Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Cattolicesimo profano

Cattolicesimo profano

di Massimiliano Viviani - 17/07/2009

Image

Di fronte alla gravissima crisi dello spirito che imperversa oramai da mezzo secolo soprattutto nel mondo occidentale, le religioni tradizionali sono praticamente impotenti. Nemmeno il cattolicesimo oramai fa più eccezione: quello che fino a pochi decenni fa era il baluardo del Sacro in Occidente contro il primato della tecnica, si è oramai arreso -anch'esso- allo Status quo.
L'ultima enciclica di papa Ratzinger "Caritas in veritate" conferma questa constatazione. Il legame, lungamente ricordato nella stessa, con l'enciclica di Paolo VI "Populorum progressio" è significativo, e ancora di più i frequenti richiami allo "sviluppo umano integrale" che nell'enciclica del 1967 trova la sua più matura formulazione. Il termine "sviluppo" infatti ricorre frequentemente nell'enciclica di Paolo VI: dall'annuncio di Cristo che fu "il primo e principale fattore di sviluppo" allo "sviluppo dei popoli" fino all'ammissione che "camminare sulla strada dello sviluppo" è fondamentale per il passaggio "da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane".
La "Caritas in veritate" segue questa strada e la fede nello sviluppo non cede mai il passo. Questo sapore amaro di svendita dello spirito e del sacro non diminuisce nel capire il significato che viene dato allo sviluppo inteso come "umano ed integrale": l'economia e la tecnica, il capitalismo e l'industria non vanno condannati in sè, in sè sono neutri, nè buoni nè cattivi, è l'uso sconsiderato, egoistico e non etico che va condannato. Se usate bene -così viene indicato nell'Enciclica- queste due perle del genio moderno, economia e tecnica, possono veramente aiutare l'uomo a svilupparsi "integralmente": dapprima in senso fisico, per soddisfare le primarie esigenze corporali, di nutrirsi, di vestirsi, di istruirsi, per poi infine volgersi a Dio, che ovviamente viene posto come meta ultima dell'esistenza umana (almeno questo...). E a livello sociale stesso discorso: abbattere la mortalità infantile, sconfiggere la povertà, la miseria, l'ignoranza ecc, per una società "umana", che poi si volga a Dio.
Senonchè l'attenzione insistente per sconfiggere la povertà e la miseria nasconde a mio parere chiare e grosse propensioni terrene, profane, materialiste. Questo equivoco parte da una non corretta interpretazione del Vangelo, ossia porre l'amore per il prossimo a fondamento dell'essere e dell'agire cristiano. Il Vangelo in realtà non stabilisce solo un amore per l'Altro: definisce innanzitutto l'amore per Dio, mentre il regno della Tecnica -così attento ai diritti umani, e quindi si potrebbe credere attento al prossimo- è per definizione ateo, quindi realmente distante dal Vangelo.
Riducendo il Cristianesimo ad amore per l'altro, si finisce per lasciare il campo libero a chi intende trasformare la Chiesa in un'agenzia umanitaria, creando un alibi ad ogni tipo di materialismo. La miseria e l'ignoranza del resto è pur vero che abbruttiscono l'uomo, ma non lo allontanano da Dio. Mentre opulenza, benessere e tecnica forse non abbruttiscono l'uomo, ma lo fanno diventare un dèmone.
E' vero che tecnica ed economia in sè non sono un male, è vero che vanno considerate mezzo e non fine. Ma questo vale esclusivamente per una tecnica limitata e a dimensione umana. Analogamente l'economia non è un male in sè, ma solo se mantenuta entro i limiti del bisogno umano, del necessario e del quotidiano. Ma se la tecnica diventa tecnica industriale e dell'automatismo, se l'economia diventa economia del profitto, del superfluo e del futuro, il materialismo è già bello che fatto. Altro che parlare di etica che informa e guida il capitalismo!
Non si può accettare il capitalismo e nel contempo non vendere l'anima al diavolo. Non esiste un capitalismo dal volto umano. Peggio ancora un capitalismo volto a fini spirituali. Il capitalismo è morte dello spirito e morte dell'uomo. E' materia inerte. Niente può dargli vita.
Leggere nell'Enciclica "Caritas in veritate" gli inviti ad una globalizzazione buona ed etica, ad una imprenditoria attenta all'uomo, ad una finanza responsabile, ad un mercato solidale, ad uno sviluppo dignitoso, ad una ricchezza sensata ed umana, fa davvero sorridere. E se anche fosse possibile (cosa che escludo), sarebbe in ogni caso ridurre lo spirito alla morale, ridurre il sacro ad un umanitarismo di tipo laicista. L'approccio della Chiesa alla questione è quindi doppiamente errato.
La Chiesa crede di salvarsi dalla sua crisi decennale (ma forse anche secolare) "inserendosi" nel mondo attuale e cercando di dargli un significato dall'interno. Ma così facendo non fa altro che peggiorare il suo stato. Così facendo, si svuota di significato ulteriormente, in una spirale discendente verso la negazione di se stessa. Appoggiando il capitalismo per fini umanitari, la Chiesa scrive la propria condanna e decreta la propria fine.