europa, gli anni della guerra civile Iugoslava e a dieci anni da quella in Kosovo.



D. Nel tuo libro hai parlato della regione del Kosovo e Metoija sin dalle sue prime origini ai più sconosciute e già da lì traspare un desiderio di autonomia e distinzione dalle altre popolazioni slave. E’ un segno del destino?



Se guardiamo alla geopolitica della regione già in tempi molto addietro, tale situazione si è verificata perché i serbi sono emigrati sempre più a nord, sotto la spinta dell’Impero Ottomano, fuori dal Kosovo che era la loro regione di insediamento originario, insieme alla Raska, ovvero la Serbia meridionale e ciò unitamente al fatto che gran parte degli albanesi si sia convertita all’Islam, collaborando attualmente con l’Impero Ottomano ha fatto sì che si destasse anche la questione religiosa oltre a quello demografica, anche se ovviamente è più corretto parlare di un contrasto fra diritti nazionali che si confrontano; un po’ quello storico serbo che in Kosovo e Metohija trova la sua patria spirituale con i suoi quasi 1200 monasteri cristiano-ortodossi e l’immigrazione albanese che è diventata più preponderante dopo il 1945.



D. Dal libro emerge anche un chiaro tentativo dell’Occidente di frammentare la Iugoslavia, di bloccare le iniziative serbe. A dieci anni di distanza a cosa sarebbe servito tutto ciò?



La Iugoslavia era stata creata alla fine della prima e della seconda guerra mondiale come baluardo prima anti-sovietico e poi anti-tedesco. Quando è crollato il muro di Berlino il ruolo di barriera geopolitica della Iugoslavia è venuto meno e c’è stata questa frammentazione che probabilmente sarebbe potuta avvenire anche in modo pacifico se dall’esterno non si fosse soffiato sul fuoco. Quanto abbia convenuto all’Occidente è difficile a dirsi. All’Europa è convenuto poco, perché dopo la guerra del 1999 ha potuto vedere come, bombardando tutti i ponti sul Danubio, si sia avuta una perdita secca per l’economia, in particolare per quella tedesca, nonostante il ruolo avuto dalla Germania nell’addestrare con i suoi servizi segreti l’Uck, ovvero la guerriglia albanese. E’ convenuto agli Usa, con l’intervento della NATO nel 1999 per diverse ragioni. Innanzitutto gli Usa hanno visto riconosciuto il loro rango di potenza planetaria ed hanno fatto capire agli europei la necessità dell’aiuto di Washington per risolvere i loro problemi interni. L’Europa infatti dopo questa guerra ha perso qualunque capacità di regolare le proprie questioni in modo autonomo. La NATO ha inoltre soppiantato l’ONU nella regolamentazione delle crisi internazionali, perché l’azione contro la Serbia si è svolta senza alcuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza a causa del veto russo-cinese. Si è favorita inoltre una frattura ancora forte ed attuale fra il mondo occidentale e quello slavo-ortodosso, in particolare con la Russia, anche perché l’obiettivo strategico degli Usa è impedire una saldatura fra l’Europa e la Russia e si è creato in Kosovo un protettorato statunitense con la base di Camp Bond Steel, la più grande base americana presente in Europa e lunga ben 25 km: un protettorato permanente in una zona strategica essenziale in modo che la NATO possa svolgere il ruolo di gendarme nei Balcani, nel Mediterraneo e nell’Eurasia. Dal 1999 tutto ciò ha costretto la Iugoslavia e la Romania, ancora fuori dalla NATO e simpatizzante della causa serba per motivi religiosi, ad entrare in questa organizzazione ed inoltre ha avvantaggiato una sorta di dorsale islamica in Europa così che gli Usa potessero compensare nei confronti degli stati amici arabi, l’aiuto che Washington ha sempre dato ad Israele. La dorsale che passa dalla Bosnia, il Sangiaccato, la Macedonia, l’Albania e la Turchia costituisce inoltre anche il percorso geografico fondamentale per gli oleodotti, il cosiddetto “Progetto Nabucco” che in pratica consentirebbe di trasportare il petrolio dal Mar Caspio verso l’Europa, lasciando fuori Russia ed Iran.



D. Tornando alla realtà storica attualizzata, ci sono verità poi effettivamente confermate dai fatti e dalle indagini sugli errori della Nato. Tutto ciò non ha cambiato però l’atteggiamento costante di accusa unilaterale verso la Serbia e non anche in Kosovo, dove personaggi sospetti oggi hanno invece posizioni di rilievo?



V. Tutto ciò dipende dal fatto che la Serbia, nonostante un certo collaborazionismo da parte del governo di Belgrado, per ovvi motivi cioè per il fatto che sono passati solo 10 anni dalla guerra e soprattutto perché rinunciare alla questione di Kosovo e Metohija costituirebbe uno scacco terribile non solo sul piano legislativo (infatti la costituzione serba impone di preservare l’integrità territoriale del paese), ma anche sul piano dell’identità nazionale, non è ancora entrata nella NATO. Questi fattori allontanano la Serbia dalla NATO e la consegna dei criminali di guerra è un ricatto permanente con cui si vuole incamminare la Serbia verso l’UE e la NATO stessa. Le medesime situazioni non sussistono invece per il Kosovo perché con il piano Ahtisaari, la NATO resta stabilmente nella regione ed anche in caso di indipendenza, tutto resterebbe sotto controllo.



D. L’immagine di Milosevic. Sterminatore o semplice gestore duro del vecchio potere iugoslavo in decadenza contro tutti e con ogni mezzo? Che idea ti sei fatto della sua persona, delle sue responsabilità in Bosnia, in Croazia e della sua morte?



V. Milosevic è stato un grigio burocrate dell’ex apparato socialista iugoslavo, sicuramente non paragonabile ad Hitler o Stalin, come spesso è stato detto. Ha le sue responsabilità come le hanno avute anche altri leader da Tudjman in Croazia ad Itzebegovic in Bosnia-Erzegovina, nella guerra civile iugoslava. E’ stato scaricato tutto sulle spalle di Milosevic perché ha cercato di difendere quelli che erano i diritti nazionali dei serbi, per motivi storici sparsi per l’ex Iugoslavia. Ricordiamo che al momento della secessione della Croazia c’erano mezzo milione di serbi che si trovavano lì e che in un attimo si trovarono in un paese la cui costituzione recitava ”La Croazia è la patria dei croati” e quindi risultavano una minoranza in difficoltà. La Bosnia poi è un caso ancor di più eccezionale, perché si è concessa l’autodeterminazione a diversi popoli dell’ex Iugoslavia, dalla Slovenia alla Macedonia, fino alla Croazia, mentre i serbi di Bosnia che chiedevano per sé la medesima soluzione, si sono trovati intrappolati in uno stato innaturale e questo è stato uno dei tanti motivi che hanno scatenato la guerra civile. Bisogna dire che soprattutto nella parte finale ha dimostrato una certa determinazione nel difendere il suo paese, anche se è rimasto una figura a metà, ha sfruttato cioè il nazionalismo serbo per mantenere il suo potere. Quanto alla sua morte all’Aia restano tanti lati oscuri, tant’è che in Europa abbiamo visto poco del dibattimento, ma in Iugoslavia dove è stato seguito il processo, chi lo ha visto e chi ha fatto attenzione gli atti ed esaminato le accuse, ha notato che si trattava di prove molto minimali e difficili da supportare. Pertanto la sua morte improvvisa lascia molto dubbi, tanto più che da tempo era stato indicato il suo bisogno di determinati medicinali indispensabili per la sua incolumità fisica.



D. Si è molto abusato dei termini “Grande Serbia” e “Grande Albania”, ma oggi il Kosovo rappresenta realmente la “Grande Albania” ed è in prospettiva qualcosa che può rappresentare in futuro una potenza etnica molto forte o solo un aggregazione di stati satelliti ed ex oligarchie?



V. Il pericolo della “Grande Albania” esiste, anche perché il Kosovo in fondo è solo una parte e nei Balcani il nazionalismo da qualunque gruppo etnico e religioso provenga può diventare un pericolo. Lo abbiamo visto negli anni Novanta e quella situazione può ripresentarsi in ogni momento. Quanto agli albanesi essi oggi si ritrovano ad avere due stati, l’Albania ed il Kosovo, per quanto nella parte Nord i serbi abbiano ancora il controllo della provincia. Sostanzialmente la Grande Albania non si ferma qui, ma comprende anche la Macedonia, parte del Sangiaccato, del Montenegro e della Grecia e con il processo di indipendenza che si è messo in moto con la secessione del Kosovo, il rischio di creare un effetto domino è reale. L’Europa e la NATO hanno tutte le carte in regola dal punto di vista militare per frenare questo pericolo e l’integrazione europea nei Balcani è la carta migliore, ma non si deve soffiare sul fuoco dei nazionalismi presenti in modo forte nei singoli stati.

D’Altronde il precedente della secessione del Kosovo ha scatenato già un nuovo seguito che è sfociato nella guerra fra Russia e Georgia e nella secessione dell’Ossezia del Sud. Si è voluto fare del Kosovo un caso “irripetibile ed eccezionale” ed invece in pochi mesi Abhkazia ed Ossezia del Sud hanno adottato la medesima strada. Questo è il motivo per cui è necessario che il processo già in atto si fermi qui e non si vada oltre con ulteriori divisioni.



D. A distanza di dieci anni, Mladic resta l’ultimo tassello di “purificazione” dell’area dai resti del passato. Alla fine né Milosevic, né Karadzic con i loro misteri e le loro responsabilità hanno chiarito quello che c’è ancora da chiarire. Cosa resta da sapere di quel lungo periodo di sfaldamento di una nazione e degli equilibri ad essa sottesi?



V. Sicuramente è da accertare il ruolo che i servizi segreti occidentali hanno giocato nello sfaldamento della Iugoslavia. Ricordiamo che pochi mesi fa ad esempio al Tribunale dell’Aia, sono stati forniti documenti in base ai quali, Jovica Stanisic che era il capo dei servizi segreti serbi, sin dal 1991, collaborasse con la CIA. Questo è un tassello molto importante ed infatti nel libro mi soffermo sul ruolo dei servizi segreti occidentali nella caduta di Milosevic nel 2000, quando ufficiali e membri dell’esercito erano stati comprati o “arruolati”, depennandoli poi dalle liste dei criminali dell’Aia. Nella guerra delle Krajne, c’è stato il ruolo dei servizi segreti americani nella cacciata di 350mila serbi già nel 1995, o ancora l’appoggio statunitense alla Croazia è stato molto evidente, come in Bosnia, dove i mujaheddin che avevano lavorato in Afghanistan per i servizi segreti in funzione anti-russa hanno fatto la stessa cosa contro i serbi ed infine anche in Kosovo c’è stato l’addestramento dell’Uck, da parte dei suaccennati servizi segreti tedeschi. Infatti nel corso del 1998 c’è un chiaro cambiamento di atteggiamento da parte dell’amministrazione Usa, per cui l’Uck da gruppo terroristico è diventato interlocutore da invitare agli Accordi di Rambouillet che poi sono stati la miccia che ha fatto esplodere la guerra nel 1999. Tutte questi sono tasselli che sono preponderanti per la comprensione completa degli eventi accaduti in aggiunta al ruolo che i nazionalismi balcanici hanno giocato in negativo. Infine c’è da considerare la rivalità russo-americana in una zona strategica fondamentale come i Balcani. E’ emblematica la dichiarazione dell’ex ambasciatore americano presso la Nato Hunter: “Il Kosovo costituisce la porta d’entrata nelle regioni di interesse supremo per gli occidentali”, cioè l’Iran, l’Iraq, l’Afghanistan, il Mar Caspio, la Transcaucasia e questo perché lo spazio serbo-montenegrino è attraversato da vie e canali fluviali uniche che collegano l’Europa settentrionale e centrale con quella meridionale e quindi il Medio Oriente ed il Mar Nero.



D. Cambierà qualcosa con la nuova presidenza americana nei rapporti fra Serbia e Kosovo?



V. No, la politica americana verso il Kosovo non cambierà con Obama ed infatti i primi passi sono stati abbastanza chiari, anzi ci sono recenti dichiarazioni da parte del responsabile del Dipartimento di Stato, secondo il quale bisogna impedire che i serbi possano riprendere il controllo anche della zona settentrionale del Kosovo e questo perché gli equilibri geopolitici ora stabiliti devono rimanere intatti e naturalmente non cambiano con un passaggio di mano fra repubblicani e democratici, anzi è stata proprio una presidenza democratica a scatenare la guerra nel 1999. Anche in campagna elettorale Obama ha fatto una dichiarazione significativa dichiarando di aver riconosciuto l’indipendenza del Kosovo per impedire un’invasione russa nella regione e che eventualmente si è pronti a bloccarla con gli alleati della NATO…Toni da terza guerra mondiale e la conferma che la strategia resta sempre quella.



“La questione serba e la crisi del Kosovo” – Edizione Noctua 2008 – a cura di Stefano Vernole, redattore di Eurasia-Rivista ed esperto di questioni balcaniche.