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Zygmunt Baumann. Vite di corsa

di Mario Grossi - 30/06/2009

Luna piena
Oggi anche tu
Vai di fretta

Issa (1762-1826)

È da tempo che Zygmunt Baumann fa ruotare la sua riflessione sulla “liquidità” come fondamento del mondo contemporaneo e su come la liquidità sia diventato il paradigma che informa tutti gli ambiti del nostro vivere. Nel corso degli anni si sono succeduti molti suoi libri che declinavano questo concetto in svariate salse. Testi che cesellavano contorni di un’unica idea, se vuoi geniale, ma che si stemperava in una tonalità monocorde, applicando questo modello alla riflessione sulla vita quotidiana, sul consumo, sul lavoro, sull’amore, sui rapporti interpersonali. Uno schema di base replicabile costantemente ed in modo assai uniforme tanto da poterlo definire come pietra fondante di tutta la società così come si è evoluta in questi anni.

vite-di-corsa_fondo-magazineA togliere un po’ di quella noia che ci prende a rifare gli stessi discorsi sempre uguali giunge a fagiolo un libretto edito da Il Mulino nella collana “Voci” dal titolo Vite di corsa che porta come sottotitolo, a mio avviso fuorviante, Come salvarsi dalla tirannia dell’effimero. Il volumetto ripropone in forma scritta la “Lezione Magistrale” che Baumann tenne all’Università di Bologna in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2007-2008. Il sottotitolo è fuorviante perché l’intera lezione, seppur con molte digressioni, parla sostanzialmente del tempo e di come la società contemporanea abbia trasformato il concetto di tempo.

La tesi di fondo può apparire scontata. Mentre nella società premoderna il tempo è circolare (ciclico) e nella società moderna il tempo è lineare, nella postmodernità liquida il tempo acquista una caratteristica puntiforme. È, usando le parole di Baumann, “puntillistico”. Questa forma temporale, sostiene Baumann, ha un significato strumentale e necessario ai fini del modello economico che pone il consumo come sua base.

Tutta la lezione parte da una pubblicità che una rivista di moda proponeva per sostenere la nuova stagione autunno-inverno di una prestigiosa casa di moda “una mezza dozzina di look all’avanguardia per i mesi a venire, che vi faranno essere molto avanti rispetto alla gente che ha stile”. In questo slogan è condensato tutto il discorso che segue. E l’esempio della moda è in qualche modo paradigmatico al fine di capire i meccanismi che fanno muovere la società odierna. In primo luogo “essere e restare avanti” è l’unico modo per farsi apprezzare dalla “gente che ha stile”. In secondo luogo quel “per i mesi a venire” sottintende un “presto affettatevi, non c’è tempo da perdere”. In terzo luogo, visto che sono offerti “una mezza dozzina di look”, si è liberi di scegliere (sempre coattamente tra un numero predefinito di capi d’abbigliamento). Questi tre messaggi uniti insieme annunciano lo stato d’emergenza.

In sostanza nella rapida rotazione delle mode bisogna sottostare ad una ruota che ci impone costanti cambi di gusto che ci permetteranno di non rimanere mai indietro. Per poter fare questo il consumatore deve immolarsi a due leggi fondamentali. Da un lato il rapido apprendimento, dall’altro il fulmineo oblio. È evidente che per stare al passo con la moda (ma la moda è solo un esempio, voi applicatela al campo che più desiderate) bisogna imparare velocemente, documentarsi almeno semestralmente per captare immediatamente i nuovi dettami che ci vengono offerti per farsi trovare pronti al nuovo acquisto. Dall’altra parte è necessario, imparati i nuovi fondamenti, scordarsi rapidamente dei precedenti. Questo per due motivi fondamentali. Il primo è che la finitezza della capacità immagazzinatrice del nostro cervello impone la rimozione di informazioni non più utili perché obsolete. Il secondo perché, per evitare di generare una personalità schizoide, è necessario che l’oblio si stenda su un recente passato che, amato fino a ieri, dobbiamo disprezzare nel presente. Come potremmo infatti, desiderare ardentemente e poi rapidamente acquistare un maglione marrone, se prima non ci scordiamo del maglione verde che ci aveva fatto impazzire fino al giorno prima?

Questa attitudine indotta è necessaria in un modello di consumo che si fa sempre più spinto. Se infatti il modello economico si basa su crescenti volumi di acquisto e di consumo (in realtà non si consuma niente, non se ne ha il tempo) è necessario far propri questi due imperativi: impara svelto e dimentica ancor più rapidamente. È per questo motivo che anche il modello di tempo deve cambiare, perché, se vogliamo supportare questi due imperativi categorici su cui si basa la filosofia del consumo, sono necessari strumenti adeguati. E il concetto di tempo è uno strumento poderoso. Infatti in una società dedica al consumo conpulsivo non ha senso il tempo circolare e neppure quello lineare. È necessario svincolare il consumatore dal passato e dal futuro, concentrando la propria attenzione sul presente. Il tempo ciclico ed il tempo lineare, seppur con accenti, toni e ambiti diversi sono dei tempi ben ancorati al passato ed al futuro. Il tempo ideale per il consumo compulsivo è senza ombra di dubbio il tempo puntillistico, svincolato da entrambi.

Il tempo puntillistico si presenta come una serie di quanti temporali, dei frammenti, delle schegge di tempo, compiuti in sé e separati dal precedente e dal successivo, che non hanno dunque consequenzialità né ciclica caratterizzata da un passato e da un futuro immersi in un tempo mitico dalla freccia ferma (in realtà in movimento bidirezionale), né lineare in cui esiste un passato ed un futuro dalla freccia in movimento unidirezionale. Il tempo puntillistico invece non ha memoria del passato da cui è svincolato da una serie infinita di interruzioni (i salti da un frammento all’altro) né proietta la sua vista nel futuro dal quale è separato da altrettante innumerevoli interruzioni (i salti da un frammento all’altro).

Si capisce così perché è necessario un tempo di questo genere per indurre gli umani all’acquisto. Bisogna far focalizzare tutta la loro attenzione sul frammento di vita (e di tempo) rappresentato da quell’acquisto, inducendo uno stato d’emergenza permanente, costringendoli ad un apprendimento rapidissimo e strumentale (ai fini dell’acquisto) e obbligandoli all’oblio subitaneo (una volta esaurito l’acquisto) per poter preparare il terreno per l’acquisto successivo. È anche per questo che è necessario slegare, con frammenti temporali distinti, la mente del consumatore dal passato (dimenticato nell’oblio) e dal futuro (impossibile da delineare se non nell’apprendimento subitaneo che precede il frammento temporale adiacente). Non a caso il mezzo di pagamento preferito dal modello consumistico è la carta di credito. Mezzo di pagamento che non ha passato (l’utilizzatore non ha la necessità di verificare la sua consistenza bancaria per effettuare l’acquisto) e non ha futuro (visto che per accedere all’acquisto non è necessario, in mancanza di fondi, procrastinare l’acquisto o programmarselo in attesa di aver risparmiato sufficienti quantità di denaro). Credo che sia un meccanismo di questo tipo che ha permesso a molti cittadini di indebitarsi fino al collo senza quasi rendersene conto.

Tutto torna in questo modello liquido di consumo. Per poter far consumare sempre di più sono necessari consumatori senza radici, privi di passato, senza futuro da circuire momentaneamente. Al contorno sono fondamentali mezzi di pagamento, tempo, luoghi adatti. È su questa frammentarietà che si fonda insieme allo stato di perenne emergenza il potere del modello consumistico. La scena che ci appare sotto gli occhi sempre più veloce è dunque una serie di fotogrammi che si muovono a strattoni, scollegati e saltellanti. La scena è grottesca e rimanda visivamente alle comiche di Ridolini dove la pellicola beccheggiando ci presenta fotogrammi fermi in sé ma accelerati nel complesso che danno alle scene anche più drammatiche un senso del comico angosciante.

Ecco siamo così, tanti Ridolini, quando ci accalchiamo in gruppi fuori dei negozi che stanno cominciando i loro saldi e che ci propineranno immondizia obsoleta già il giorno dopo. Questo tipo di frammento temporale non può essere assimilabile al carpe diem che ci permette di cogliere il presente nel suo fermarsi e dilatarsi nella concentrazione atemporale virtuosa, proprio perché invece di fermare il tempo (sospendendolo tra un passato ed un futuro che vorrebbero tiranneggiarci) in realtà lo accelera in maniera smodata tanto da renderci ridicoli manichini.

Il problema è dunque quello di fermare il tempo in quel presente proficuo che bilancia passato e futuro senza esserne inghiottito e non rincorrere un’accelerazione che ci rende schiavi. Chi però oggi può fermare il tempo? Quale Dio fermerà il sole, come sotto le mura di Gerico, se Dio è morto?

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