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Lo Stato e i suoi corpi

di A. Berlendis - 02/07/2009

 

(O del mito di uno Stato super partes)

"Contro la teocrazia iraniana. A fianco del movimento di massa. […] piena scelta di campo a sostegno

del movimento di massa iraniano con una coerente proposta politica indipendente. Le istanze

democratiche della rivolta vanno sviluppate conseguentemente sul loro stesso terreno: immediatariconvocazione delle elezioni! Via la repubblica islamica, via la teocrazia
" Comitato Esecutivo del

Partito Comunista dei Lavoratori 20 giugno 2009

«Diciamo no alla repressione in atto, no alla teocrazia al potere e no alla violenza di Stato. Sì aldiritto di manifestare e al rinnovamento democratico che, per essere tale, non potrà che farsi caricodei bisogni di ampie masse popolari

[...] Si a nuove elezioni - conclude - sì all'abolizione della

teocrazia. Chi aspira a trasformare il mondo sta al fianco dei giovani, delle donne, degli uomini

iraniani che oggi coraggiosamente sfidano la violenza del regime
». Dichiarazione di Flavia D'Angeli

Sinistra critica 21 giugno 2009 (ANSA).

Non si tratta per le forze progressiste e comuniste, di schierarsi con uno o l’altro dei contendentidello scontro elettorale. Si tratta di sostenere il popolo iraniano, nella sua legittima rivolta contro il

regime teocratico.” Amato F. ‘Iran: sostegno alla rivolta non a Mousavi.’ Liberazione 24 giugno 2009

i dimostranti iraniani sono stati lasciati soli proprio dalla Casa Bianca, e da Barack Obama, che peruna volta ha messo il silenziatore al suo sacro fuoco democratico.” D’Eramo ‘Teheran è sola.’ Il

manifesto 23 giugno 2009

"La lotta per la libertà a Teheran si chiama «Neda». I capi del regime si affannano a nascondere glieffetti della repressione e ad attribuire la rivolta a presunti mandanti esterni

." l'Unità De

Giovannangeli 'Gli affari sono affari.' L'unità 23 giugno 2009

Il tentativo di riportare in Iran la democrazia può essere sconfitto…ma è del tutto evidente che si

stanno accumulando le forze che spingono per il cambiamento. […] Le vicende iraniane dovrebberospingere anche ad una maggior comprensione della posizione di Israele

.” Caldarola ‘L’iran è una

minaccia per Israele.’ Il riformista 27 giugno 2009

La CIA per altro questa volta non c’entra nulla. […] La rivolta degli studenti è davvero spontanea. I

giovani di Teheran sono soli di fronte al mondo, ma il regime non gode più del sostegno della

popolazione
…” Foa ‘Obama fa il duro.’ Il giornale 24 giugno 2009

Ahmadinejad è destinato a essere un presidente da strapazzo, illegittimo, in declino. […] si èverificato un avvenimento straordinario, il miracolo di un’ insurrezione popolare

…” Bernard Henry

Levi ‘Il re è nudo e I giovani lo sfidano.’ Corriere della sera 24 giugno 2009

Ciò che accade in Iran è un fatto di monumentale e storica importanza. Non so come andrà a finire -

ha spiegato il premier israeliano - ma sta emergendo un profondo desiderio di cambiamento, di

libertà
.” Dichiarazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, in un'intervista al Tg1 22 giugno

2009 (Apcom)

Il coraggio del popolo iraniano davanti alla brutalità testimonia la persistente ricerca di giustizia. Le

violenze sono oltraggiose. […] I diritti degli iraniani di riunirsi, di parlare, far sentire la loro voce,sono aspirazioni universali. Mousavi ha catturato l’immaginazione degli iraniani che vogliono aprirsiall’Occidente

.” Il presidente Usa Obama ricevuto dalla Merkel (Televideo 27 giugno 2009)

Anticipo l’obiezione secondo cui non si dovrebbero fare accostamenti come quelli qui sopra, perché

così non si coglierebbero le differenze. Infatti lo scopo era quello di cogliere i seguenti elementi

comuni che sono ben più rilevanti delle (eventuali) distinzioni:

- In Iran è in atto un’azione di massa, spontanea e democratica (aggiungiamoci pure non violenta, in

modo da lasciare lo stigma della violenza agli apparati statali iraniani);

- quello iraniano è uno Stato non democratico che va comb(abb)attuto.

Riguardo alle mobilitazioni in corso in Iran, vi è sia chi vuole immaginificamente ed

allucinatoriamente vedervi un carattere autenticamente popolare e democratico, chi cinicamente ed

opportunisticamente si sdraia su qualsiasi movimento—apparente o reale che sia—per l’affermazione

dei diritti umani (sinistra nel suo intero spettro), chi servilmente ripete ossessivamente ed amplifica—in

quanto agente politico dei subdominanti italiani—le posizioni dei dominanti statunitensi , chi (gli Usa

in primis) sapientemente gongola per i risultati di un lavoro da essi orchestrato agendo su

contraddizioni interne. Questa varietà però non implica nessuna differenza rispetto ad eventuali esiti,

prima interni e poi geopolitici, che, se conducessero all’agognato ‘cambio di regime’, sarebbero in

controtendenza con il progressivo indebolirsi dell’egemonia statunitense e la conseguente apertura di

una nuova fase policentrica. Vorrei essere chiaro: la differenza tra l’azione ideologica di un gruppo

come ad esempio ‘Il manifesto’ e l’azione a tutto campo dei referenti politici dei subdominanti italiani

(sinistra nella sua componente maggioritaria, di cui quella minoritaria è una forza di complemento), è

in primis una differenza di
capacità egemonica (quote di sfere d’influenza sociale) che è da tener

presente nella valutazione delle forze in campo, ma dal punto di vista dell’orientamento politico sono

entrambi nemici (quale sia l’idealità pura—sic!—che conservano in non so quale cassetto):

oggettivamente ed anche soggettivamente spingono nella stessa direzione. Le condizioni oggettive in

cui ci si viene a trovare possono aumentare o diminuire la capacità d’iniziativa e d’influenza dei diversi

soggetti, ma deve essere chiaro le diverse componenti della sinistra svolgono la
stessa funzione pur

con modalità diverse: si va dalle punte di lancia espressione diretta dei subdominanti italiani legati

servilmente agli Stati Uniti sino ai pensosi critico-critici che alla fine si schierano
sempre dalla parte

dei (sub)dominanti o ne reggono il gioco. Si ricorderà infatti, per fare un esempio non casuale, che

dopo tutta la vaporosa mobilitazione contro i preparativi dell’aggressione Usa all’Iraq, non appena

l’invasione iniziò, l’allora direttore di un raffinato quotidiano comunista
manifestò il suo

convincimento che era preferibile una rapida vittoria Usa così gli iracheni avrebbero sofferto meno (ed

infatti le torture di Abu Graib e la sequenza di stragi di civili inermi lo hanno confermato…) e che

comunque se avesse dovuto scegliere tra marines e ‘tagliatori di teste’ avrebbe optato per i primi (ed

infatti è prontamente passato al quotidiano di proprietà dell’impresa che oggi si fa portatrice delle

trame egemoniche Usa in Italia). Così come si ricorderanno i voti favorevoli della sinistra cosiddetta

radicale al (ri)finanziamento della missione italiana in Afghanistan…

Invece, anche nel caso dell’Iran, senza negare la natura dei dominanti iraniani o divenire sostenitori

dell’islam politico, come ha lucidamente scritto GLG è necessario saper "
da che parte stare affinché

venga sempre più scalfito, logorato, magari finalmente sgretolato un giorno, il predominio unipolare

degli Usa.”
Desiderare “che si accresca la potenza delle potenze in crescita." e siccome le potenze increscita stanno sorgendo ad est continua GLG "tutto ciò che spingerà l’Iran verso est, è buono; tutto

ciò che lavora di fatto per rovesciare l’attuale governo, lavora per il nemico. L’Iran non sarà mai

isolato. Sarà semplicemente o di qua o di là.". Questa è, secondo me, la giusta posizione da assumerese non si vuol essere come coloro che brechtianamente “

Sotto l'ascia dell'assassino si chiedono seanch'egli non sia un uomo.”

1. Gli eventi iraniani stanno gettando, in modo ancor più chiaro di altri, una luce sinistra sulla

cosiddetta democrazia nella specifica forma che ha assunto a partire dal dispiegarsi della fase

monocentrica a predominanza Usa al termine della seconda guerra mondiale. E’ utile partire da un

precedente storico della storia dell’Iran, che tra l’altro presenta anche notevoli analogie con l’attuale

situazione. “
Mossadeq era allora leader del Fronte nazionale, organizzazione politica fondata nel

1949 che mirava alla nazionalizzazione dell'industria petrolifera, all'epoca sotto controllo britannico,

e alla democratizzazione del sistema politico. Due questioni che avevano grande presa sulla

popolazione, tanto che il Fronte nazionale era diventato rapidamente l'attore principale sulla scena

politica iraniana. Nel 1951, lo scià Mohammed Reza Pahlavi si vide costretto a nazionalizzare

l'industria petrolifera e a nominare Mossadeq primo ministro, mettendosi in aperto conflitto con il

governo britannico. La Gran Bretagna reagì organizzando un embargo totale contro il petrolio

iraniano e avviando una serie di manovre a lungo termine con l'obiettivo di rovesciare Mossadeq. [...]

Nel novembre 1952, poco dopo l'elezione alla presidenza degli Stati uniti del generale Dwight D.

Eisenhower, alcuni alti responsabili britannici proposero ai loro omologhi americani di organizzare

congiuntamente un colpo di Stato contro Mossadeq.
[...] Il rapporto della Cia racconta in modo chiaro

il modo in cui fu preparata l'operazione. Ottenuta l'autorizzazione del presidente Eisenhower nel

marzo 1953, gli ufficiali della Cia studiano il modo in cui organizzare il colpo di stato e iniziano a

porsi il problema della sostituzione del primo ministro. La loro scelta cade subito su Fazlollah Zahedi,

un generale in pensione che aveva già complottato con i britannici.
[...] Alla fine di maggio del 1953,

la sezione della Cia è autorizzata a investire circa 11.000 dollari a settimana per assicurarsi la

cooperazione dei parlamentari. Aumenta sensibilmente l'opposizione a Mossadeq, il quale reagisce

invitando i parlamentari che gli sono fedeli a dimettersi, così da far mancare il numero legale e

portare allo scioglimento del Parlamento. Per contrastarlo, la Cia cerca allora di convincere alcuni

parlamentari a ritirare le dimissioni. All'inizio di agosto, Mossadeq organizza un referendum truccato

nel corso del quale gli iraniani si pronunciano in massa a favore dello scioglimento e per nuove

elezioni. Questo impedisce ormai alla Cia di portare avanti le sue
azioni quasi legali’, anche secontinua a far uso della propaganda per accusare Mossadeq di aver falsificato il referendum.
[...] I

giorni successivi, i due principali agenti iraniani portano avanti, con lo stesso obiettivo, una serie di

operazioni «
occulte». Per aizzare gli iraniani credenti contro Mossadeq, proferiscono minacce

telefoniche ai capi religiosi e «inscenano un attentato» contro la casa di un ecclesiastico), facendosi

passare per membri del potente partito comunista Tudeh. Il 18 agosto, organizzano una serie di

manifestazioni i cui partecipanti sostengono di essere membri del Tudeh. Su istigazione di questi due

agenti, i manifestanti saccheggiano la sezione di un partito politico, abbattono statue dello scià e di

suo padre e seminano il panico a Tehran. Rendendosi conto di ciò che sta accadendo, il Tudeh invita i

suoi iscritti a non uscire di casa…), il che impedisce loro di opporsi ai manifestanti anti-Mossadeq che

il giorno seguente invadono le strade.”1

Il giorno dopo, il 19 agosto, gli agenti iraniani della Cia organizzarono una sfilata che avrebbe

attraversato tutta Teheran. Con un fondo di circa un milione di dollari depositato in una cassaforte

dell’ambasciata americana gli organizzatori professionisti ed estremamente competenti,…, non ebbero

difficoltà ad assoldare una folla, probabilmente utilizzando una piccola porzione del fondo.
[…] la Ciacorruppe con forti somme membri del Parlamento e altri iraniani potenzialmente molto influenti per

ottenere il loro appoggio contro il primo ministro. Ben presto all’uscita dell’antico bazar si potè

scorgere una lunga fila di persone, guidate da artisti del circo e acrobati per attirare il pubblico. I

partecipanti alla sfilata innalzavano bandiere, urlando: ‘Lunga vita allo scià
!’”2 Il colpo di Stato

riuscì reinsediando lo Scià, che si fece garante degli interessi americani nella regione nel quarto di

secolo successivo : Mossadeq fu quindi deposto perchè “
dirigeva un governo democratico e laico e

quindi aperto alle influenze della cultura occidentale, ma colpevole agli occhi di Washington e Londra

di aver nazionalizzato il petrolio e di voler respingere la tutela delle grandi potenze imperiali.”3

Abbiamo qui, allora come oggi, una rappresentazione chiara di che cosa sia la democrazia nel

capitalismo quale ‘società dei funzionari del capitale’ di irradiazione statunitense. L’ (im)broglio non

sta nel mancato rispetto delle procedure elettorali, ma nel far credere che quello sia il meccanismo

esclusivo ed autonomo di selezione per determinare quale delle frazioni di dominanti (intreccio di

agenti della sfera economica e della sfera politica, con supporto di quella ideologica) assuma la

direzione politica entro una data formazione sociale particolare. In realtà quel meccanismo non è

esclusivo in quanto, a seconda di ciò le circostanze richiedono, vi è almeno un altro meccanismo, il

cosiddetto ‘colpo di Stato’ (di tipo giudiziario o militare, con l’ausilio o meno di manovrate

sollevazioni ‘dal basso’) che svolge la stessa funzione. Questo meccanismo di selezione degli agenti

della sfera politica non è autonomo all’ interno perché deve rispondere funzionalmente agli interessi

dei dominanti interni – siano questi interessi effettivamente nazionali oppure subordinati ad interessi

stranieri (nel caso in cui i dominanti interni siano subdominanti rispetto all’assetto geopolitico

regionale o mondiale) – ed agli equilibri che questi dominanti riescono a stabilire con gli interessi dei

componenti del loro blocco sociale. Questo stesso meccanismo non è autonomo verso l’
esterno, perché

è sottoposto alla logica della potenza che vige nel confronto geopolitico tra gli Stati (che si dispiega

diversamente a seconda delle fasi monocentriche o policentriche), per cui ad esempio il meccanismo

vigente in una data formazione sociale viene o meno fatto oggetto di pressione straordinaria o di

manipolazione ordinaria a seconda che risponda con i suoi esiti all’orientamento della potenza

egemone. Il modello di democrazia Usa da esportazione, opera sempre in due tempi e su due tavoli:

nella prima fase si cerca di far vincere le elezioni
con ogni mezzo al gruppo di agenti dominanti interni

ad un dato paese, gruppo che è stato (pre)scelto dagli Usa. Se l’operazione riesce e quindi l’esito è

quello desiderato, il processo democratico(sic!) si conclude quì ed i cantori ideologici delle virtù

taumaturgiche della democrazia possono librarsi nell’aria… Nel caso in cui l’esito fosse diverso, inizia

il secondo tempo e compare il secondo tavolo da gioco: si attiva un processo autocorrettivo per ottenere

lo stesso risultato che non era riusciti a raggiungere in un primo tempo (qui si va dalle accuse circa il

rispetto delle procedure elettorali previste, alle sollevazioni dell’opposizione, sino al colpo di Stato).

Questo dispositivo a doppio tentativo (per cui se il primo non va bene, si ritenta una seconda volta in

altri modi) illumina anche tre aspetti circa la forma politica che la democrazia assume quale forma

prevalente nell’epoca monocentrica a dominanza statunitense .

Primo, gli Stati occidentali sono maturi, nel senso della migliore approssimazione al modello, perché

necessitano molto raramente del secondo tempo e del secondo tentativo, in quanto rispondono ai

desiderata dei dominanti centrali Usa già nel primo tempo e tentativo, mentre i paesi meno dipendenti

sono quelli che necessitano con più frequenza del secondo tempo per allinearsi. Questo significa solo

che nei paesi ‘maturi’ la democrazia, quale sistema di competizione e mediazione tra gruppi di

pressione, fa sì che questi gruppi abbiano un raggio d’azione delimitato ed intercambiabile. Secondo, in

quanto garanti, gli Usa intervengono sempre, in modo diretto o indiretto, solo che il formalismo della

scienza politica definisce (ideologicamente) come interventi solo quelli diretti, cioè visibili

immediatamente. Terzo, l’obiettivo della potenza egemone (oggi ancora gli Usa) è sempre quello di far

prevalere il gruppo di agenti strategici funzionale ai propri interessi e conforme ad una dato assetto

geopolitico, per cui l’uso di
ogni mezzo è da riferirsi sia alla prevalenza tramite le elezioni, sia tramite

altre modalità (con buona pace della ‘democrazia’ e del suo osannato essere un valore).

Come volevasi dimostrare anche la presenza del gioco elettorale non può ovviamente bastare agli Usa,

perché essi fanno strame anche delle regole analoghe a quelle dei canoni da loro idealizzati (regole di

cui hanno fatto strame anche al loro interno qualora contingenze particolari lo richiedano—ad esempio,

eliminazione di Kennedy
docet). Faccio anche notare che le ingerenze, viste già con Mossadeq, non

includono solo la promozione ed il sostegno di organismi che agiscono in contrasto con gli interessi

nazionali in una data contingenza storico-politica di una data formazione sociale particolare. Non va

infatti accettata la classificazione formalistica secondo la quale le fondazioni e i mass media sarebbero

accettabili perché compatibili con le norme giuridiche interne di un paese, mentre le trame oscure ed

illecite sarebbero deplorevoli perchè non lo sarebbero: questo perché entrambe sono
mezzi di un’unicainiziativa avente come scopo il reindirizzamento di uno Stato rispetto ad una data configurazione

geopolitica. Anche nell’attuale caso iraniano, si vede che quelle definite ingerenze (dal governo

iraniano, per denunciarle) o interferenze(dagli Usa e GB, per negarle spudoratamente) non sono altro

che azioni in cui le sfere economica, sociale e politica (con eventuale propaggini militari) sono

strettamente associate potendo assumere forme (pressione, influenza, aggressione) e contenuti

(commerciali, politico-diplomatici, mediatici, militari ecc.) differenti tra loro e variamente miscelati

secondo l’occorrenza. Su questo punto poi deve essere rilevata la continuità
assoluta tra

l’amministrazione Bush e quella Obama nella forma e nei contenuti, tanto che nel 2005, in occasioni

delle precedenti elezioni iraniane l’allora presidente Usa Bush dichiarò: “
Il potere è nelle mani di una

minoranza non democraticamente eletta che lo ha conservato attraverso un processo elettorale cheignora i

requisiti di base della democrazia.
[…] Nel momento in cui combatterete per la vostra stessa

libertà, il popolo americano combatterà insieme a voi."4 Nella fattispecie in questione: già nel 2007

La CIA ha ricevuto l’approvazione segreta presidenziale per organizzare un’operazione “nera”clandestina per destabilizzare il governo iraniano” per cui un pubblicista aveva segnalato “un piano

approvato l’anno prima da Bush, finanziato con 400 milioni di dollari e «finalizzato a destabilizzare la

leadership religiosa del paese
[l’Iran]».“5 Obama il buono raccoglie i risultati del suo predecessore,

Bush il cattivo, anzi può perfino ipocritamente fingere di tendere una mano all’Iran, nel momento in cui

con l’altra continua a finanziare la ‘(pseudo)rivoluzione verde’ o la tiene pronta a sferrare (magari

tramite Israele) un attacco militare.

2. Le vicende iraniane hanno costituito un un banco di prova per l’organo principe della GF&ID, il

‘Corriere della sera’, quale punto di diffusione dell’l'ipocrita sistema ideologico occidentale di marca

Usa formato dalla democrazia più i diritti umani. A proposito dei portatori soggettivi di tale sistema

ideologico, prendiamo come figura rappresentativa, Panebianco, professore ordinario di scienza

politica all’Università di Bologna, il quale aveva già denunciato che “
In Iran, una giovane pittrice,

Delara Darabi, è stata giustiziata per omicidio dopo un processo che Amnesty International ha

giudicato non equo, non rispettoso dei diritti della difesa
. […] la notizia segue di poche settimane

quella sulla condanna a otto anni «per spionaggio» alla giornalista americana-iraniana Roxana

Saberi e contribuisce a ribadire la fosca reputazione del regime. Non più fosca di quella di altri regimi

autoritari, naturalmente
.”6 Ovviamente il Nostro, è rimasto compuntamente in silenzio quando nei suoi

tanto esaltati Stati Uniti, precisamente in South Dakota nel 2008 . “Elijah Page è stato messo a morteper un omicidio commesso nel 2000 quando aveva 18 anni e aveva un passato caratterizzato daprivazioni e abusi

.”7 oppure quando la ‘pena di morte’è stata provocata, da “I soldati italiani sparano,

muore bimba in Afghanistan, colpi contro un'auto che non si ferma incrociando una pattuglia. La

ragazzina aveva
13 anni
8 Ma si sa, nel primo caso gli Usa sono titolari di una giustizia superiore che

se deve essere imposta al mondo intero figuriamoci al loro interno, mentre nel secondo caso trattasi di

esseri inferiori (infatti non a caso verso di essi si sono dovuti esportare la ‘democrazia’ ed i ‘diritti

umani’…), per cui non meritevoli di segnalazione.

Panebianco nei panni dell’autentico scienziato ‘democratico’ non poteva poi che esprimere una ferma

deplorazione per il fatto che le “aspirazioni di libertà di tanti iraniani foriera di cambiamenti nella

politica estera del regime.” espressasi attraverso la “manifestazione non autorizzata degli oppositori9 è

stata affrontata con la violenza degli apparati repressivi” da quello che ha definito e classificato come

regime degli ayatollah”. Per la sua alta ‘scienza’ era del tutto ininfluente che su Limes si siasostenuto, seguendo i canoni della stessa politologia dominante, che in Iran vi è la più avanzatademocrazia in Medio Oriente. Questa democrazia è patrimonio condiviso degli iraniani. Se le cose

non stessero in questi termini, non avremmo avuto delle elezioni; queste non avrebbero visto la

partecipazione della netta maggioranza della popolazione iraniana; non ci sarebbe una pubblica

accusa di brogli; non ci sarebbero stati dei feroci attacchi personali fra i candidati; non ci sarebbero

dei vincitori e dei perdenti ufficiali; la polizia non avrebbe arrestato più di un centinaio di

rappresentanti politici riformisti e il nome di questi rappresentati non sarebbe ben noto tanto alle forze

dell’ordine che agli iraniani; alcuni di questi riformisti non sarebbero stati, quindi, rilasciati il giorno

dopo il loro arresto; le forti divergenze fra i gruppi che si contendono il potere, e il futuro del paese,

non si sarebbero spostate dalla televisione alle strade di Teheran, Tabriz, Rasht, Shiraz; a protestare

non ci sarebbero ragazze fra i diciotto e i trent’anni e studenti universitari: la maggioranza numerica

della popolazione della Repubblica islamica d’Iran.”10

Le cause dell’incrinarsi di quel sistema ideologico sono individuate dal saggista in questione nel fatto

che “
la crisi avrà anche potenti riflessi politici, forse cambierà il volto della politica mondiale.

Essendo troppi i fattori in gioco, è sempre impossibile prevedere il futuro ma è per lo meno plausibile

immaginare
che uno degli effetti della crisi sia quello di accelerare una tendenza già in atto: alla

ridistribuzione del potere internazionale, al definitivo passaggio dall' unipolarismo (un mondo

dominato da una sola superpotenza) al multipolarismo (un mondo spartito tra alcune grandi

potenze).”11 L’età dell’oro per Panebianco è finita perché dal mondo unipolare si sta passando a quello

multipolare (e sì che lui non se n’era accorto impigliato com’è nell’ideologia della bontà universale

dell’egemonia Usa). Purtroppo questo provoca conseguenze deleterie come l’arresto dell’espansione

del carattere democratico degli Stati ed il mancato diffondersi del rispetto dei cosiddetti diritti umani.

Le ricadute, da lui ritenute altamente positive, che accompagnavano l’egemonia statunitense,

regrediranno dato l’avanzare di potenze
non democratiche come invece lo sono gli Usa. Infatti sostienequesto redivivo manzoniano azzeccagarbugli della politologia “che i diritti umani non possono essere

facilmente separati dal contesto culturale occidentale che li ha generati. La dichiarazione dei diritti

dell'uomo del 1948 e le tante altre dichiarazioni, convenzioni e istituzioni promotrici dei diritti umani

che l'hanno seguita, erano espressioni della tradizione occidentale.
Rispecchiavano il predominio politico-militare, economico e culturale, del mondo occidentale.”12 E continua affermando

perentoriamente che “È stato il predominio indiscusso dell'America a favorire la diffusione della

democrazia nel mondo (ci sono oggi molte più democrazie che in passato). Con un ridimensionamento,sia pure relativo, dell'America, quel processo perderebbe la spinta propulsiva.”13 In primis dobbiamo

ringraziare questo saggista perché ci ha fornito la conferma, argomentata dottamente, che i ‘diritti

umani’ sono un’arma ideologica utilizzata dagli Usa secondo il noto criterio dei due pesi e due misure e

la singolare forma di democrazia vigente è prodotto
made in Usa (come da me sostenuto sopra). Per

Panebianco è ancora l’Iran a costituire un test capace di indicare la discriminante tra Stati democratici e

Stati autoritari: “
A fare paura è la bomba nucleare in mano a un regime come quello degli ayatollah.

Contro l’opinione di coloro che mettono sullo stesso piano i regimi autoritari e quelli democratici

ricordando le magagne di questi ultimi, si può osservare che la differenza resta comunque netta. Non è

che i primi violino i diritti umani e i secondi no. La differenza è che nel caso dei regimi autoritari la

violazione di quei diritti è la
norma, rispecchia la quotidianità dei rapporti fra potere politico e

sudditi, mentre nel caso dei regimi democratici è l’ eccezione.”14 In primo luogo notiamo quil’impostazione formalistica secondo cui le azioni degli Stati in cui vige la forma

democratica sono perdefinizione democratiche (comunque superiori a quelle degli Stati in cui tale forma non vige, o non

vige secondo i canoni della politologia occidentale dominante). Una volta che ad uno Stato viene

attribuita e certificata dai dominanti la forma democratica ne consegue un’aurea di impunità e

superiorità rispetto agli Stati cui tale riconoscimento viene negato (per questo si sente ossessivamente

ripetere che ‘Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente’), per questo le stesse azioni vengono

giudicate autoritarie o democratiche a seconda della connotazione precedentemente assegnata al tipo di

regime. Dal dispositivo logico di cui sopra quindi si deduce che Israele può democraticamente

occupare i territori palestinesi e sterminare altrettanto democraticamente la popolazione palestinese,

mentre l’Iran non deve arrogarsi il diritto di impedire altrettanto democraticamente che una minoranzalegata ad interessi stranieri (Usa in primis)

autoritariamente cerchi di prendere il potere rovesciando il

risultato elettorale. In secondo luogo l’assunto secondo cui la forma democratica o autoritaria di uno

Stato deriverebbe dal fatto che la violazione dei diritti umani costituisca l’eccezione o la regola è

falsificato se sottoposto ad un controllo empirico. Analizziamo infatti questa sequenza:

- Il 6 maggio 2009 gli aerei Usa in Afghanistan radono al suolo un villaggio facendo strage di

civili
15;- Il 20 giugno 2009 gli Usa riconoscono l’ ‘errore’16.

- Il giorno 24 giugno 2009 un aereo senza pilota lancia missili contro una cerimonia funebre in un

villaggio pakistano compiendo una strage di civili…17

Nel caso degli Usa pur costituendo la strage di civili (come le torture, i rapimenti, l’uso di armi

chimiche e via dicendo) la norma e non l’eccezione, rimangono e rimarranno sempre per i Panebianco

di turno forme statali democratiche essendo la ‘
culla della democrazia occidentale’; e dobbiamo

riconoscere che in questo hanno ragione, perché la democrazia all’americana è stata proprio quella

tremenda cosa lì per i paesi e popoli renitenti e resistenti all’ordine imperiale Usa, mentre per noi è

stata un mistificante e autoingannevole gioco della cabina elettorale. Ma a proposito di eccezione,

argomenta lo stesso autore: “
A differenza dei neofiti della legalità, i liberali di antica data hanno

sempre saputo che lo Stato di diritto deve convivere, se si vuole sopravvivere, con le esigenze della

sicurezza nazionale. Il che significa che si deve accettare per forza un compromesso, riconoscere che,

quando è in gioco la sopravvivenza della comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve

essere ammessa l'esistenza di una «zona grigia», a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli operatori

della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi.”18 E qui in prima battuta occorrenotare come diventa ancor più scoperta la mistificazione: ma come…, mentre agli Stati

democratici se

aggrediti o se l’ordine sociale vigente è minacciato, è consentito instaurare lo Stato (autoritario)

d’eccezione (procedendo anche alla tortura per estorcere informazioni utili—a questo Panebianco si

riferiva
19), all’Iran, anche se aggredito (dall’interno) e con l’ordine vigente minacciato, si nega questa

opzione. Qui la contraddizione logica è addirittura paradossale: se lo Stato iraniano ha già la forma di

uno Stato (autoritario) d’eccezione (ma in tal caso non si spiegherebbe l’operatività delle procedure

elettorali e del collegato assetto politico-istituzionale) allora non gli si può rimproverare di agire,

tramite i suoi apparati, come tale; se invece lo Stato iraniano ha la forma particolare di uno Stato

democratico allora non gli si può negare, se le circostanze lo richiedano, di assumere la forma di uno

Stato d’eccezione ed agire conseguentemente per consentire l’ordinata riproduzione dei rapporti sociali

vigenti. Qui si intravede come la forma ordinaria dello Stato democratico occupante il davanti della

scena trovi in realtà il suo fondamento e momento della verità nella forma straordinaria dello Stato di

eccezione, che rimane normalmente dietro la scena come opzione sempre possibile date certe

condizioni. La forma dello Stato (autoritario) d’eccezione è al contempo il fondamento e lo svelamento

della forma democratica dello Stato, perché
mostra apertamente come il nucleo specifico dello Stato sia

la “violenza organizzata e sistematica” (Engels) esercitata dai "distaccamenti speciali di uominiarmati

" (Lenin).

3. Sempre sul Corriere della sera è apparso un articolo dal titolo emblematico e che possiamo prendere

come rappresentativo di un atteggiamento, politico e scientifico, verso lo Stato in questo caso iraniano:

Iran: l'apparato repressivo del regime20. Se lo scritto riguardasse esclusivamente la descrizioneempirica dello Stato iraniano ed i contenuti singolari dei suoi apparati repressivi non rivelerebbe nulla

di significativo ai nostri fini. L’implicito, il non detto, e ciò che è veicolato devono invece essere

oggetto di analisi. Cominciamo dalla superficie, precisamente dal termine
regime, con cui si denomina

l’Iran (e prima di esso l’Iraq, l’Afghanistan, la Jugoslavia, ecc.). La dizione di regime di per sè non

qualifica nessun sistema politico, indicando "
L’insieme di regole formali, di norme informali e di

prassi e consuetudini istituzionalizzate che stabiliscono il modo in cui il potere politico può essere

legittimamente acquisito, mantenuto, esercitato e controllato
."21. Di conseguenza nel linguaggio della

scienza politica (ma dall'esercizio della sua pratica scientifica attuale, scienza appare una parola