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Sicurezza, sicurezza delle mie brame…

di Miro Renzaglia - 30/07/2009

Eravamo stati facili profeti quando, commentando il pacchetto sicurezza voluto di recente dal governo, in chiusura del nostro articolo “Sicurezza, sicurezza, primavera di bellezza“, paventavamo il rischio che sorgessero ronde anti-ronda. E così è stato. E’ del 26 luglio ultimo scorso la notizia che a Massa, la ronda cosiddetta nera dal triste acronimo “Sss” (Soccorso sociale e sicurezza), e l’antironda rossa dei non meno tristi “Carc” (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo), creata con la  dichiarata volontà di contrapporsi alla prima, se le sono date di poco santa e ancor meno nobile ragione.

catene1_fondo-magazineDel resto, non ci voleva uno scienziato né, tanto meno, un profeta di sventura per capire che il provvedimento che prevede questa stupidaggine del volontariato sicuritario avrebbe ben presto provocato più problemi all’ordine pubblico di quanti ne avrebbe, nelle intenzioni, risolti: date a un bischero qualsiasi una divisa da indossare, fosse anche solo composta da un fratino e un fischietto, una missione da compiere e quello si sentirà custode depositario di ogni virtù cittadina. Esclusa la sua, ovviamente.  E lasciamo stare i casi comici come quello inscenato dall’immarcescibile Gaetano Saya, presidente del (mal)rinato Msi-Dn che, da esagerato qual è, ha pensato bene di non limitarsi a fratino e fischietto ma di dotare le sue guardie nazionali di una perfetta divisa para-nazi-militare: qui siamo alla paratassi dell’idiozia pura e il fatto andrebbe trattato secondo parametri psichiatrici. Quello che va analizzato, invece, è il concetto stesso di sicurezza in termini di rapporti sociali e, soprattutto, per quali vie si sia giunti alla pretesa di voler vivere in assoluta e totale sicurezza

La sicurezza è lo “stato di non preoccupazione” dei rischi della vita. L’uomo, da che è uomo, ha creato le istituzioni comunitarie e statuali proprio per garantirsi dal maggior numero di pericoli prevedibili. Ciononostante la prima fonte di insicurezza sarebbe provenuta proprio dalle istituzioni che avrebbero dovuto garantirgli giustizia e sicurezza. Soprattutto fino a quando, nel corso della storia, quelle istituzioni hanno avuto carattere di assoluto potere senza controlli dal basso. Che le cose, dopo la Rivoluzione francese, quindi in tempi relativamente recenti, siano migliorate almeno un poco è vero. Ma, proprio a far data dall’irruzione protagonista delle masse nella vita politica, la sicurezza è diventata un’aspirazione talmente democratica da essere pretesa in forma totalitaria. Tanto da assurgere, nel 900, a primato del bene dei beni non barattabili. Sì, ma a quale prezzo?

Forse, tra i primi ad intuire che sarebbe stato un conto assai salato fu Carlo Michelstaedter, nella sua unica opera scritta prima di suicidarsi a soli 25 anni (sulla cui determinazione non deve aver avuto peso di lieve portata il fatto che il padre lo volesse agente delle assicurazioni), La persusione e la retorica. Ed è  proprio contro l’ente retorico della sicurezza che il giovane goriziano lancia uno dei suoi strali più veementi e, a seguire, contro l’uomo che gli si vota in adorazione.  Quell’uomo che: «”Lo stipendio corre ed è sicuro…”; e poi? “C’è la pensione…”; e nel caso di malattia? “Una cassa per ammalati…”; e per i furti? “Sono assicurato contro il furto…  Assicurato contro il fuoco… Assicurato contro tutti gli accidenti…”. E la morte? alla fine dovremo pur morire: “Fa niente, sono assicurato pel caso di morte… Come vede… sono in una botte di ferro…”». Di fronte a tanta sicumera, Carlo Michelstaedter inorridisce e annota: «Io rimasi senza parole, ma nello smarrimento mi lampeggiò l’idea che il vino prima d’entrare nella botte passò sotto il torchio…». Il torchio, la botte, ovvero quella che, fuor di metafora, lui chiama la «comunella dei malvagi». La società stessa che, per essere se stessa all’infinito del verbo “avere”, chiede all’uomo di diventare una “persona”, “un ruolo”, una “funzione” cieca degli ingranaggi da cui è mosso; che gli chiede di leggere il Vangelo, sì, ma di non fare come Cristo, perché  - si sa -  “un conto è la teoria, un conto la pratica…”; che in cambio dell’osservanza del proprio codice di diritti e di doveri, gli concede la sua sicurezza, vale a dire: «la libertà d’essere schiavo».

Ora, mi si potrà obiettare che questo c’entra assai poco con l’introduzione nel nostro ordinamento delle ronde e della rissa scoppiata a Massa fra invasati di opposta fazione. Io, invece, credo che c’entri molto perché intrapresa una china, quella della sicurezza come dio della philopsychìa collettiva,  non ci arresta che sul fondo. E a poco vale dirsi ad ogni grado di discesa: “fin qui, tutto bene”, lo schianto è comunque… assicurato.