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La crisi è appena cominciata

di Roberto Marchesi - 16/07/2009

 

 



IL G8 si è chiuso ormai da qualche giorno e, naturalmente, i commentatori si dividono tra chi suona le fanfare e chi invece analizza un po’ più a fondo i temi trattati per vedere quali risultati, almeno sul piano previsionale, questo vertice potrà dare in termini economici.
I toni trionfalistici potrebbero essere usati dagli organizzatori del vertice solo se riferiti all’assenza di grandi scosse. Non politiche però, ma proprio di terremoto! Il che testimonia tuttavia solo la buona fortuna che accompagna gli audaci, non la lungimiranza politica degli 8.
Sul piano politico, al di là di una manifestazione no-global tra le più pacifiche mai viste e delle dichiarazioni abbastanza generiche di Tremonti sulla istituzione di regole “globali” per la gestione dei mercati finanziari, non è che si sia visto molto, considerando anche che la grande attesa era proprio su questo piano, per decidere le nuove regole dopo la pesante crisi globale.
L’attesa dei “grandi” della finanza è però, come sempre, quella di vedere cosa fa l’America, per poi seguire a ruota (come usano fare i ciclisti “succhiaruote”).
Lascio quindi ad altri commentatori il dire cosa fanno gli altri, io cercherò di dire cosa si fa a casa mia, cioè negli Usa. E purtroppo non sono le notizie rosee che tutti vorrebbero leggere.
È comprensibile l’intento delle parti governative di dipingere il diavolo un po’ meno brutto. Ed effettivamente è vero che nelle crisi c’è anche una componente psicologica che le rende più gravi e difficili da superare, ma arrivare a dire “... ora che la fase più critica della crisi è alle nostre spalle ...” (Berlusconi, in conclusione del vertice), è assolutamente fuori luogo, perchè forse ci si potrebbe spingere a dire (facendo gli scongiuri per non essere subito smentiti) che il fondo è stato toccato per quanto riguarda la Borsa e il mercato immobiliare, ma per quanto riguarda la crisi economica la verità è che siamo appena all’inizio.
È necessario infatti, quando si parla della recessione tenere ben distinti i due aspetti della crisi, quello finanziario, che è spesso puramente speculativo, da quello economico.
Sull’aspetto puramente finanziario effettivamente molti economisti valutano che il fondo sia già stato toccato nella scorsa primavera, e che adesso, se non in una vera ripresa, si sia entrati in una fase di forte turbolenza, con grosse oscillazioni sulle quotazioni, ma senza il timore di ulteriori gravi crolli. Questa situazione rende possibile l’avvio di una fase di cauto ritorno agli investimenti selettivi in borsa (consigliata peraltro prontamente già da quasi tutte le riviste specializzate americane).
Sull’aspetto economico invece la musica è totalmente diversa. E purtroppo è proprio quello che interessa di più la gente comune, quella che lavora e deve far bastare i pochi soldi che guadagna per vivere una vita onesta e decente. Di fatto le notizie che arrivano dagli Usa su questo fronte non sono per niente ottimistiche.
L’indice dei consumi ha smesso di scendere a precipizio, ma quello della disoccupazione è in continuo aumento. Attualmente è già arrivato a circa il 9.5% ma, dato che le riduzioni di personale continuano più o meno al ritmo di circa 500mila lavoratori al mese, si prevede che già entro l’anno questo indice potrebbe toccare e superare la soglia del 10%.
Milioni e milioni di persone alle prese con la disoccupazione, che tra l’altro qui automaticamente comporta in quasi tutti i casi anche la perdita della copertura sanitaria, sono un disastro economico, non una speranza. Finché non ci sarà una inversione di questa tendenza, non ci potrà essere nessuna vera ripresa economica. E la speranza che questa inversione di tendenza possa finalmente concretizzarsi non è legata agli indici della borsa, che potrebbero anche migliorare in modo significativo entro l’anno, ma non produrranno sostanziali miglioramenti sul piano dell’economia.
Un maggiore impatto sull’economia potrebbe esserci se si registrasse una sostanziale ripresa del mercato immobiliare, più direttamente legato a quello dei consumi. Ma, anche se fosse vero che il fondo è gia stato toccato in questo settore, è molto difficile prevedere una immediata ripresa per il mercato immobiliare, dato che questo settore è molto più lento a riprendersi, rispetto a quello borsistico. E stavolta uno dei principali motivi della lentezza è, paradossalmente, proprio da individuarsi nelle nuove regole, che impongono un approccio più severo alla concessione dei mutui, in risposta alla faciloneria con la quale venivano dati fino allo scorso anno.
Le nuove regole (che ora tengono conto anche della capacità di rimborso del richiedente, e impongono di non superare la soglia dell’80% del valore dell’immobile), sono del tutto sensate, ma in un mercato già in piena crisi non aiutano certo a rendere la ripresa più rapida. Meno mutui si danno, meno case si vendono.
Quindi sul settore immobiliare non c’è da aspettarsi nulla di buono almeno per un anno o due ancora (sempre che Fannie Mae e Freddy Mac, i due colossi americani dei mutui, continuino ad essere sostenuti dal governo con soldi pubblici, altrimenti ...).
Paul Krugman (il Nobel 2008 per l’economia) continua a incitare Obama e Geithner (il Segretario all’economia) affinché aumentino i sostegni all’economia concedendo un nuovo bailout (aiuto di Stato). Ma per far questo bisogna attraversare le “forche caudine” del Congresso che, anche se a forte maggioranza “democratica”, su questo punto non trova compattezza nemmeno tra i democratici, mentre i repubblicani sono al contrario compatti per ostacolarlo (per evidenti ragioni puramente politiche).
Allora in definitiva, considerando che in tutto il concatenamento delle cose suddette gli effetti positivi sull’economia sono tuttora del tutto marginali, è corretto dire che la fase più critica della recessione è alle nostre spalle? Credo proprio di no! Bisogna al contrario dire che c’è da lavorare sodo, e con buona lungimiranza, per evitare che questa crisi entri in un lungo e difficile vortice depressivo che si potrebbe trascinare anche per lunghi anni, come storicamente è gia purtroppo avvenuto sia in America negli anni ‘30 che in Giappone negli anni ‘90.