Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Incontri felici

Incontri felici

di Francesco Lamendola - 01/07/2009


 

Questo articolo è dedicato a Milena.

È un genere di esperienza che si può descrivere in termini generali, ma che si arriva a comprendere veramente solo quando se ne sia fatta personale esperienza.
Talvolta, e proprio quando il nostro cammino esistenziale tende a farsi più difficile, ci accade di imbatterci in un altro essere umano che svolge, nei nostro confronti, la funzione che ci potremmo aspettare da una creatura angelica: quella di illuminare, pacificare e trasfigurare il nostro essere, rinnovando la nostra energia e donandoci una preziosa carica di serenità, ottimismo e rinnovata fiducia in noi stessi.
In linea generale, è corretto affermare che noi facciamo gli incontri importanti della nostra vita quando siamo maturi per farli; che le cose ci accadono, quando è giunto il tempo in cui ci devono accadere. Perciò può succedere che, se la nostra evoluzione spirituale è ancora molto imperfetta, le cose preziose ci passano accanto senza che noi riusciamo a vederle; e gli angeli che potrebbero soccorrerci, ci sfiorano, senza che riserviamo loro un solo sguardo.
Così pure, se il nostro sviluppo spirituale è avviato, ma ancora impastato di tendenze regressive e legato a false immagini di bene, può accadere che noi riconosciamo quelle situazioni e individuiamo quelle benefiche presenze; ma poi, per insufficienza di maturità e per scarsa consapevolezza, quello stesso incontro, che avrebbe potuto essere fonte di bene, diviene invece fonte di male: di sofferenza, delusione e scoraggiamento.
La bellezza delle cose è un riflesso della bellezza dell'Essere. Tuttavia, perché noi, menti finite, riusciamo a scorgerla, ciò dipende dal nostro livello di evoluzione spirituale: ossia, in ultima analisi, dal nostro stesso grado di bellezza interiore (cfr. anche i nostri precedenti articoli: «Il segreto è capire che tutto ciò che abbiamo amato esiste per sempre» e «Che cos'è la realtà?», consultabili entrambi sul sito di Arianna Editrice).
Una bella persona riesce a scorgere la bellezza, andando al di là delle apparenze, anche quando essa sia velata o nascosta dietro un aspetto modesto, oppure quando essa sia solamente potenziale. Viceversa, una persona immersa nelle proprie pulsioni negative, nel proprio egoismo e nella propria ignoranza, non sarebbe in grado di scorgerla neppure se essa risplendesse in tutto il suo abbagliante fulgore.
In altri termini, le cose sono pronte per noi solo quando noi siamo pronti per esse: nel bene come nel male; e il caso non esiste.
Collegata a questa dinamica fondamentale è la circostanza, che si può facilmente osservare ad ogni momento, che vi sono persone le quali, a seconda della compagnia in cui si trovano e delle circostanze in cui agiscono, possono dare, a seconda dei casi, tutta la positività e tutta la negatività di cui sono umanamente capaci.
Ciò dipende dal fatto che la grande maggioranza delle persone, diciamo il 95% del totale, non possiedono né una forte personalità, né, ciò che più conta (ma le due cose sono collegate) un sufficiente grado di consapevolezza e di coscienza di sé. Ne consegue che il 5% dominante - o, se si preferisce un’espressione più gentile, «creativo» - agisce da catalizzatore, nel bene e nel male, delle energie latenti nel rimanente 95%.
Tutti abbiamo osservato, probabilmente, come la stessa persona, posta in situazioni apparentemente simili, ma dovendo interagire con persone fra loro assai diverse, sia suscettibile di portare alla luce, a seconda dei casi, la propria parte migliore, oppure quella peggiore. Infatti le persone consapevoli, quando si trovano a contatto con quelle spiritualmente meno evolute, esercitano un potente influsso su queste ultime, anche se ciò avviene in modo non intenzionale.
Non è detto che tale influsso si traduca immediatamente nel risvegliare le energie positive, anche quando si tratta di un influsso di per sé positivo; perché vi sono anime talmente sprofondate nella loro prigione di inconsapevolezza, che reagiscono - almeno inizialmente - con invidia, rabbia e aggressività alla presenza di tali catalizzatori.
Sul lungo periodo, peraltro, un influsso benefico finisce sempre per manifestarsi, a meno che le persone in questione siano preda di vere e proprie patologie psichiche, di spirali perverse dalle quali non potrebbero uscire se non, forse, imboccando deliberatamente un cammino di guarigione, sia esso di tipo medico, sia di tipo spirituale.
Ma è necessario, in quel caso, che la volontà di guarire parta da loro stesse: non è sufficiente un influsso esterno e non cercato, per quanto possa essere, in se stesso, benefico. Vale infatti, anche in simili casi, la massima che abbiamo enunciato poc’anzi: che le cose ci vengono incontro solamente allorché noi siamo pronti per esse. Pertanto, nessuna guarigione è possibile per colui e colei che non abbia maturato, e sia pure confusamente, una volontà di guarire, o almeno una aspirazione ad evadere, in qualche modo, dalla propria prigione.
Basta rifarsi agli antichi racconti, presenti in molti libri sacri e in molte agiografie di santi, relativi all’infuriare degli indemoniati in presenza dell’acqua benedetta, dell’ostia consacrata, o della figura stessa dell’esorcista. La parte oscura che è in noi, se ha messo salde radici nell’anima, non reagisce certo in maniera positiva alla vicinanza di forze benefiche.
Resta vero, in conclusione, che né il medico, né lo psicologo, né il maestro spirituale possono fare alcunché per un’anima, la quale non sia pervenuta almeno alla soglia minima della consapevolezza di sé: vale a dire alla percezione del proprio stato di malattia e ad una esigenza, morale o esistenziale, di uscirne, costi quello che costi.
Ma torniamo al nostro discorso iniziale: all’incontro felice tra due anime le quali, nel cammino polveroso della vita, talvolta giungono a darsi reciprocamente sostegno e conforto, come se una forza benevola le avesse condotte ad incontrarsi.
Abbiamo detto: «come se una forza benevola»; precisiamo che non si tratta di una semplice metafora poetica: perché siamo profondamente convinti che tale forza benevola esiste; che agisce continuamente (anche se noi, immersi in ben altri pensieri e sommersi da ben altre vibrazioni, non ce ne accorgiamo); e che è per merito suo se il mondo, nonostante tutto, riesce a conservare il proprio asse in equilibrio, impedendo alle forze distruttive e malefiche di prevalere, a dispetto delle apparenze, che parrebbero testimoniare una quotidiana vittoria del male.
La cultura New Age ama baloccarsi, da alcuni anni a questa parte, con un tema che è venuto di gran moda, e che tira forte sul mercato, oltretutto trattandolo in maniera insopportabilmente melensa e sdolcinata: quello della presenza degli angeli nella vita dei mortali.
Ora, senza affatto negare che delle presenze personali benefiche (e, purtroppo, anche malefiche) esistano e siano parte costante, ancorché invisibile, della nostra vita interiore, bisogna tuttavia tenere presente che la forza benefica di cui tali presenze sono espressione agisce anche, per l’ordinario, su un piano più terreno e meno spettacolare.
In altre parole, essa si serve abitualmente di altri esseri umani, che solo apparentemente vengono ad incrociare i nostri passi in maniera  casuale; mentre, in realtà, la persona consapevole finisce ben presto per rendersi conto che non di un caso si è trattato, ma di un evento che fa parte di un grande e armonioso disegno complessivo, del quale noi tutti siamo partecipi: attori e spettatori nel medesimo tempo.
Il tratto di strada che ci accade di fare con questi benefici compagni di viaggio può essere breve o lungo; quello che conta è che, se la nostra evoluzione spirituale ha raggiunto un certo livello, il beneficio che noi potremo ricavarne sarà pressoché permanente e indistruttibile, come una riserva d’acqua preziosa che mai si esaurisce, sempre lì a disposizione per il viandante che deve attraversare il deserto.
Del resto, la quantificazione del tempo relativo a questi incontri felici è impossibile sul metro di misura ordinario, oltre che sostanzialmente inutile. Quando un incontro spirituale avviene in profondità, esso non è mai un’esperienza «breve», se per breve si intende che, al suo termine, noi ci ritroveremo soli come prima.
La bellezza di tali incontri, e la loro estrema efficacia, deriva invece dal fatto che essi modificano la nostra percezione del tempo, dilatano i confini dell’anima ed espandono il nostro livello di consapevolezza e di benessere interiore.
Nessun dubbio, pertanto, che si tratta - per colui che, appunto, sa vederle e riconoscerle - delle esperienze più importanti nell’arco di una intera vita umana; di quelle esperienze che decidono, in un certo senso, di tutto il nostro orientamento spirituale, di tutto il senso che vogliamo dare alla nostra esistenza, di tutto ciò che conta veramente.
La maggior parte degli individui, immersi come sono in un estenuante e fallimentare inseguimento di false immagini di bene, non se ne rende conto; e non è in grado di riconoscere tali incontri, oppure, se lo è, non è in grado di apprezzarli nel loro reale valore, e li pospone ad altri incontri ed altri obiettivi, che gli paiono prioritari, mentre non sono che superficialità, apparenza ed ostinata auto-illusione.
Altre volte accade - vi abbiamo già  accennato - che la bellezza e la preziosità di tali incontri, dopo un primo impatto positivo, vada interamente sciupata a causa del prevalere di dinamiche distruttive, in particolare del desiderio di possesso reciproco, che tende ad abbassarli ad un livello spirituale inferiore, o, addirittura, prevalentemente fisico.
Ciò è tanto più frequente, quanto più si tratta di incontri fra uomo e donna; perché, se è vero che l’anima, in quanto tale, non ha sesso, è altresì vero che, nella nostra presente condizione esistenziale, noi non possiamo mai emanciparci interamente dai fattori relativi alla contingenza, uno dei quali è certamente la differenza (e l’attrazione) di genere.
Ne consegue che, non di rado, la possibilità di trasformare un incontro fra il principio maschile e quello femminile in un arricchimento reciproco di impagabile valore e significato, finisce per essere inibita e interamente vanificata dall’insorgere di spinte disordinate, da pulsioni di natura inferiore, da un cieco annaspare come di un naufrago che si aggrappi, in maniera inconsulta, al primo relitto che la corrente gli porta a galleggiare vicino.
La sapienza antica conosceva bene l’importanza degli incontri fra anime e, da Platone a Buddha, aveva creato una vera e propria istituto: il discepolato spirituale, basato sulla trasmissione orale del sapere del maestro a uno o più discepoli (cfr. il nostro precedente articolo: «Le cose più importanti non si comunicano con la parola scritta, ma oralmente»).
Tale istituto è andato pressoché perduto nell'ambito della cultura occidentale, mentre si è conservato in quella orientale; il profondo legame che univa Paramahansa Yogananda al suo venerato «guru», Sri Yukteswar, né è un esempio ben noto a quanti abbiano letto il famoso libro del primo, «Autobiografia di uno Yoghi» (ne abbiamo già parlato nel precedente articolo: «La resurrezione di Sri Yuteswar», sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
E questo avviene anche perché, in Oriente, si è conservato ben chiaro il concetto che il vero sapere non è una conquista personale che vada gelosamente custodita, come una proprietà privata, magari per ricavarne dei vantaggi personali in termini di prestigio o di guadagno; ma un dono divino, che l'illuminato ha il preciso dovere di trasmettere, non già in maniera indiscriminata, ma a coloro che egli ritiene giunti a un livello spirituale cosiffatto, da poterlo comprendere, assorbire e trasmettere a loro volta.
Ora, tornando al nostro discorso, è evidente che, per l'anima aperta e ben disposta, ogni incontro della propria vita è una occasione preziosa di arricchimento, perfezionamento e oltrepassamento dei limiti ordinari del Sé; ogni incontro è una grazia del Cielo, perfino quelli che, almeno sul momento, non sembrano portare altro che tristezza, confusione e dolore.
Tuttavia, nella grande maggioranza dei casi, un incontro è tanto più proficuo sul piano spirituale, quanta più è la strada che quell'anima ha saputo fare in precedenza da sola, magari sbagliando, inciampando e cadendo più volte a terra. Perché solo chi sa camminare a lungo da solo, sa poi anche apprezzare, al loro giusto valore, gli incontri con un'anima altrettanto elevata, o altrettanto desiderosa di elevazione.
La vita, a volte, ci appare simile a un deserto popolato di presenze vuote, insignificanti, o addirittura apertamente ostili.
Ciò che restituisce calore, splendore e fiducia nella vita è, molto spesso, l'incontro con un'anima bella, che ci viene incontro proprio quando più avvertiamo la fatica del cammino e il peso di una solitudine che, quando è dovuta alla distanza troppo grande del livello spirituale, sembra pesarci addosso come una maledizione.
In quei momenti, l'aura del mondo torna per noi a farsi magica, e le cose riprendono a brillare con una freschezza ed una vivacità di colori, quale avevamo da tempo dimenticata.
Sia lode a questi incontri benedetti; sia lode alla forza benevola che li conduce incontro ai nostri passi affaticati e stanchi.
Per merito loro, una nuova ventata di energia percorre la nostra anima come un fremito, e la apre all'incanto e alla gratitudine nei confronti dell'Essere.