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La democrazia dei più forti

di A. Berlendis - 17/06/2009

 

 Smascheriamo le menzogne trasmesse dai media riguardo democrazia e rapporti internazionali.


 


“La guerra di Libia prima e quella europea poi hanno strappato ai giornali della borghesia
una maschera che formava l’ammirazione delle moltitudini: la maschera della correttezza,
della equanimità, della serenità.”1 Così scriveva Antonio Gramsci nel dicembre del 1916.
Possiamo e dobbiamo estendere lo smascheramento dai mass media dei dominanti: la
visita in Italia del leader libico Gheddafi è una delle possibili cartine tornasole che ha
consentito di osservare i caratteri delle forze politiche referenti dei (sub)dominanti italiani,
incluse quelle che pretenderebbero di rappresentare i dominati.


1. Una prima osservazione riguarda i modi d’azione verso l’esterno della potenza
dominante. In contrasto con la completa incomprensione dimostrata dall’esaltazione per il
Buono (Obama) di contro all’esecrazione del Cattivo (Bush), le azioni intraprese verso la
Libia negli anni ’80 del novecento, mostrano chiaramente all’opera due diverse modalità
tattiche, cioè varianti di una stessa politica egemonica degli Usa in un epoca ancora
monocentrica. “Anche se l’amministrazione [democratica] Carter non intraprese alcun
attacco militare palese contro la Libia, probabilmente fu coinvolta in un’azione segreta
molto grave. Il 27 giugno 1980, un aereo passeggeri italiano venne distrutto, mentre
sorvolava il Mediterraneo, da un missile che fece 81 vittime. Contemporaneamente, nelle
vicinanze volava un aereo libico che forse trasportava Gheddafi.[…] un rapporto del
Ministero della Difesa italiana rivelava che probabilmente era stato usato un missile ariaaria
Sidewinder, un’arma impiegata dalla Nato.”2 Invece l’amministrazione repubblicana
guidata da Reagan definì il leader libico “cane idrofobo del Medio Oriente” ed il 14 aprile
del 1986 lo bombardò: “Le bombe fatte cadere sulla Libia causarono dalle 40 alle 100
vittime, tutte civili tranne uno e ne ferirono circa un altro centinaio. L’ambasciata francese,
situata in un quartiere residenziale, fu distrutta. Tra i morti c’erano la figlia adottiva di
Gheddafi e una ragazzina adolescente in visita da Londra; tutti gli altri sette figli di
Gheddafi, e anche la moglie, furono ricoverati in ospedale per lo shock e le molteplici
ferite. […] Nel frattempo la Marina statunitense consegnava 158 medaglie ai piloti che, nel
buio della notte, avevano fatto cadere bombe da due quintali e da una tonnellata sulla
popolazione addormentata. […] Per essere sicuri che il popolo libico capisse il messaggio,
dopo il bombardamento, Voice of America ripeté più volte frasi del tipo: ‘Il colonnello
Gheddafi è il vostro tragico fardello’. E finché obbedivano ai suoi ordini, dovevano ‘subirne
le conseguenze’.”3 Questo tra l’altro avrebbe già potuto chiarire in che cosa consistevano
le differenze tra le due fronti politici—democratici e repubblicani—varianti Usa della
dicotomia europea destra-sinistra. Va rilevato inoltre che l’esportazione selettiva di un
modello politico era ed è funzionale al mantenimento della (pre)dominanza degli Usa.
Questo perché “non potendo colpire indiscriminatamente tutti i luoghi dove, a giudizio
dell’amministrazione americana, la ‘libertà’ andrebbe esportata e installata, bisogna
concentrarsi sugli ‘Stati canaglia’ […] Come il Minosse dantesco ‘giudica secondo
ch’avvinghia’, così è discrezione dell’amministrazione americana decidere chi è terrorista e
chi non lo è, chi è già pronto per essere aggredito e disarmato e chi deve invece aspettarsi
prima o poi un tale trattamento.”4 Il che significa che gli Stati uniti sarebbero rimasti l’unico
Stato a mantenere una capacità politica, di prendere le decisioni rilevanti se fossero riusciti ad impedire l’emergere di nuove potenze. Come nella sfera economica occorre in date contingenze scegliere politicamente il protezionismo per consentire, formare e sostenere
una propria autonomia e indipendenza nazionale, analoga scelta va fatta nella sfera
politica. A maggiore ragione nel caso di prodotti (forme politico-istituzionali) che
sanciscano e contribuiscano alla conferma della propria subalternità rispetto all’egemonia
della potenza dominante (oggi gli Usa). Scegliere il rifiuto del modello politico americano è
legittimato anche dal fatto che “Non esiste ‘un modello predefinito di
democrazia’,….ciascuna delle varianti democratiche oggi ravvisabili sul pianeta è legata a
differenti percorsi storici e contesti socio-culturali e, perciò, non è suscettibile di essere
esportata né tanto meno imposta con la forza. …[ma] nella cultura politica americana la
pretesa universalistica del proprio modello democratico, segnala quanto profonde siano le
radici storiche della dottrina del Manifest Destiny della nazione americana, che si trova
investita dalla sua stessa classe dirigente di una missione civilizzatrice su scala globale.”5


2. Una seconda osservazione riguarda le modalità con cui le diverse versioni della scienza
politica trattano le democrazie quale oggi si presentano. Gheddafi nella sua lezione
all’università di Roma ha proposto una definizione ed un’origine del termine democrazia: «
Prima di tutto la democrazia è una parola araba che è stata letta in latino. Democrazia:
demos vuol dire popolo. Crazi in arabo vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle
sedie. Questa è l' origine etimologica della parola». Al di là dell’improbabile attendibilità
filologica e della definizione, egli ha però efficacemente spiegato che «Se noi ci troviamo
in questa sala siamo il popolo, seduti su delle sedie, questa andrebbe chiamata
democrazia, cioè il popolo si siede su delle sedie. Invece se noi prendessimo questo
popolo e lo facessimo uscire fuori, se avessimo invece preso dieci persone e le avessimo
fatte sedere qua, scelte dalla gente che stava fuori, e loro invece sono seduti qua, quei
dieci, questa non sarebbe da chiamarsi democrazia. Questa si chiamerebbe diecicrazia.
Cioè dieci su delle sedie. Non è il popolo a sedersi sulle sedie, questa è la democrazia.
Finché tutto il popolo non avrà la possibilità di sedersi tutto quanto sulle sedie, non ci sarà
ancora democrazia». Ne ha quindi concluso che «Finché ci sono le elezioni c'è la
"rappresentanza" del popolo».6 La diecicrazia italiana composta da un intreccio tra la
lagrassiana GF&ID ed i suoi referenti politici che vogliono mantenere un ruolo subalterno
per la nostra formazione sociale ed al contempo il loro ruolo di (sub)dominanti rispetto agli
Usa, in contrasto con i nostri interessi nazionali (vedi caso Fiat-Chrysler e Fiat–Opel) si è
levata come un solo uomo contro il reato di vilipendio del rito elettorale. Proprio coloro che
stanno tramando (le scosse d’alemiane) per sostituire con referenti più consoni agli Usa
l’attuale premier, facendosene un baffetto delle elezioni, si stracciano le vesti contro chi
afferma l’inutilità delle elezioni proprio mentre stanno tentando di stracciare,
capovolgendolo o stravolgendolo, l’esito elettorale. Qui si tocca un punto più generale.
Dapprima si ha la smodata esaltazione del formalismo delle procedure e del rispetto delle
regole (fissate e manipolate a piacere dai dominanti), ma se accade che il vincitore non sia
quello (pre)scelto dai dominati Usa (Mousavi in Iran), allora prende il sopravvento il
sostanzialismo, secondo cui l’unica cosa rilevante è chi vince (Hariri in Libano). Infatti se il
vincitore è il (pre)scelto dai dominanti Usa, allora il come vince diventa irrilevante (in
questo sono un vero modello, che va dall’interruzione del riconteggio nella Florida7 al colpo di Stato in Cile contro Allende passando per le cosiddette ‘rivoluzioni arancioni’). La
categorizzazione degli schieramenti politico-sociali della politologia dominante segue lo
stesso criterio per cui il rieletto presidente iraniano Ahmadinejad è (s)qualificato come
pericoloso conservatore mentre il quisling imposto dagli Usa in Afghanistan sarebbe un
moderato
Anche la dizione del ruolo politico-istituzionale varia a seconda del grado di vicinanza e
sudditanza o distanza dal Washington consensus politico. Ad esempio il colonnello
Gheddafi è definito come dittatore mentre Mubarak, salito al potere per successione nel
1981 e riconfermato da referendum elettorali farsa per quattro volte, è definito presidente
dell’Egitto. Addirittura si giunge a stravolgere il concetto di Stato formulato da un
pensatore del calibro di Weber, e poi passato nella manualistica di ogni ordine e grado
scolastico, secondo cui “dal punto di vista sociologico, si può definire lo Stato moderno
solo a partire da uno specifico mezzo che gli è proprio allo stesso modo di ogni
associazione politica, cioè l’ uso della forza fisica. […] L’uso della forza, naturalmente,
non è il mezzo normale o l’unico a disposizione dello Stato … ma è il suo mezzo
specifico.”8 Infatti Benjamin Netanyahu ha annunciato che sosterrà la costituzione di uno
Stato palestinese demilitarizzato9
: cioè uno Stato che non si fondi sulla possibilità di uso
della forza, ossia una contraddizione in essere, ribattezzata dai mezzi di distrazione ed
inganno di massa come svolta tesa a riconoscere uno Stato(sic!) ai palestinesi (quelli
Buoni—ossia che si riconoscono nel quisling Abu Mazen). In conclusione non posso che
ribadire il disvelamento leniniano circa la funzione della democrazia come conflitto tra
gruppi di pressione, che è quella di: «Decidere una volta ogni qualche anno qual membro
della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento: ecco la
vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari
costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche».10 D’altra parte la
definizione leniniana è stata fattualmente confermata tanto che oggi se ne è potuto
concludere che “Le urne sono divenute… lo strumento di legittimazione di equilibri, di ceti,
di personale politico quasi immutabile, non importa quanto diversificato e come diviso al
suo interno.”11


3. Una terza osservazione, riguarda la dignità e l’indipendenza nazionale. A quei
parlamentari indignati per aver Gheddafi rammentato la resistenza anticoloniale va almeno
ricordato il lavoro del principale storico italiano del nostro colonialismo in Africa il quale
ricostruendo una delle figure significative della resistenza libica ha scritto: “ ‘Alcuni amici
mi hanno chiesto , più volte, di scrivere la cronaca degli anni della colonizzazione italiana.
Mi sono deciso a farlo quando ho visto il colonialista italiano distruggere il mio paese e il
suo popolo.’ […] Con questo incipit solenne, il capo arabo Mohamed Fekini el Tarabusi el
Rogebani cominciava a narrare la storia dell’occupazione italiana della Libia…Venti anni di
guerra, dunque, di attacchi e di ripiegamenti con rare pause. Venti anni di sofferenze per
un popolo che cercava, con ogni mezzo, di salvare la propria identità, la propria cultura, la
propria religione da un processo di assimilazione sempre più dispotico e devastante.”12
Analogo atteggiamento occorrerebbe da parte di una forza politica che volesse oggi
evitare la distruzione delle residue possibilità di autonomia ed indipendenza nazionale italiana, contro l’aspirante schieramento alla continuazione del rapporto (neo)coloniale con
gli Usa.
Al presidente della Camera ed allo stesso frastagliato schieramento (Pd,Idv,Udc,exAN
ecc.)—che ben si è guardato dal mostrare indignazione per le stragi Nato in Afghanistan
ed in Iraq—e che si è profondamente alterato per la mancata presenza ad una conferenza
del leader libico (il quotidiano Libero ha definito il gesto di Fini ‘Lezione al beduino.’
13/06/09), andrebbe a titolo esemplificativo ricordato, a proposito della gravità degli atti
compiuti, che durante la nostra occupazione coloniale del territorio libico: “Nel 1926 la
popolazione di Magarba era dislocata lungo il uadi Faregh (i Sciamanach) e nella Choscia
(i Reedat). ‘Ribelli’ erano gli armati e l’intera popolazione ‘civile’, donne e bambini. Si
trattava di un popolo che resisteva all’esercito italiano e non un nucleo di guerriglieri
isolato e privo del supporto popolare. Le operazioni militari italiane, e soprattutto , quelle
eseguite dall’Aereonautica assumevano proprio per questo fattore i contorni di un
genocidio programmato. L’uso sistematico dei gas è dimostrato dai documenti in cui
viene sottolineata l’efficacia dei bombardamenti.[…] Nella maggior parte delle relazioni e
dei telegrammi inviati dalla colonia al ministero si tende ad utilizzare la parola generica
‘ribelli’ per indicare le vittime delle azioni militari. …la distinzione fra armati e popolazione
civile sembra passare inosservata…”13 D’altronde a chi dimostra ogni giorno il razzistico
disprezzo per vite che non siano dei ‘nostri’ (al massimo occidentali) non si può osare
chiedere neanche il minimo della sagacia e del coraggio che dimostrò il ‘leone del deserto’
nel perseguire la resistenza all’occupante per riconquistare l’indipendenza nazionale.
Racconta Del Boca: “Tradotto a Bengasi con il cacciatorpediniere “Orsini”, il 15 settembre
lo processano nel salone del Palazzo Littorio. Il processo è soltanto una tragica farsa
destinata a rendere legale un assassinio. Mussolini ha già deciso per la pena capitale. Alla
lettura della sentenza, che lo condanna all’impiccagione, Omar al Mukhtar non si
scompone, dice: «Da Dio siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare». L’indomani, carico di
catene, il settantenne Omar sale sul patibolo.”14
Purtroppo oggi nell’arena (ma sarebbe più appropriato definirla pollaio data la statura
politica degli attori) politica italiana vi è il deserto dei leoni, mentre abbondano i ruggiti dei
conigli…

1 Gramsci ‘Cronache torinesi.’ Dicembre 1916 Einaudi
2 Blum ‘Il libro nero degli Stati Uniti.’ Fazi editore pag 419
3 Blum cit pag 416 A proposito del casus belli impiegato in quella circostanza l’autore in questione così proseguiva: “ ‘Le
nostre prove sono dirette, precise, irrefutabili.’, annunciò il presidente degli Stati Uniti. Stava spiegando che il
bombardamento americano sulla Libia del 14 aprile 1986 era una rappresaglia per la bomba libica esplosa nove giorni
prima in un night-club di Berlino Ovest frequentato da militari americani, che aveva ucciso due soldati e un civile,
ferendone molti altri. In realtà, la prova della colpevolezza libica riguardo all’esplosione non fu mai presentata al mondo
in modo preciso e diretto, ma a questo particolare si prestò poca attenzione.”
4 Canfora ‘Esportare la libertà. Il mito che ha fallito’ Mondatori paq 75-76

5 AAVV ‘Quale democrazia americana ?’ Jaca Book pag 13
6 Gian Antonio Stella 'La «lectio» antielezioni del Colonnello' Corriere della Sera 13 giugno 2009. Gustosa ed allo
stesso tempo indicativa del livello di marcescenza dell’università italiana la considerazione finale dell’articolista: “Né si
poteva pretendere che Luigi Frati, il ruspante rettore della Sapienza celebre per aver allestito nell' aula magna di
medicina la festa di nozze della figlia Paola (docente della sua stessa facoltà come anche la moglie Luciana e il figlio
Giacomo) sapesse l' arabo e chiedesse perciò lumi al Rais sul fatto che in arabo «popolo» si dica «shàb».”
7 “Nelle elezioni del 2000 Bush jr. "vinse" la presidenza grazie all’intervento della Corte Suprema, a maggioranza
repubblicana. La Corte bloccò il riconteggio delle schede perforate della Florida perché il governatore e fratello di George

W., Jeb Bush, non aveva stabilito un metodo uniforme su come contare le schede per tutte le contee.” Manisco USA
2004": la grande frode.' www.socialpress.it/article.php3?id_article=664
8 Weber ‘Scritti politici.’ Donzelli editore Pag. 178
9 http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=121296 Tel Aviv, 14-06-2009
10 Lenin, ‘Stato e Rivoluzione’ Editori riuniti
11 Canfora ‘La natura potere.’ Laterza pag 9
12 Del Boca ‘A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell’occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota
Mohamed Fekini.’ Aldini Castaldi pag 15


13 Salerno ‘Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana (1911-1931).’ Manifestolibri pag 65-
66
14 Del Boca ‘Omar al Mukhtar, credente e stratega.’ Dossier di Nigrizia Aprile 1998