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Sulle rive del fiume, nel canto dei grilli, sotto un cielo carico di stelle

di Francesco Lamendola - 28/07/2009


Sbucando da sotto gli alberi che costeggiano l'argine, scendo verso la sponda del grande fiume silenzioso, a una leggera ansa del suo placido corso, lungo il greto sassoso che si staglia quasi bianco nell'imbrunire della lunga sera estiva.
Sulla riva opposta e lungo gli isolotti che sorgono dall'ampio letto si innalza una folta vegetazione, che forma come una scura palizzata contro l'orizzonte; le sagome nere degli alberi più alti - salici, pioppi, robinie - si stagliano sul blu cupo dello sfondo, da un capo all'altro dell'orizzonte, senza una sola luce artificiale che ne interrompa la grandiosa solitudine.
Al di sopra della macchia, e al di sopra della linea possente delle montagne che si stendono a non grande distanza, il cielo è solcato da nubi madreperlacee e attraversato da tenui bagliori, quasi grigi verso la linea dell'orizzonte, qua e là venati di un pallido rosa.
Le nubi hanno le forme più diverse, cirri, cumuli, che ricamano in ogni senso disegni fantastici, ora allungati e filamentosi, ora densi e compatti, movimentando la prospettiva e creando effetti prospettici e altamente scenografici, che amplificano ulteriormente la vastità elusiva di questo cielo ancora vagamente rischiarato dagli ultimi bagliori del tramonto.
Lenti, eterni crepuscoli di giugno e di luglio, quando il cielo non si decide a tingersi di scuro ed anzi, con il trascorrere delle ore, sembra quasi che, inspiegabilmente, si diffonda un chiarore crescente, tanto che a mezzanotte non accenna ancora a sprofondare nell'oscurità, anche se le stelle si accendono sempre più numerose, negli ampi squarci fra le nuvole.
A un certo punto si sgombra quasi completamente ed appaiono tutte le costellazioni estive, con le loro figure caratteristiche, dominate dalle sagome inconfondibili dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Minore e dal meraviglioso sfavillio di Vega, Deneb e Altair, simili alle candide perle di una collana d'incomparabile bellezza.
Tutt'intorno, da vicino e da lontano, arriva il canto di decine e decine di grilli, minuscoli signori della notte incantata; mentre una brezza gradita spande nell'aria una benedetta frescura, dopo il calore ardente del giorno.
Il profumo dell'estate - profumo di terra bagnata, di linfa, di fiori, di vita che ovunque ferve e si dispiega con trepida, commovente forza primigenia - è come un mosto esaltante, che fa girare la testa e rende i pensieri leggeri e fragranti come la polpa succosa di un frutto maturo, addentata con lieta spensieratezza.
La riva, in questo punto, è alta ed impervia, dominata dalla massa scurissima degli alberi - il salice, il mirto, il pioppo dalle mille e mille foglioline lucenti; e il vasto greto sassoso biancheggiante nella notte, ricorda il candore di un ghiacciaio. Per un momento, l'illusione è quasi perfetta: la riva scoscesa diventa la parete di un'aspra montagna, e il letto del fiume diviene la chiara lingua scintillante di un ghiacciaio, che scende maestoso attraverso la valle.
Laggiù, a pochi metri di distanza, le acque del fiume scorrono tranquille nella luce delle stelle, gettando riflessi luminosi sulla cresta delle piccole onde; e la voce dell'acqua che corre si ode al di sopra del canto dei grilli, limpida e fresca come quella di una fanciulla.
Disteso sull'erba, con il vasto cielo brillante di luci e il profilo nero della boscaglia che chiude nel suo abbraccio sensuale le rive del fiume, lascio correre la coscienza in un flusso di emozioni esaltanti, che nessuna parola umana potrebbe tradurre in modo adeguato.
Se esiste uno stato dell'anima simile alla felicità, senza dubbio è proprio questo: quando il cuore non desidera nulla più di ciò che la vita spontaneamente gli offre, e il flusso e il rovello dei pensieri finalmente si acquieta nella pace e nella chiarità di una tranquilla evidenza, di un appagamento sereno e privo di orgoglio o di compiacimento.
È uno stato della mente simile all'estasi: senza più attaccamento, senza più desiderio o speranza, senza più tensioni o inquietudini.
Apertura assoluta, partecipazione al Tutto, abbandono fiducioso al grande fiume dell'esistenza, distacco ed equanimità verso ogni cosa che esiste: dalla Via Lattea che splende alta nel cielo, al più piccolo insetto che frinisce nel buio.
È lo svuotamento dell'Io, questo Io che crocifigge l'anima all'inferno delle paure e delle aspettative, dei rimorsi e delle speranze illimitate; questo Io che incessantemente vuole e teme e brama e si agita senza pace, schiavo di se stesso.
È la fine dell'illusione, il raggiungimento del porto.

*  *  *
Questo fiume che mormora nel buio, sotto le stelle di luglio, nel profumo dell'erba e delle fronde mormoranti, sa diventare terribile, quando le piogge improvvise lo gonfiano e lo spingono con forza rabbiosa verso il mare non lontano.
Allora, il letto sassoso si empie di colpo; le isole vengono inghiottite dalla corrente, del tutto o in parte; e le acque torbide trascinano a valle quantità impressionanti di fango, di detriti, di tronchi d'albero svelti dalle rive, con velocità sbalorditiva.
È quanto accadde novantun anni fa, durante una delle guerre più crudeli che abbiano sconvolto il mondo intero.
Le piogge di giugno avevano gonfiato il fiume quasi da un giorno all'altro; e fu proprio allora che il nemico gettò i suoi ponti e le sue passerelle nella notte, e lanciò le sue fanterie all'assalto della sponda opposta, sulla quale ora mi trovo.
Si combatté con violenza inaudita, con le baionette e le bombe a mano, dopo che il fuoco dell'artiglieria pesante aveva già battuto le trincee e ridotto in cenere quelle poche case che ancora restavano in piedi.
Il cielo era solcato da decine e decine di nostri aeroplani che volavano a bassa quota, per mitragliare il nemico, nel tentativo di arginarne l'impetuosa avanzata.
Queste cose mi tornano alla mente, mentre ascolto il pacifico concerto dei grilli e la voce argentina dell'acqua, e il debole fruscio degli alberi che stormiscono nel vento della notte.
Mi sembra impossibile che qui, proprio qui, si sia combattuto così aspramente, e che tanto sangue sia stato versato, dall'una e dall'altra parte.
Tendendo l'orecchio, mi sembra di udire il sospiro delle anime dei soldati uccisi: centinaia, migliaia di soldati di ogni parte d'Italia e d'Europa: Piemontesi e Siciliani, Inglesi e Francesi, Cechi e Polacchi, Tedeschi e Ungheresi, Croati e Bosniaci; tutti venuti a morire su queste rive insanguinate, ad abbandonare i propri corpi straziati dalle schegge di granata e dal fuoco incessante delle mitragliatrici.
Quanto dolore, quanta sofferenza, quante famiglie distrutte.
Adesso, quaggiù, tutto è pace e silenzio.
Le stelle brillano a decine, a centinaia, nel cielo che finalmente, nelle ultime ore della notte, si è scurito e, al tempo stesso, si è sgombrato dagli ultimi brandelli di nubi.
I grilli seguitano a cantare la loro canzone, le fronde dei pioppi e dei salici oscillano alla brezza, fremendo e sussultando, come delle giovani vergini sotto le prime carezze mai ricevute dalla mano di un uomo.
Sì, il fiume è proprio lo stesso di allora: la natura è sempre uguale a se stessa, sempre ammantata dei colori incandescenti della poesia e dei profumi inebrianti della vita.
È solo l'anima umana che conosce la disarmonia assoluta, la volontà ostinata di perseguire la sopraffazione e la violenza gratuita.
Solo lei conosce l'ebbrezza necrofila del «cupio dissolvi», allorché smarrisce la Stella Polare del desiderio di bene e si lascia traviare dallo stridulo concerto dei cattivi maestri, i maestri acclamati e ammirati del male e del nulla, che la irretiscono nella loro tela vischiosa e la sospingono verso l'autodistruzione.
Ma la natura non conosce tali aberrazioni; ed il Sole e le stelle, per dirla con la saggezza dell'Antico Testamento, sorgono sul giusto come sull'ingiusto: imparziali, intangibili, espressioni di una pienezza dell'essere che, per noi, è solamente un pio desiderio.

*  *  *
Eppure, le parole dell'Essere sarebbero chiare e inequivocabili, se solo sapessimo fare silenzio entro di noi e mettessimo a tacere le mille voci inutili o malefiche, che ci confondono e ci fanno deviare dal cammino luminoso.
L'Essere ci parla attraverso la brezza che fa stormire le fronde, attraverso lo sciacquio della corrente del fiume, attraverso il canto gioioso e instancabile dei grilli.
L'Essere ci parla attraverso la linea scura del bosco, la macchia chiara del greto sassoso, la vastità vertiginosa del cielo notturno trapunto da innumerevoli stelle.
L'Essere ci parla attraverso l'odore di terra bagnata, il profumo di mille e mille fiori, e la carezza del vento che ci sfiora la pelle, rinfrescandola.
L'Essere ci parla attraverso la bellezza, l'armonia, la sapiente e perfetta architettura che connette le cose l'una all'altra, nello spazio  e nel tempo, e le riduce ad unità.
L'Essere ci parla attraverso le gioie e i dolori della vita, gli incontri e i distacchi, gli arrivi e le partenze, le cadute e le riprese, i ricordi e le attese.
L'Essere ci infonde coraggio quando siamo sfiduciati, ci sostiene quando siamo sul punto di inciampare, ci indica la via quando ci smarriamo nella nebbia.
L'Essere pervade ogni cosa, è all'origine di ogni cosa e guida ogni cosa a fare ritorno nella sua dimora, lì dove tutto è incominciato.
Noi e l'Essere siamo una cosa sola: e quello che ci fa soffrire è la dimenticanza di questa semplice, elementare, luminosa verità.
Per questo andiamo a cercare chissà dove quella pienezza di cui siamo indigenti, e ci smarriamo lungo strade sbagliate, che non portano da nessuna parte.
Il male della nostra vita incomincia quando ci crediamo separati, quando ci crediamo altra cosa dall'Essere; quando riteniamo di poter bastare a noi stessi, di trovare l'appagamento nella nostra finitezza, nella nostra piccolezza.
Il male della nostra vita è quando ci crediamo indipendenti, isolati, staccati dal Tutto; quando ci gonfiamo di orgoglio o quando, viceversa, piombiamo nella disperazione del nulla: noi che possediamo in noi stessi la scintilla inestinguibile dell'Essere.
Noi siamo il nostro vero e peggiore nemico: non la malattia, non la vecchiaia, non la morte, tutte cose che fanno parte della natura e che non hanno alcun potere sulla nostra anima, se noi non siamo disposti a concederglielo.
Noi, che così spesso non sappiamo vedere l'amore che ci circonda: quell'amore che è intessuto dall'Essere, come una tela sontuosa, intorno a tutto ciò che esiste; e al quale siamo stati chiamati a collaborare, a patto di saper uscire da noi stessi.
L'armonia, la bellezza, la gioia, sono qui, a portata di mano.
Si tratta solo di capire che queste cose non dipendono dagli sforzi che noi facciamo, affannosamente, verso di esse; ma che ci saranno date in premio, se e quando sapremo fare silenzio nella nostra anima, rientrare in noi stessi, riconoscere il nostro vero bene.
Il bene dell'anima è amare: unirsi all'amore che pervade ogni cosa.
Il bene dell'anima è riconoscersi parte dell'Essere, e rispondere affermativamente alla sua chiamata.