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Anche le mosche, nel loro piccolo...

di Fabrizio Rondolino - 22/06/2009

La mosca uccisa da Barack Obama non aveva meno diritti del presidente degli Stati Uniti a vivere su questo pianeta. Le mosche sono organismi complessi che funzionano più o meno come noi, sono immersi nella stessa atmosfera in cui siamo immersi noi, e proprio come noi sono destinate a nascere, crescere e morire. In più, non sono buone da mangiare. Se le ammazziamo, è soltanto perché ci danno fastidio. È in questo modo, del resto, che noi occidentali intendiamo la nostra vita su questo pianeta: ne siamo i signori e padroni, e dunque ne disponiamo a piacimento. Non siamo come gli altri animali, che danno la morte soltanto per conservare la propria vita: noi uccidiamo chi ci infastidisce. Moscerini, foreste, leoni, fiumi, aborigeni: non c’è stata creatura vivente che non abbiamo condannato alla pena capitale. C’è un motivo per cui ci sentiamo i signori della creazione: diversamente dagli altri esseri senzienti, abbiamo l’intelligenza.



È la ragione a renderci speciali, pensiamo, e ne siamo talmente convinti che il nostro stesso pensiero pensa il mondo diviso in due: da una parte ci sono io, dall’altra c’è tutto il resto. Ma probabilmente non è così. Non c’è bisogno di essere ambientalisti militanti per sapere che siamo parte di un sistema molto complesso, la cui alterazione può produrre danni a tutti, e dunque anche a noi. Certo, una mosca non è la foresta amazzonica: e per quante Obama ne ammazzi, è ragionevole presumere che non si estingueranno. Tuttavia, l’idea che il mondo sia uno, e che noi ne siamo parte insieme con centinaia di migliaia di altre specie con uguali diritti e uguali doveri, comporta anche un’etica conseguente: non si toglie la vita senza motivo a nessuno degli esseri senzienti. È precisamente la retta ragione a insegnarcelo: quella ragione che dovrebbe distinguerci dagli altri, e che più spesso ci rende infelici, o inutilmente crudeli.