Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Quando l’aforisma è donna

Quando l’aforisma è donna

di Marco Iacona - 20/05/2009


 

Non più solo Karl Kraus, o La Rochefoucauld, Oscar Wilde o il nostro Ennio Flaiano, ma H. P. Lovecraft, Guido De Giorgio, Pietro Citati, Gianfranco de Turris, Augusto del Noce e tanti altri. E poi finalmente anche donne (in forte minoranza numerica ma di gran peso, eccome): Ayn Rand, Maria Zambrano, Simone Weil e Virginia Woolf. Decine e decine di pagine dedicate a massime, citazioni, sentenze, aforismi e quant’altro sulla saggezza, sui paradossi o sul dolore di vivere, raccolte da Paolo Maggiolo e appena pubblicate da Solfanelli editore (Adversaria. Frammenti d’autore, pp. 192, euro 10.00). Un libro che rappacifica il lettore con la citazione dotta e col buon-consiglio, quello da leggere, ritagliare e conservare nei cassetti della memoria, da qualsiasi parte o fonte esso provenga. Già la fonte… perché il bello di una massima è che essa prescinde dalla sua stessa origine. Sia essa biblica o narrata dal bagnino in spiaggia, sia shakespeariana o priva di mamma e papà, la sua efficacia rimane immutata perché la sua forza è quella di privare l’interlocutore di alcuna capacità di risposta (tiè, beccati questa…).
La massima è come un uppercut che arriva d’improvviso a ristabilire i valori degli avversari in campo. Di solito, è una sentenza a cui è impossibile muovere appello. Maggiolo, già autore di studi sul poeta irlandese James Henry l’ha capito bene, perché scrive nella sua Introduzione: «ho qui allestito una selezione di brani di natura particolare mirando a un panorama bibliografico del tutto eterogeneo, facendo cioè ricorso ad opere di finzione, a testi filosofici, a scritti giornalistici, a saggi di storia e di economia, a pagine di diario, a modelli epistolari». Insomma non è necessario che il pugile sia campione del mondo, olimpico o sia stella di provincia, l’importante è che il pugno arrivi a destinazione. Forte e preciso. Qualche esempio? Si potrebbe senz’altro aprire a caso. Alle pagg. 94-95 di Adversaria c’è una frase di Georges Bernanos tratta da Rivoluzione e libertà: il titolo, opportunamente inserito dall’autore, a precedere ogni motto o gruppo di sentenze è: Mondo alla rovescia. «Tutti hanno capito che il mondo moderno è una specie di mondo alla rovescia, ma non importa; la gente spera sempre di abituarsi a vivere con la testa all’in giù. Sopporta facilmente che dimostriate come non sia normale quella posizione, ma non appena parlate di raddrizzarla, dicono che non osservate le regole del gioco».
E poi ancora alle pagg. 152-153 c’è una frase del maestro armeno Georges Ivanovic Gurdjeff (Travestimenti), tratta dal suo celebre Incontri con uomini straordinari: «Per gli Europei, quasi sempre, ciò che sta nella loro mente sta sulla loro lingua. Per gli asiatici non è affatto così – la dualità dello psichismo è fortemente sviluppata. Chiunque fra loro può mostrarsi educato e amichevole, pur odiandovi dal profondo del cuore e rimuginando ogni genere di cattiverie nei vostri riguardi». Infine, ecco Ludwig von Mises (Marx/Marxismo): «L’incomparabile successo del marxismo è dovuto alla prospettiva che esso offre di soddisfare quelle aspirazioni fantastiche e quei sogni di vendetta che da tempo immemorabile covano nel profondo dell’animo umano. Esso promette un paradiso in terra, un paese di Cuccagna pieno di felicità e piacere e – ancora più dolce per i perdenti nel gioco della vita – l’umiliazione di coloro che sono più forti e migliori della massa»; frase tratta da Socialismo a cura di D. Antiseri (Rusconi).
Lo si sarà intuito, del resto non lo si vuol affatto nascondere: le massime raccolte da Maggiolo, oltre quattrocento, sono legate ad una visione politica detta dallo stesso curatore «di parte», in buona dose cioè libertaria e spiritualista (in senso positivo e non nell’accezione evoliana, sostanzialmente negativa). Del resto il libro vuol prendere di mira «i luoghi comuni della sinistra, i suoi miti diffusi le sue verità scomode, il suo finto progressismo, la sua grigia casacca conformista», in nome di una libertà che, come scrive Mircea Eliade (Fragmentarium, a cura di R. Scagno), s’intende parente stretta della responsabilità: «Non si può essere liberi se non si è responsabili. La vera libertà non implica “diritti”, perché questi, essendoci dati dagli altri, non ci impegnano. Si è liberi quando si risponde di tutti i propri atti». La libertà di affermazione è legata al dovere di rispondere dei propri atti e delle proprie critiche, dunque. Non basta colpire alla cieca ma occorre tenersi pronti al giudizio su se stessi. Occorre cioè che il pensiero possa farsi azione per accogliere su di se la responsabilità della propria influenza, altrimenti direbbe Eliade è solo diritto di parola. Qui ovviamente il richiamo a Simone Weil – prestigiosa ospite del volume - è quasi obbligatorio: da studiosa e teorica, l’insegnate parigina si fece infatti operaia della Renault in nome di un ammirevole – e faticoso – principio di realtà, al quale però andava coniugata una profondissima fede ritrovata.
Intendiamoci però, insieme alla Weil altre donne le cui massime sono presenti nel libro di Maggiolo stanno a testimoniare di un Novecento al femminile che ha lasciato un’impronta importante, non-conformista, più di quanto si sia soliti sostenere con buona dose di superficialità. Un Novecento al femminile la cui storia tuttavia andrebbe, per buona parte, ancora scritta. È il caso di Ayn Rand per esempio, non conosciutissima fuori da circoli abbastanza ristretti, filosofa russa naturalizzata americana (e teorica dell’oggettivismo), sceneggiatrice e precoce autrice di romanzi di successo, alcuni usciti, in Italia, per i tipi della Corbaccio. Vissuta nella Russia d’inizio Novecento, la Rand (che in realtà si chiamava Rosenbaum), fu aristotelica, libertaria e individualista e soprattutto teorizzò una felicità da raggiungere attraverso, appunto, la via individuale (o il genio o l’eroe che sta nell’individuo). Fu una capo-scuola e una convinta anticomunista, sostenne la società di mercato come bandiera di libertà del singolo e avversò tanto le ideologie quanto qualsiasi forma di astratto moralismo: «Gli occhi persi nel vuoto dei cervelli collettivizzati continueranno a fissare in lontananza, senza scoraggiarsi, la chimera del servizio reso all’umanità, confondendo i cadaveri dei viventi con le ombre del futuro, ma incapaci di scorgere l’uomo» (La virtù dell’egoismo, Liberilibri, 1999).
La sua scarsa conoscenza è dovuta al fatto che il pensiero della Rand si sviluppò lontano e dal quel socialismo lato sensu che folleggiò per l’Europa del XX secolo e dalle cricche accademiche che non accettavano il suo stile romanzato: incidente occorso a molti altri illustri autori prima di lei, ovviamente. A cominciare proprio da Nietzsche.
Con una razionalità ancora più vicina al senso poetico dell’agire troviamo invece la spagnola Maria Zambrano, coetanea della Rand (di pochi mesi più anziana),  allieva di Ortega Y Gasset e di Xavier Zubiri, ed influenzata da Unamuno e da Antonio Machado. Come la Rand la Zambrano non ama la filosofia intesa come sistema o disciplina a sé stante e come la Weil invece giunge ad una sorta di filosofia vivente che riesce a coniugare certa tradizione con le “ragioni” poetiche, l’interiorità ed il sentimento amoroso. Dal punto di vista dell’eredità filosofica dei padri nobili, la Zambrano è una agostiniana convinta (Agostino come iniziatore della nuova Europa uscita dal mondo antico): «pondus meum, amor meus» è una delle sue massime predilette. Della filosofa spagnola morta negli anni Novanta, Maggiolo riporta il seguente adagio in tema di bellezza: «La bellezza non chiede di essere sondata. Se in essa si fa avvertire l’insondabile, ciò è perché essa viene da un altro mondo, del quale sembra essere segno e scudo». E a proposito di mondi invisibili o che scompaiono fra le pagine di un libro: la londinese Virginia Woolf (nata Stephen), è una scrittrice fra le più note in Occidente ed è anche una penna tagliente come ci fa notare lo stesso Maggiolo. Protagonista di una vita spesso fuori dalle righe – oggetto di violenze in giovane età, amò anche le donne e tentò il suicidio fino al compimento dell’atto estremo il 28 marzo del 1941, per annegamento. Il suo debutto è del 1905 – anno di nascita della Rand – fu amica di intellettuali di grande nome (Russel, Wittgenstein) e animatrice di circoli culturali, ma fu sconfitta dalla depressione e dalla psicosi. I personaggi dei suoi romanzi, non scevri da un ricorrente autobiografismo, sono animati da una complessità psicologica e da una interiorità ad oggi inarrivabili. La sua concezione del tempo più che letteraria è quasi filosofica, subì infatti l’influenza dei più grandi pensatori del primo Novecento da Nietzsche a Freud, da Einstein a Bergson. Grazie poi alla sua vena “femminista” (mescolata però a certa dose di snobismo), fu ancor più rivalutata negli anni Settanta a seguito del movimento per i diritti delle donne.
Filosofe, scrittrici e scrittrici-filosofe, dunque. Quante parole da ripassare o da apprendere per la prima volta. C’era bisogno di un libro di aforismi per ricordarci quanto l’altra metà del cielo fosse in grado di stupire per la sua intelligente tenacia? Evidentemente sì, se il libro in questione narra di libertà. Libertà spirituale ovviamente: caso oggidì assai raro.